Due lettere a “Duc in altum” su Bergoglio e la questione del papa eretico

di Fabio Battiston

Caro Aldo Maria,

ho letto con grande interesse il tuo lucido e accorato editoriale sul papa eretico [qui]. Le ultime “prodezze” delle quali sono stati protagonisti el gaucho e la sua cricca (discorso di Singapore, nuova dottrina sinodale del peccato eccetera) non fanno altro che aumentare angoscia, confusione e rabbia. Le tue parole esprimono, sulla base di fatti concreti e incontrovertibili, una situazione con cui, a quanto pare, siamo e saremo condannati a convivere.

Tuttavia il tempo di una diaspora cattolica appare sempre più vicino.

Volevo offrire un mio pensiero rispetto alle tue considerazioni. Pur concordando totalmente con quanto affermi, mi sento di dire che, purtroppo, lo scenario che ci si presenta innanzi non può e non deve essere limitato alla questione papa. Magari, e non è una provocazione, fosse solo questo il problema!

La figura, l’ideologia e l’azione di Mario Bergoglio (al netto del ruolo papale che, indipendentemente dalla persona, è e resta indiscutibile) sono soltanto la punta di un iceberg la cui immensa consistenza, solo apparentemente invisibile, vede la gran parte della Chiesa cattolica temporale, in tutte le sue componenti, decisamente schierata con il nuovo che avanza.

Il fatto che l’attuale pontefice possa essere defenestrato, rinnegato o deposto – con le più disparate operazioni che potrebbero essere messe in campo – non potrebbe mutare, a mio avviso, l’attuale corso degli eventi. La questione non è tanto risolvibile col “morto un papa se ne fa un altro” (è chissà quale mostruosità potrebbe sostituire l’inquilino di Santa Marta). Il vero problema è che oggi, anno del Signore 2024, le metastasi provocate dallo tsunami iniziato parecchi decenni fa hanno invaso ogni angolo della barca di Pietro. Già in passato ho espresso questa tesi che tuttavia, alla luce dell’ulteriore aggravamento della situazione, non posso che confermare.

Facciamo conto che, magicamente, il signor Jorge Mario Bergoglio cessi di essere papa. Che cosa resta? Un’immensità, caro Aldo Maria, ormai totalmente ubbidiente ai dettami della Nuova Chiesa Universale! Ecco un breve elenco: clero modernista (a ogni livello); teologi e teologia del nulla; nuove vocazioni, realtà seminariali e università figlie di settant’anni di apostasia; sincretismo imperante; movimenti laici ormai totalmente politicizzati e bracci armati di Onu 2030; catechisti e catechesi parrocchiali basate sui dettami dottrinali sinodali; comunicazione e informazione asservita; liturgia massacrata. Potrei continuare, ma meglio fermarsi qui.

Da quanto ho delineato e da tanto altro ancora nasce il mio pessimismo sulla possibilità che questa Chiesa del nulla possa essere, nel breve o medio termine, radicalmente trasformata. Ci vorrebbe una nuova Controriforma ma, all’orizzonte, non si intravedono personaggi di spessore né, tantomeno, potenziali santi in grado di guidare un simile processo.

Chiudo riportando un piccolo esempio di quanto l’essere cattolico si sia profondamente e radicalmente modificato nell’arco di appena un secolo. Ecco un brevissimo estratto da un’avvincente storia scritta nel 1911: “Il mio racconto è semplice, e può sembrare persino puerile. Poiché c’è al mondo un antico ribelle demagogo che penetra nei ritiri più raffinati per porgere la spaventevole novella che tutti gli uomini sono fratelli; e in qualsiasi luogo questo eguagliatore andasse sulla sua triste cavalcatura, padre Brown sentiva il dovere di seguirlo”.

Sono certo che chi ha avuto l’ardire di scrivere, tra le tante nefandezze, quella immonda sciocchezza di Fratelli tutti non abbia mai meditato su queste parole, sebbene poco prima di diventare papa abbia approvato una preghiera di intercessione in vista della possibile canonizzazione dello scrittore.

Il racconto in questione è Il passo strano che fa parte della raccolta L’innocenza di Padre Brown.

Un abbraccio.

*

di Antonio Polazzo

Caro Valli,

finisco ora di leggere il suo accorato articolo [qui] Bergoglio l’ideologo che sovverte la realtà. E ci spinge nel ginepraio del papa eretico. Articolo così apprezzabile in tutta la prima parte, in cui si rivendicano i diritti della verità, e così travolto dalle incertezze nella seconda parte, in cui si chiede “ma allora le cose come stanno in ordine al papato?”.

Perciò scrivo di getto, e probabilmente male. Sarà forse stanco di sentirmi. Il fatto è che noto davvero che in alcuni punti lei si perde in un bicchier d’acqua.

La distinzione tra piano reale e legale (consapevolezza di fatto, da un lato, ed esigenza di una sentenza, dall’altro), per esempio, è uno di quelli. Mi auguro tanto di aiutarla con un esempio: se lei vedesse due uomini entrare in una casa col passamontagna e spranghe di ferro, rompendo una finestra, e uscirsene con gioielli e denaro, lei saprebbe che quegli uomini sono ladri ben prima della sentenza dell’autorità che, dopo aver accertato che sono ladri, li condanni alla pena prevista dalle leggi vigenti.

Niente al mondo la convincerebbe che deve aspettare quello che accerta il giudice per poter pensare, lei stesso, se quei due uomini sono ladri oppure no.

Quello che invece non può fare è pretendere che, per l’ordinamento giuridico dello Stato in cui si trova, quei due uomini siano considerati ladri prima che l’autorità competente lo accerti appunto sul piano giuridico con efficacia vincolante per tutti i membri che soggiacciono alle norme di quell’ordinamento.

Vede, il fatto che mondo reale e mondo giuridico non sempre immediatamente vadano di pari passo nulla toglie alla realtà del mondo reale (perdoni il pleonasmo) e al nostro dovere di riconoscerla per quello che essa è.

Il problema di come stanno le cose sul piano legale è una conseguenza di come le cose stanno nella realtà.

La pronuncia dell’autorità, in questi casi, è prima di tutto ricognitiva della realtà, dichiarativa della realtà, non determinativa. Non è che prima della sentenza c’è “sentimento” e dopo la sentenza c’è la realtà. La realtà precede la sentenza, che ha il compito di dichiararla adeguando il mondo giuridico a quello reale.

Altro punto: la credibilità del papato. Il rischio che sia visto come “veicolo che può sbandare e andare fuori strada con incredibile facilità e del quale non ci si può fidare”, ci sarebbe se, in questa situazione, si ritenesse che la Sede non sia vacante, e non se si ritiene che lo sia. Infatti, se fosse davvero il papa, il successore di Pietro che dice quello che lei ben descrive nella prima parte del suo articolo, allora sì che saremmo tutti perduti e, certamente, il papato non sarebbe più credibile. Soltanto, invece, se non si tratta di un vero papa, di un vero successore di Pietro, questa conclusione deve escludersi. Soltanto se non si tratta di un vero papa può esserci “un disegno buono per noi”.

Altro punto. Gli autori che ritenevano possibile che un papa potesse cadere in eresia (noti, incidentalmente, però che sant’Alfonso de’ Liguori e san Roberto Bellarmino erano contrari a questa opinione) lo ritenevano con riguardo al papa come persona privata. Nella nostra situazione, invece, il panorama è totalmente diverso, perché è il magistero (apparente) che insegna errori ed eresie (ciò che era semplicemente inconcepibile per quegli autori), è il magistero (apparente) di un concilio ecumenico ad andare contro la fede. La cosa coinvolge dunque la verità di fede che concerne l’indefettibilità della Chiesa. E infatti è lì che vanno a parare le sue preoccupazioni (“ma allora che ne è del papato come istituzione divina?”, “ma allora c’è un disegno buono per noi o siamo perduti?”).

Altro punto. Le teorie sull’invalidità della rinuncia (che per me, sia chiaro, sono elucubrazioni senza senso), ma anche le teorie sulla nullità dell’ultima elezione per complotti di qualsivoglia natura, non vanno alla radice del problema. La questione dell’autorità si pone a partire dagli errori del “concilio”. Non ha senso, pertanto, perdere neanche un secondo su di esse.

Non si può essere con Pietro senza essere col successore di Pietro.

Un caro saluto.

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