Su Medjugorje una norma capestro imposta dal Vaticano
di Lorenzo Gnavi Bertea
Caro Aldo Maria Valli,
la lunga Nota emessa dal Dicastero per la dottrina della Fede a firma del prefetto Fernández e relativa alle apparizioni mariane di Medjugorje (Nota che, per inciso, è un modello di cerchiobottismo retorico atto a non scontentate nessuno e a dare un contentino a tutti) cela al proprio interno una norma dirompente: è la premessa necessaria per riproporre la censura che la Santa Sede mise in atto a suo tempo quando non accolse la richiesta di suor Lucia di svelare al mondo la parte conclusiva del messaggio che la Vergine le aveva affidato a Fatima, messaggio che negli intendimenti della Gran Madre di Dio doveva venire pubblicato entro in 1961 e che, invece, grazie alla disobbedienza di Giovanni XXIII, venne secretato e, peraltro, mai svelato del tutto!
Al paragrafo 39 della citata Nota leggiamo, infatti: “Il Visitatore Apostolico (…) opererà poi il discernimento di eventuali messaggi futuri – o di messaggi passati che non siano ancora stati pubblicati – e dovrà autorizzarne l’eventuale pubblicazione”.
Questa disposizione apparentemente innocua (e abilmente nascosta nei titoli di coda) è in realtà una pesante mannaia che grava sopra i dieci segreti che la Madonna affidò ai sei veggenti e che uno soltanto di essi – cioè, la veggente Miriana – dovrà svelare al mondo attraverso padre Petar Ljubicic, quando sarà giunto il tempo della pubblicazione.
La norma capestro sopra evidenziata non solo si propone di sindacare i contenuti dei messaggi della Madonna; non solo attribuisce agli uomini il potere di interferire con le scelte della Gran Madre di Dio, ma stravolge anche il meccanismo che la Vergine Santa aveva indicato a Miriana, introducendo un passaggio non contemplato, ovvero la messa al vaglio da parte del Visitatore Apostolico con la possibilità che questi (o chi per esso) ne impedisca la diffusione.
Va da sé che padre Petar Ljubicic, francescano, davanti a un diniego della Santa Sede a rivelare uno o più dei dieci segreti di Medjugorje, non potrà che attenersi all’ordine impartitogli in virtù del voto di obbedienza; e anche la veggente Miriana dovrà tacere perché la Madonna le indicò che i segreti dovevano essere rivelati da un sacerdote scelto da Miriana (padre Ljubicic, appunto) e non dalla veggente medesima.
Infine, anche i singoli messaggi che la Madonna è solita affidare una volta al mese alla veggente Marja, oppure annualmente ad alcuni altri veggenti, dovranno d’ora in poi passare sotto le forche caudine del Visitatore Apostolico, il quale potrà o non potrà autorizzarne l’eventuale pubblicazione. E qui si noti bene: il testo di Fernández non parla di pubblicazione tout court, ma di “eventuale” pubblicazione, così sottintendendo che la normale prassi dovrà essere la secretazione dei messaggi.
Occorrerebbe domandarsi, infine, a che titolo la Chiesa pretenda di vagliare messaggi a cui la stessa Nota di Fernández non riconosce il carattere della soprannaturalità e i cui destinatari vengono dalla Nota medesima definiti “presunti” veggenti: insomma, che senso ha che un Visitatore Apostolico vagli delle banali “presunzioni”, per giunta non soprannaturali?
Alla luce di quanto esposto, ci sono fondate ragioni per sospettare che la Nota del Dicastero per la dottrina della Fede sia in realtà un astuto e ben camuffato escamotage per scongiurare il rischio che dal Cielo vengano rivelati eventi oppure espressi giudizi non graditi all’attuale gerarchia ecclesiastica.
Il bavaglio messo oggi a Medjugorje, sulla falsariga di quello imposto una sessantina di anni fa a Fatima, altro non è che un triste déjà vu che dovrebbe farci sospettare che il nemico infernale è ben lungi dall’essere incatenato e che oggi più che mai “va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare”.