Celibato ecclesiastico. Contro le inesattezze storiche e teologiche, ribadire la legge della Chiesa
Sarà presto in libreria il nuovo libro di monsignor Cesare Bonivento Celibe perché configurato a Cristo. Veloce panoramica storico-teologica sul celibato ecclesiastico (Editore Pazzini), opera con la quale monsignor Bonivento (vescovo emerito di Vanimo in Papua Nuova Guinea e ora formatore di seminaristi del Pime in India) torna sul tema al quale da anni sta dedicando studi e approfondimenti. Di monsignor Bonivento Duc in altum ha pubblicato in passato diversi contributi, fra i quali ricordiamo l’intervista concessa al nostro blog: “Ecco perché la continenza è dovere inderogabile” [qui].
Per gentile concessione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo l’introduzione del nuovo libro.
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di monsignor Cesare Bonivento
Un fatto assolutamente nuovo
Nel 2019 è capitato un fatto sorprendente: per la prima volta il Santo Padre si è trovato di fronte a un organismo ufficiale della Chiesa cattolica che gli chiede di ordinare al presbiterato per la regione amazzonica uomini sposati che vivono la loro normale vita matrimoniale [1].
La richiesta del documento finale del Sinodo dei vescovi non è di poco conto sia dal punto di vista teologico che pastorale. Tanto più se si pensa che essa è convergente con le finalità del Sinodo della Chiesa tedesca, che notoriamente è molto favorevole al celibato opzionale.
La pubblicazione del documento finale del Sinodo dei vescovi del 2019 non poteva quindi non provocare una grave tensione in tutta la Chiesa, perché è tradizione che il Santo Padre dia una risposta ufficiale al documento finale dei sinodi a distanza di pochissimi mesi. Non erano pochi quelli che pensavano che il Santo Padre avrebbe aderito alle richieste del documento finale. Molti lo speravano con grande gioia pensando a una modifica positiva per il rinnovamento della Chiesa e a una nuova dinamica che sarebbe stata impressa all’evangelizzazione dell’Amazzonia e del mondo intero. Altri invece temevano che, se il Santo Padre avesse aderito alla richiesta del Sinodo, si sarebbe fatto un passo rischiosissimo per tutta la Chiesa cattolica.
Con sorpresa di tutti invece nella Querida Amazonia, cioè nella risposta ufficiale del Santo Padre al documento finale del Sinodo sull’Amazzonia, non venne fatto alcun accenno alla richiesta di avere anche nella Chiesa cattolica i preti sposati. Forse il Papa aveva voluto evitare l’ostacolo, trincerandosi nel silenzio? Forse il Santo Padre aveva semplicemente trovato il modo di dilazionare la sua risposta? Purtroppo furono pochi i fedeli che si sentirono completamente rasserenati dal silenzio del Papa. Tuttavia è un grave sbaglio pensare che il Papa non abbia detto niente in proposito. Certamente è vero che il Papa ha chiaramente evitato di affrontare direttamente il problema dei preti sposati, ma non è vero che non abbia detto niente. Infatti, Papa Francesco, pur toccando tutti gli aspetti della situazione attuale dell’Amazzonia, ha voluto dare spazio anche alla descrizione dell’identità del sacerdote. Egli ha così accennato a principi teologici di grandissima importanza, che non possono assolutamente essere trascurati da chi volesse approfondire il tema del clero uxorato. Per esempio al n. 87 dice: «Il modo di configurare la vita e l’esercizio del ministero dei sacerdoti non è monolitico e acquista varie sfumature in luoghi diversi della terra. Perciò è importante determinare ciò che è più specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato. La risposta consiste nel sacramento dell’Ordine sacro, che lo configura a Cristo sacerdote. E la prima conclusione è che tale carattere esclusivo ricevuto nell’Ordine abilita lui solo a presiedere l’Eucaristia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile. Alcuni pensano che ciò che distingue il sacerdote è il potere, il fatto di essere la massima autorità della comunità. Ma san Giovanni Paolo II ha spiegato che, sebbene il sacerdozio sia considerato gerarchico, questa funzione non equivale a stare al di sopra degli altri, ma «è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo». Quando si afferma che il sacerdote è segno di «Cristo capo», il significato principale è che Cristo è la fonte della grazia: Egli è il capo della Chiesa «perché ha il potere di comunicare la grazia a tutte le membra della Chiesa».
Al n. 88 così procede: «Il sacerdote è segno di questo Capo che effonde la grazia anzitutto quando celebra l’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana. Questa è la sua grande potestà, che può essere ricevuta soltanto nel sacramento dell’Ordine sacerdotale. Per questo lui solo può dire: “Questo è il mio corpo”. Ci sono altre parole che solo lui può pronunciare: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”. Perché il perdono sacramentale è al servizio di una degna celebrazione eucaristica. In questi due Sacramenti c’è il cuore della sua identità esclusiva».
Sono parole chiare e forti sull’identità del sacerdote e in piena armonia con il Vaticano II, cioè con il Concilio ecumenico che proprio basandosi su questi principi ha riconfermato la legge del celibato ecclesiastico.
Il dibattito sul celibato non si ferma
Comunque è un dato di fatto che le parole del Papa non hanno posto fine alla questione del celibato sacerdotale/preti sposati, anzi l’hanno acuita ulteriormente. Qualche giorno dopo la pubblicazione della Querida Amazonia, il 17 febbraio 2020 l’Osservatore Romano pubblicava un articolo dell’allora arcivescovo di La Plata, monsignor Víctor Manuel Fernández, in cui si diceva: «Qualcuno ha sostenuto che Francesco ha “chiuso le porte” alla possibilità di ordinare alcuni uomini sposati, oltre a escludere altre proposte del sinodo. La verità è che Francesco su questo tema non ha chiuso né aperto porte, ha solo evitato di procedere con soluzioni affrettate».
Si deve dunque concludere che la questione è ancora aperta? Sembra di sì, specialmente se si considera che proprio in questo periodo gran parte dei media sostengono chi nell’alto clero si mostra a favore dell’opzionalità del celibato, che in pratica significa l’abolizione della legge in merito.
Del resto in questi ultimi due anni si è dovuto prendere atto che un numero sempre più grande di alte autorità ecclesiastiche sostengono apertamente l’idea dell’opzionalità del celibato ecclesiastico per le motivazioni più svariate, come ad esempio: i tempi sono cambiati, la gravità degli scandali causati da persone consacrate, la mancanza di vocazioni, l’indebolimento della fede [2].
Tra i fatti più significativi che operano a favore del celibato opzionale nel mondo cattolico ce ne sono due che meritano di essere richiamati con forte rilievo per il fatto che sono ormai penetrati profondamente nella realtà ecclesiale cattolica sia occidentale che orientale, nonostante siano in evidente contrasto con la legge tradizionale della Chiesa.
Questi due elementi sono:
1) Il diaconato permanente concesso a uomini sposati, senza vincolo della continenza. Questa realtà è particolarmente visibile nella Chiesa cattolica di rito latino, dal Concilio Vaticano II in poi.
2) La disciplina ecclesiastica di alcune Chiese cattoliche orientali, che ordinano al diaconato e al presbiterato uomini sposati, essi pure senza l’obbligo di osservare la continenza sacerdotale.
Questa situazione sembra essere ormai pratica indiscussa e definitivamente acquisita in alcuni settori della Chiesa cattolica: il primo con particolare riferimento alla Chiesa cattolica di rito latino, il secondo che riferimento ad alcune Chiese cattoliche orientali.
In conseguenza, le ordinazioni sacre al diaconato e al presbiterato di uomini sposati senza l’obbligo della continenza sacerdotale sembrano essere pratica normale in qualche parte della Chiesa cattolica.
Tale situazione di stallo senza tentativi di miglioramento richiede urgente attenzione, perché se non si pone attenzione all’attuale modus vivendi in atto in alcune parti della Chiesa cattolica il silenzio della Chiesa cattolica potrebbe essere interpretato sempre di più da alcune conferenze episcopali come un permesso tacito all’abbandono progressivo del celibato/continenza cattolici.
Il peggio è che questa incertezza non nasce da solidi dati teologici e storici, ma solo da affermazioni infondate e gravemente inesatte sia storicamente sia teologicamente [3].
Uno dei casi più eclatanti è quello del documento finale del Sinodo sull’Amazzonia del 2019 che chiede al Santo Padre di approvare l’ordinazione al presbiterato di uomini sposati. Questa richiesta è basata citando in modo gravemente inesatto il n. 16 della Presbyterorum Ordinis [4].
Naturalmente le inesattezze storiche e dottrinali riguardanti il celibato ecclesiastico rappresentano il terreno più fertile per l’incremento dell’incertezza cui stiamo accennando e che sta danneggiando così tanto la Chiesa.
Lo scopo di questa ricerca teologica
È per questo che è utile presentare a tutti coloro che stanno dibattendo il problema del celibato/continenza ecclesiali alcuni elementi storici e teologici che molto spesso vengono dimenticati o non sottolineati da chi discute accoratamente sul celibato ecclesiastico. Tra questi elementi, il più importante è senza dubbio la continuità dell’insegnamento quasi bimillenario del Magistero ecclesiastico.
Si rimarrà sorpresi, leggendo anche velocemente queste poche pagine, nel vedere che per venti secoli la Chiesa non solo ha richiamato la fedeltà al celibato sacerdotale a tutti coloro che avevano ricevuto gli Ordini sacri da celibi, ma ha anche richiamato innumerevoli volte la fedeltà alla continenza sacerdotale da parte di tutti coloro che avevano ricevuto gli Ordini sacri da sposati. Celibato e continenza ecclesiali [5] hanno sempre camminato di pari passo, perché sono sempre stati richiesti contemporaneamente dalla Chiesa, fin dai tempi apostolici. L’insegnamento dottrinale della Chiesa non li ha mai disgiunti nonostante le innumerevoli pressioni, esterne ed interne, subite nel corso dei suoi venti secoli di storia.
Questa certezza ci permetterà di considerare con particolare attenzione i due fenomeni accennati più sopra, e cioè l’attuale modo di esercitare il Diaconato permanente da parte di molti sposati nella Chiesa Latina, e l’attuale disciplina seguita da alcune Chiese cattoliche orientali che non impongono la continenza perpetua ai diaconi e presbiteri sposati.
Spero che questa maggior conoscenza del contenuto e della continuità dell’insegnamento della Chiesa, a riguardo del celibato e della continenza sacerdotali attraverso le varie epoche storiche, possa aiutare soprattutto i seminaristi affinché la decisione che hanno preso o che stanno per prendere non venga disturbata da idee totalmente estranee e contrarie alla loro vocazione, e sia ben fondata sulla Parola di Dio e sul vero Magistero della Chiesa. Spero soprattutto essi sappiano interpretare nel giusto modo il silenzio che Papa Francesco ha voluto sapientemente mantenere nella Querida Amazonia.
Il silenzio di Papa Francesco non significa che la Chiesa sia priva di insegnamento o che essa sia incerta su questo tema importantissimo. Il Papa lo sa, e se ora tace su questo punto, è solo per ricordarci che l’insegnamento della Chiesa esiste già da due mila anni, e questo è ancora valido oggi, come lo è stato in tutte le epoche precedenti.
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[1] Documento finale del Sinodo speciale per la Regione pan-amazzonica, n.111: “Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all'unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al servizio (cfr. LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo che, nel quadro di Lumen gentium 26, l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all'argomento”.
[2] Già nel 2006 la stampa mise in forte risalto le affermazioni ad esempio del cardinale Hummes che, nel 2006, partendo per Roma per assumere il suo nuovo incarico di prefetto della Congregazione del clero, in un’intervista al quotidiano Estado de Sao Paulo, affermò che «anche se i celibi fanno parte della storia e della cultura cattoliche, la Chiesa può riflettere sulla questione del celibato, perché non è un dogma, ma una norma disciplinare». La sua affermazione venne riportate con risalto da numerosi quotidiani e agenzie di stampa internazionale. Poco dopo apparvero altre prese di posizioni. Tra le molte ricordiamo quelle del cardinale Schonborn (cfr. Sandro Magister, Eunuchi per il Regno dei Cieli); cardinale Reinhard Marx (omelia alla Messa di capodanno nella Cattedrale di Nostra Signora a Monaco di Baviera, 2019); monsignor Lobinger Fritz (L’Osservatore Romano, 6 febbraio 2019); monsignor Erwin Krautler (cfr. Christa Pongratz-Lippitt, The Tablet, aprile 2014); monsignor Franz-Josef Bode, LifeSiteNews, 8, 2019). Nel 2013 padre Antonio Sciortino di Famiglia cristiana diceva: «II celibato non è un dogma. E mai nella storia ne è stata rivendicata l’origine divina. Nella Chiesa occidentale si è affermato più per ragioni pastorali o di opportunità, che per ragioni teologiche e dottrinali… La Chiesa, quindi, potrebbe un giorno decidere diversamente da quanto avviene oggi… Non si tratta, quindi, di materia che abbia a che fare con la sostanza del Sacramento del sacerdozio, ma di una legge vigente nella Chiesa occidentale, che il Papa o un Concilio ecumenico potrebbero cambiare in qualsiasi momento». Questo brano è tratto dal libro La morale, la fede e la ragione, dialogo-intervista tra Giovanni Valentini e don Antonio Sciortino (prefazione di Eugenio Scalfari). Le ragioni portate più frequentemente a favore dell’opzionalità del celibato ecclesiastico sono le seguenti: gli scandali, la pedofilia, l’omosessualità, il celibato non è altro che un’istituzione ecclesiastica, il celibato non è un dogma, il Vaticano II ha abolito la legge del celibato ecclesiastico con l’approvazione dei diaconi permanenti sposati, eccetera.
[3] Un esempio, tra i tanti, è disponibile su internet a riguardo di don Serrone, fondatore di un’associazione che offre supporto e aiuto ai sacerdoti che decidono di sposarsi. Egli dice: «Questa (il celibato) è una normativa ecclesiale che non ha basi scritturistiche. Appartiene a un contesto storico particolare. Di solito si fa risalire al 1050, anche se viene sancita definitivamente durante il Concilio di Trento. Ma, ripeto, nelle Sacre Scritture non ci sono dati che avallano l’apologia del celibato. Nella Bibbia si dice persino che Pietro aveva una suocera. È lecito pensare, dunque, che fosse sposato». Purtroppo questo modo di parlare del celibato è ora abbastanza comune in molti ambienti ecclesiastici.
[4] Il n. 111 cita in modo inesatto la Presbyterorum Ordinis, 16. Esso dice: «Sappiamo che questa disciplina, non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio». In verità la parola disciplina non appare in PO 16; al contrario, il testo vaticano dice: «La perfetta e perpetua continenza… non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio». Con queste parole il Concilio intende parlare solo della verginità per dire che il celibato non è l’unico modo di accedere al Sacerdozio. Questa è anche l’interpretazione magisteriale data da Paolo VI col n. 17 della Sacerdotalis caelibatus, dove si legge: «Certo, come ha dichiarato il Sacro Concilio Ecumenico Vaticano II, la verginità non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta dalla prassi della Chiesa primitiva e dalla tradizione delle Chiese orientali, ma lo stesso sacro Concilio non ha dubitato confermare solennemente l’antica, sacra, provvidenziale vigente legge del celibato sacerdotale, esponendo anche i motivi che la giustificano per quanti sanno apprezzare in spirito di fede e con intimo e generoso fervore i doni divini». Dunque, secondo Paolo VI il Vaticano II con l’inciso di cui sopra non ha inteso dire che la tradizionale legge del celibato derivante dalla Chiesa primitiva non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, ma solo dire che lo stato celibatario non è l’unica via di accesso al Sacramento dell’Ordine, come lo dimostra la presenza di Pietro nel collegio apostolico e come lo dimostrano la Chiesa subapostolica e i primi sette secoli della Chiesa.
[5] Facciamo osservare che nel corso della nostra trattazione usiamo abbastanza indifferentemente l’espressione «celibato/continenza ecclesiali» e l’espressione «celibato/continenza sacerdotali». Ambedue hanno lo stesso significato. Tuttavia usiamo la prima prevalentemente per riferirci in modo comprensivo ai doveri di tutti e tre i gradi del Sacramento dell’Ordine: diaconato, presbiterato ed episcopato; usiamo invece la seconda quando il testo si riferisce più specificamente ai doveri dell’episcopato e del presbiterato.