Bergoglio l’ideologo che sovverte la realtà. E ci spinge nel ginepraio del papa eretico
“La realtà è superiore all’idea” è uno dei postulati che Bergoglio ha messo al centro del suo pensiero, come si legge nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Concetto ribadito più volte, per esempio nella lettera apostolica Sublimitas et miseria hominis, dove il papa denuncia anche “le ideologie mortifere”.
L’aspetto paradossale sta nel fatto che questi pronunciamenti vengono da un autentico ideologo. Il quale, come tutti gli ideologi, della realtà se ne infischia. E anzi la sovverte per i propri fini.
Le prove più eclatanti le abbiamo avute anche di recente, durante il viaggio a Singapore, quando il papa ha dichiarato che tutte le religioni costituiscono cammini che portano a Dio e che non bisogna stare a disputare su quale religione sia più importante, e poi quando ha indetto una cerimonia penitenziale per confessare il peccato contro la sinodalità” e il “peccato della dottrina usata come pietre da scagliare contro”. Infine, in un recentissimo videomessaggio per alcuni giovani riuniti a Tirana, Bergoglio ha ribadito quanto già scritto nella dichiarazione di Abu dhabi, ovvero che la diversità delle religioni è “un dono di Dio”
Il contenuto ideologico di questi pronunciamenti è evidente. Basta il solo buon senso per confutare tali assurdità che vanno contro la realtà.
La realtà è che la nostra fede, la fede cattolica, rivendica per sé l’unicità del vero cammino verso Dio e che extra Ecclesiam nulla salus, eppure Bergoglio, cadendo nel relativismo più spinto, fa polpette dell’insegnamento di sempre, sconfessando il mandato di nostro Signore (“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”) e liquidando duemila anni di evangelizzazione sostenuta da schiere di santi e costata la vita a tanti martiri.
La realtà è che non esiste e non può esistere alcun “peccato contro la sinodalità”, perché la sinodalità stessa è frutto dell’ideologia, un’invenzione partorita dal clericalismo più spinto, senza riscontro in ciò che i fedeli vivono e avvertono nel profondo dell’anima, eppure Bergoglio ci invita a confessarlo in pompa magna, come se si trattasse di un’esigenza vitale.
La realtà è che non esiste e non può esistere un “peccato della dottrina usata come pietre da scagliare contro” (mi scuso per l’italiano orrendo, ma questa è la definizione ufficiale), perché, semmai, il peccato è proprio quello di non rispettare la dottrina e di non farla rispettare, eppure Bergoglio inverte i termini e usa la sua autorità per invitare al lassismo e, una volta ancora, al relativismo.
La realtà, ovvia, è che la diversità delle religioni non può essere voluta da Dio, il Dio dell’antico e del nuovo Testamento, altrimenti non si spiegherebbe perché Egli abbia mandato suo Figlio fra noi per prendere su di sé il peccato del mondo e redimerci.
Bergoglio è il re dell’ideologia, e ogni cattolico degno di questo nome non può che pregare per la sua conversione alla realtà del cristianesimo e della retta dottrina cattolica. Eppure, per lo più, si tace. Oppure, peggio ancora (anche se sempre meno) ci si arrampica sugli specchi per accreditare le assurdità e dar loro una parvenza di correttezza.
Per chi abbia a cuore la fede, la dottrina e il papato stesso, di fronte a questo quadro torna la domanda di sempre: ma un uomo che parla così, che partorisce queste idee e se ne compiace al punto da ribadirle ripetutamente, anche se è vestito di bianco e risiede in Vaticano, davvero può essere papa?
E qui inizia il solito avvitamento, che ormai ci accompagna da tempo.
Un amico mi ha scritto qualche giorno fa: “Tutto conferma che Bergoglio non è papa né può esserlo, perché non ha la grazia di stato, quella che Dio stesso conferisce per compiere l’ufficio che da Dio è stato affidato. Se avesse la grazia di stato non potrebbe promuovere impunemente l’indifferentismo religioso”.
Va bene, mettiamo che sia così. Ma chi può decretare che Bergoglio non ha la grazia di stato? Non è forse vero che, per dirlo ancora in latinorum, prima Sedes a nemine iudicatur, ovvero che a fronte della supremazia del papa, e dunque del suo primato, nessuno su questa terra può giudicarlo?
Risponde l’amico: “Alcuni cardinali consapevoli, o almeno un vescovo ordinario, dovrebbero convocare un concilio imperfetto e procedere all’elezione del nuovo papa”.
Io sono ignorante, specie sotto il profilo del diritto canonico, ma quel condizionale (“dovrebbe”) mi fa intuire che siamo su sabbie mobili, nel regno dell’incertezza e forse con un piede nella fantareligione.
Tuttavia l’amico insiste: “Molti fedeli non riconoscono Bergoglio come pastore. Si tratta di prenderne atto. Nel Vangelo si legge che le pecore riconoscono il pastore e lo seguono. Il mercenario invece non lo seguono perché non ne riconoscono la voce. Dobbiamo solo applicare quel che insegna il Vangelo”.
Già, ma come? Osservo inoltre: possibile che il buon Dio ci lasci in questa condizione? Gli anni passano, la confusione aumenta, lo sconcerto si diffonde, alcuni perfino lasciano la Chiesa o sono tentati di farlo. In tutto questo come può esserci un disegno buono per noi?
Il mio amico non fa una piega: “Siamo in sede vacante. E nella storia ci sono stati periodi anche lunghi di sede vacante. Occorre prenderne consapevolezza”.
Osservo di nuovo: prenderne consapevolezza è un conto, arrivare a una decretazione è ben altro. E poi così non c’è forse il rischio di far perdere prestigio e credibilità al papato in quanto istituzione? Il risultato di tutto ciò non sarebbe quello di infliggere al papato un colpo mortale? A quel punto, altro che istituzione di origine divina! Essa sarebbe vista come un veicolo che può sbandare e andare fuori strada con incredibile facilità e del quale non ci si può fidare.
E qui il mio amico ammette: “Il rischio c’è”. Ma subito aggiunge: “Spetterà al papa legittimo il compito di ricostruire”.
Ripeto: sono un povero cattolico ignorante, e invidio la sicurezza del mio amico, ma mi sembra tutto alquanto imprecisato e fumoso.
Di recente ho letto un libro: Ipotesi teologica di un papa eretico, di Arnaldo Xavier da Silveira. Non ricordo se ve ne ho già parlato, comunque lo consiglio. Vi si affronta la questione del papa eretico arrivando a dimostrare che la possibilità che un pontefice possa cadere in eresia è condivisa dalla maggior parte dei teologi, ma resta oscuro un punto: quando, e come, un papa può perdere la sua carica perché considerato eretico?
Risponde san Roberto Bellarmino: se il papa cade in eresia pubblica e notoria smette per ciò stesso di essere membro della Chiesa e quindi, necessariamente, non può più esserne il capo.
Devo dire che ricevo quasi ogni giorno messaggi da lettori che la pensano così, ed io, nel mio cuore, posso concordare. Ma la Chiesa non è solo cuore, è anche istituzione visibile, è società umana che ha bisogno di norme riconosciute. Non basta “sentire” che il papa non è tale. Occorre che ci sia una presa di posizione legale, una sentenza. Da un lato c’è il peccato che il papa può commettere, dall’altro c’è il delitto. Da un lato c’è il rapporto spirituale con Dio, dall’altro c’è il vincolo giuridico che riguarda la Chiesa in quanto società visibile. E qui si torna al punto di prima: chi può avere l’autorità di emettere una sentenza nei confronti del papa visto che non c’è un suo superiore? Il mio amico parla di un concilio, ma un concilio potrebbe forse sfociare, al più, in una dichiarazione, non in una sentenza operativa, o sbaglio?
C’è poi da considerare il clima generale nel quale siamo immersi. Se ai tempi di un Bellarmino, in una società ancora cristiana, poteva essere relativamente agevole identificare e stigmatizzare l’eresia, oggi le visioni eretiche della nostra fede costituiscono il brodo di coltura in cui tutti (dal semplice fedele al parroco, dal vescovo al cardinale di curia) siamo totalmente immersi. Il che, prima ancora di arrivare ad affrontare la questione sotto il profilo giuridico, rende complesso – direi culturalmente – intenderci sull’idea stessa di eresia papale.
Una soluzione del busillis potrebbe forse essere fornita dal prendere in considerazione la rinuncia di papa Ratzinger al fine di dichiararla invalida. Ma, ammesso e non concesso di riuscire ad arrivare, sulla base di svariate considerazioni, a una tale dichiarazione di invalidità (ma da parte di chi? e con quale autorità vincolante?), essa basterebbe a “cancellare” il papato di Bergoglio?
Sarebbe bello se i più esperti (senza aggressività e senza astio verso le convinzioni diverse, ma con amore per la Chiesa e il papato) volessero fornire risposte usando la misericordia di parlare in modo comprensibile.
Quanto a me, mi sento separato dagli errori e dalle assurdità che quasi ogni giorno sono pronunciate dall’attuale successore di Pietro, ma non riesco a sentirmi separato da Pietro. Non posso.