Caro Aurelio…

Caro Aurelio,

tu dici che probabilmente il sottoscritto, in quanto papà e nonno, vivrà con apprensione il “cambio di paradigma” che, con tutta evidenza, caratterizza l’attuale fase storica. Beh, ti devo contraddire. In quanto papà e nonno cristiano, non nutro apprensione. Non timebo malum. Certo, la gravità della situazione non mi sfugge, ma vivo ogni giorno, ogni momento, con infinita gratitudine nei confronti del buon Dio per tutto ciò che dona a me, ai miei cari, ai miei amici.

Dirai: “Ma come fai? Non vedi che tutto sembra crollare? Non vedi che tornano con prepotenza i venti di guerra? Non vedi che la Chiesa sembra in mano a falsi pastori?”.

Caro Aurelio, vedo tutto, e forse ne parlo fin troppo, come sanno bene i lettori di Duc in altum. Ma non ho difficoltà a dire che le ragioni della speranza sono, in me, infinitamente più grandi di ogni difficoltà. So che il buon Dio non abbandona e non tradisce. Se ci espone a prove impegnative lo fa per il nostro bene, per la nostra crescita morale e nella fede.

D’altra parte mi chiedo: quanti sono stati i momenti storici nei quali l’umanità è sembrata sull’orlo del baratro? E quante volte la Chiesa stessa si è trovata a fare i conti con feroci contrasti e tremendi tradimenti al suo interno? Se ci mettessimo a fare un elenco non finiremmo mai. La storia della Chiesa è una storia di ricorrenti rigenerazioni, anche dopo colpi che avrebbero ucciso qualunque altra istituzione di origine solo umana e non divina.

Quanto al problema della fine del mondo, semplicemente non me lo pongo. Per carattere, sono alieno da ogni forma di millenarismo. Non faccio parte di gruppi o movimenti che parlano di cataclismi ed eventi trasformativi. Non consulto aruspici e non guardo nemmeno l’oroscopo. Certamente, cerco, con tutti i miei limiti, di essere attento ai segni di Dio, ma non con l’ansia di interpretarli in vista di chissà quali trasformazioni. Confesso che non sono particolarmente appassionato nemmeno alle apparizioni. “Gesù, pensaci tu” diceva don Dolindo Ruotolo, e io lo ripeto insieme a lui.

La mia fiducia nel buon Dio è totale e incondizionata. Non tocca a me fare la giustizia: ci pensa Lui. Dunque, perché dovrei angustiarmi?

Sento già l’accusa: “Così cadi nel quietismo!”.

No, non rincorro la quiete passiva, né sono attratto dall’indifferenza mistica. Altrimenti non lavorerei ogni giorno al blog e non sarei qui a confrontarmi con te. La mia fiducia nel buon Dio non implica l’abbandono dell’impegno. Implica l’abbandono a Lui.

A volte, quando mi occupo della Chiesa, mi scaldo e subito dopo me ne pento, perché dovrei essere meno impulsivo. Ma è la passione che mi fa infervorare, non la paura.

Circa l’affermazione di Ratzinger, che fustigava certi progressisti ma anche certi tradizionalisti, e nella quale tu ti identifichi, devo dire che certamente dobbiamo sempre evitare di assumere posizioni di superiorità e alterigia, ma in generale i tradizionalisti che conosco sono semplicemente buoni cattolici che, a fronte di un attacco ormai totale, non fanno altro che resistere come possono, spesso senza mezzi e senza appoggi di alcun tipo. In loro non vedo superbia. Vedo piuttosto il tentativo, a fronte di una vera rivoluzione, di applicare metodi controrivoluzionari. Dei quali oggi c’è un gran bisogno, perché l’aggressione è arrivata al cuore stesso della fede.

continua

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Caro Aldo Maria                             8 agosto 2024

Caro Aurelio                                     9 agosto 2024

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