di Vincenzo Rizza
Caro Aldo Maria,
il Santo Padre durante i colloqui con i gesuiti di Indonesia, Timor Est e Singapore li ha esortati, in nome della misericordia, a perdonare sempre: “Se uno chiede perdono, voi perdonatelo. Confesso che in 53 anni di sacerdozio non ho mai rifiutato un’assoluzione. Anche se era incompleta” [qui].
In verità in passato sempre il Santo Padre aveva riferito di avere, almeno una volta, rifiutato l’assoluzione “per l’ipocrisia della persona”. Mi chiedo quale peccato orribile abbia commesso quel poveraccio, unico al mondo a non aver beneficiato della misericordiosa acquiescenza del futuro papa. Forse starà ancora errando disperato come Pattume, il peccatore interpretato da Gigi Proietti in Brancaleone alle crociate, reo di un peccato tanto ripugnante da non potere essere rivelato a orecchie umane. Non escludo, tuttavia, che possa avere commesso qualcuno dei neo-peccati, imperdonabili (in ogni senso), della chiesa in uscita: bere dell’acqua da una bottiglietta di plastica, peccando contro il creato, o magari orgogliosamente partecipare a una messa vetus ordo, commettendo il peccato della dottrina usata come pietre da scagliare contro.
A ogni modo, l’ennesima uscita papale conferma il rovesciamento della sana Dottrina tenuto conto che si passa dal dovere del fedele di confessarsi al diritto del fedele di essere assolto, e del conseguente dovere del sacerdote di assolvere sempre e comunque, perfino in caso di “assoluzione incompleta”.
In verità già nel 2022, rivolto ai partecipanti al trentaduesimo corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica, Francesco aveva parlato del perdono come “diritto umano”, precisando, tuttavia e per fortuna, che “nel mistero pasquale di Cristo, lo ha donato in modo totale e irreversibile ad ogni uomo disponibile ad accoglierlo, con cuore umile e pentito” [qui].
Il “cuore umile e pentito”, pertanto, appariva ancora necessario per accogliere quel dono, paragonato ad una “medicina potente per l’anima e la psiche”.
Il concetto si è, tuttavia, evoluto con l’arrivo del nuovo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede il quale, ottemperando al compito assegnatogli dal pontefice di non perseguitare gli errori dottrinali ma di accogliere il magistero recente, nel novembre 2023 ha di fatto avallato, perfino goffamente travisando alcuni scritti di san Giovanni Paolo II, la possibilità di perdonare il peccatore anche se “nel penitente non appare in modo pienamente manifesto un proposito di emendamento”.
Coerentemente oggi il papa sancisce il dovere del sacerdote di assolvere, come un farmacista che ha il dovere di consegnare al cliente la medicina riportata sulla ricetta anche se è un mero placebo.
L’evoluzione della chiesa in uscita non ha limiti. La confessione non più come sacramento ma come medicina, come la scatola di Misericordina fatta distribuire dal papa in piazza San Pietro nel 2013: abbandonata la teologia, ci si affida alla farmacologia.