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Testimoni di un epilogo? / 3

di Fabio Battiston

Terza e ultima parte

Eccoci all’ultimo capitolo di questa narrazione – che non ho certo la presunzione di ritenere corretta ma offro come possibile strumento di riflessione, condivisione o critica – nella quale propongo un punto di vista sulla reale portata e significato da dare all’attuale situazione della Chiesa cattolica temporale. La mia opinione è che stiamo assistendo, spettatori in tempo reale, al compimento di una fase storica conclusiva per il cattolicesimo. Un epilogo, drammatico e tremendo per una parte non banale dei credenti, che vede la barca di Pietro non solo inchinarsi sconfitta di fronte al plurisecolare attacco del mondo laico-relativista, ma addirittura alleata e soggetto attivo nel conseguimento degli obiettivi che esso intende perseguire per il futuro immediato e prossimo dell’umanità. Nelle prime due parti (qui e qui) ho sostenuto questa mia tesi analizzando i contenuti di due opere: Pio IX del professor Roberto de Mattei e L’ombra di Dio di Giuseppe Prezzolini. In questa terza e ultima parte affronterò nuovamente l’opera del fondatore del Leonardo e della Voce rispetto alle sue profetiche analisi circa le conseguenze del cosiddetto “rinnovamento” della Chiesa. Un cambiamento che, voluto e attuato dal Concilio Vaticano II, ad avviso di Prezzolini avrebbe comportato nefaste conseguenze per il cattolicesimo mondiale e per il mantenimento del suo ruolo e della sua effettiva missione nella vita e nello sviluppo dell’umanità. Mai umana previsione si rivelò più precisa di questa.

È interessante anzitutto notare come Prezzolini sappia sapientemente analizzare e distinguere le specifiche diversità che possono connotare il concetto di evoluzione nella vita di un’organizzazione/istituzione umana (comprendendo anche la Chiesa terrena come una di esse). Nell’ultimo capitolo di Cattolicismo rosso (1908), testo dedicato al rapporto tra cristianesimo e cattolicesimo e all’esigenza storica di una sua “riforma”, così si esprime: “… la dottrina dello sviluppo non può essere mutata in una di cangiamento. Sviluppo indica continuità di indirizzo, cangiamento semplice mutabilità vaga. Ora è la prima dottrina che è cattolica, e newmaniana, non la seconda che è scettica e positivista”.

Non sembrano esserci dubbi sul fatto che ciò a cui stiamo assistendo oggi nella Chiesa appare un cangiamento più che uno sviluppo, anzi una vera e propria mutazione. Essa tuttavia non sembra affatto vaga bensì orientata in modo preciso all’apostasia. Quali conclusioni ne trarrebbe Prezzolini, se vi stesse assistendo?

Inoltre, fatti i debiti distinguo, le parole dello scrittore sembrano evocare la tesi di Benedetto XVI quando, a proposito delle interpretazioni e delle conseguenze del Concilio Vaticano II, sottolineò il concetto di “ermeneutica della continuità” in contrapposizione alla discontinuità/cesura col passato con cui molti esegeti conciliari volevano invece collocare le risultanze dell’assise conciliare. È la medesima impostazione che guidò papa Ratzinger nella redazione del Summorum Pontificum, il motu proprio con il quale nel 2007 ristabilì la possibilità (peraltro mai ufficialmente abrogata) di celebrare le liturgie vetus ordo, tra esse la Santa Messa tridentina. Mettiamo a confronto la precedente asserzione prezzoliniana con quanto scritto da Benedetto XVI a commento del suo motu proprio: “… nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dar loro il giusto posto”.

È esattamente il concetto di sviluppo inteso come “continuità di indirizzo” di cui parlava Prezzolini nel 1908, o no?

Ma veniamo ora all’argomento principale di questo contributo: il Prezzolini analista e critico laico di fronte ai cambiamenti nella Chiesa di cui fu testimone in quegli anni. Nel 1964 egli inizia una collaborazione con L’Osservatore della domenica, settimanale illustrato de L’Osservatore romano pubblicato dal 1934 al 2007. Ecco cosa scrive Prezzolini in una delle sue lettere al direttore, il primo novembre 1964. Non sembrano proprio essere passati sessant’anni: “Ciò che temo oggi nei cambiamenti che la Chiesa giustamente e nel proprio interesse si propone, è che essa segua una linea politica, troppo spesso seguita da chi aveva responsabilità di comando nella Chiesa: ossia la tendenza a seguire i più forti, i quali ieri erano quelli di destra, e oggi sono quelli di sinistra. Temo assai che, pure sinceramente, quella ondata di cambiamenti della Chiesa verso forme più razionaliste e più socialiste sia dovuta soprattutto alla tentazione di aggregarsi alla carovana dei futuri vincitori (anzi di coloro che hanno già vinto), e di seguire con essi l’inclinazione delle masse di questo momento storico (…) Mi pare, insomma, che oggi l’attenzione dei novatori della Chiesa non sia rivolta ad aprire il cuore dell’uomo alla rassegnazione nella grazia di Dio, ma ad acquistare dei beni terreni con l’uso della ragione e il suffragio delle masse materialiste. La Chiesa si sta razionalizzando? È vero che essa ammette che l’uomo, con la sola ragione, possa raggiungere un miglior assetto sociale? Migliore ai fini eterni? È tornata a Pelagio? Sarebbe spaventoso se fosse così”.

Questi concetti, come detto, sono stati espressi nel 1964; il Concilio doveva terminare solo un anno dopo. Ma quanta lucidità, quanta limpida percezione di un futuro (triste) già scritto per la Chiesa cattolica! L’accenno di Prezzolini ai fini eterni, che non sembrano già più essere all’attenzione prioritaria di chi conduce la barca di Pietro, prefigura l’abbandono del senso escatologico, unica via percorribile per dare un senso all’esistenza umana. La pressoché totale sparizione dei Novissimi dall’odierno linguaggio dottrinale e pastorale dei sacerdoti è solo una delle prove che dimostrano quanto le domande poste dallo scrittore abbiano avuto, da parte di una Chiesa terrena ormai in decomposizione, la loro definitiva risposta.

Inoltre, le considerazioni di Prezzolini fanno emergere un altro importante elemento da considerare. Come si vede, la narrazione progressista – tutta orientata all’esaltazione di un Chiesa proiettata nel futuro e, soprattutto, vicina ai reali bisogni del mondo, emergenti dall’umanità “nuova” – era già prorompente ben prima della conclusione dell’assise conciliare e dell’analisi specifica sul contenuto delle Costituzioni. Insomma, il Concilio doveva dare il via ad un cattolicesimo diverso e di ben altra natura rispetto a Tradizione, Scritture e Magistero che avevano dato vita e corpo a duemila anni di fede cristiana.

Veniamo ora al rapporto tra Prezzolini e il periodo immediatamente successivo alla conclusione del Concilio Vaticano II. Non posso dilungarmi, per ovvi motivi di spazio, sulle sue molteplici prese di posizione. Mi limiterò quindi ad alcune brevi riflessioni tratte da due lettere redatte nell’arco di quattordici mesi. Nella prima, marzo 1966, egli scrive: “Il Concilio ha corrisposto alle mie aspettative, perché ero pessimista. L’influenza del Concilio è stata grande, grande il suo buon successo. Ma dubito che si possa giudicare degli effetti prima che sia passato un secolo o due. Può darsi che esso segni la data di un rinnovamento della Chiesa o può darsi che segni il principio della diluizione del Cristianesimo in un sincretismo vago”.

Gli effetti dell’assise conciliare, e qui la previsione prezzoliniana è stata purtroppo smentita dai fatti, si sono manifestati in tutta la loro crudele ampiezza ben prime della scadenza di un secolo. È invece perfettamente corrispondente alla realtà la seconda ipotesi, quella più funerea, da lui indicata come una sorta di principio della fine. È ciò che, a mio avviso, abbiamo di fronte a noi qui e ora.

Tuttavia è in una lettera scritta nel maggio 1967 a monsignor Benvenuto Matteucci che Prezzolini si rivela non solo e non tanto quale acutissimo analista e critico sui cambiamenti in atto nella Chiesa quanto come incredibile profeta. Egli prefigura uno scenario che, in particolare in questi ultimi quindici anni, si è poi manifestato in piena aderenza alle sue parole, materializzandosi sin nei minimi particolari. Leggiamo senza trasecolare: “Temo che oggi la Chiesa abbia abbandonato quella sicurezza di verità che è stata il suo vessillo a ragione di tante vittorie. Con il Concilio Vaticano II la Chiesa si è messa alla pari dei suoi avversari. Il dialogo l’ha rimpicciolita. Che cosa credete di aver guadagnato accettando e incitando le dispute? (…). Avete fatto dell’arbitro un partitante (…). E quale cosa è più dubbia della fiducia che avete dimostrato nell’Onu. Voi mostrate di credere che con i mezzi puramente razionali di essa si possa dare la pace al mondo; la pace è un dono di Dio – avete sempre detto – e anche per un miscredente questo è vero, ossia è un dono che non proviene dalla capacità degli uomini. Ma voi non avete più ricordato la Grazia di Dio e credete invece nella potenza pacificatrice degli avvocati e dei politicanti. Se la pace potesse essere frutto delle trame e dei negozi dell’Onu che bisogno ci sarebbe della Chiesa?”.

No signori! Queste parole non sono state pronunciate da analisti del Concilio Vaticano II e delle sue conseguenze, durante un convegno di cattolici tradizionali tenutosi nel 2024. Sono invece state scritte, con lucidissima preveggenza, da una mente libera e da un cuore impavido che non oggi, ma sessant’anni fa, ci ha parlato di una Chiesa in svendita, alla ricerca ossessionante di un dialogo – interreligioso, politico, sociale, scientifico eccetera – vero becchino di ogni evangelizzazione e apostolato. Ci ha ammonito su un cattolicesimo che stava diventando l’ossequioso scendiletto di gradi organizzazioni sovranazionali. Egli, tuttavia, non poteva immaginare che il servilismo della Chiesa cattolica si sarebbe esteso anche a Oms, Unione europea, massoneria e, non certo ultimi, ai potentati disvaloriali e multimiliardari che sovrintendono al Deep State ambientalista, transgender, neopagano e tecno-scientista che sta cercando di controllare il mondo.

Ritengo che quella Chiesa paventata da Prezzolini e auspicata dai movimenti massonici, rivoluzionari e risorgimentali del XIX secolo sia oggi arrivata al traguardo, con grande soddisfazione di chi la desiderava schiava del mondo. Molto prima, purtroppo, rispetto a quanto lo scrittore potesse prevedere. Noi, testimoni di quest’inizio di terzo millennio, stiamo purtroppo assistendo a una tragedia giunta al proprio compimento; un epilogo temporaneo, certo, la cui durata tuttavia ci è ignota.

Il mio auspicio è che i cent’anni trascorsi su questa terra, alla perenne e incompiuta ricerca di una strada e di una luce che potessero definitivamente conciliarlo con l’Esistenza, abbia fatto comunque guadagnare a questo grande intellettuale di nome Giuseppe Prezzolini la benevolenza e la misericordia di nostro Signore. Nel suo L’ombra di Dio, pur tra pagine che talvolta è difficile continuare a leggere per la loro crudezza antireligiosa, ho anche trovato pensieri e riflessioni che vanno molto oltre, in positivo, a ciò che spesso alberga nel cuore e nella mente di molti di noi che ci definiamo indubitabilmente cattolici.

Per quanto mi riguarda, e spero riguardi molti di noi, il caro Giuseppe può star certo che la mia presenza tra i suoi amati “ápoti” (cioè quelli che non se la bevono) resterà salda e forte sino alla fine.

Il percorso che ho voluto fare con i lettori di Duc in altum in queste tre puntate termina qui. Spero di non aver annoiato con le mie elucubrazioni. Grazie a chi ha avuto la bontà e pazienza di seguirmi.

3.fine

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Testimoni di un epilogo? / 1

Testimoni di un epilogo? / 2

 

 

 

 

 

 

Aldo Maria Valli:
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