Sui nuovi peccati della nuova chiesa (apostatica)

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

la celebrazione penitenziale [qui] che si è svolta in Vaticano il 1° ottobre scorso ha visto protagonisti alcuni cardinali che hanno letto le intenzioni personalmente scritte dal pontefice per chiedere perdono dei neo peccati.

Su Duc in altum è già stata sottolineata la natura surreale, al limite del ridicolo, della cerimonia, triste parodia dei processi di staliniana memoria in cui molti prigionieri politici erano costretti a firmare confessioni redatte dai loro carcerieri.

In realtà c’è una sostanziale differenza tra le confessioni dei prigionieri politici sovietici e le intenzioni lette dai cardinali: le confessioni dei prigionieri erano false ed erano sottoscritte sotto tortura o minaccia di morte; le intenzioni lette dai cardinali sono pienamente condivise e rivolte non a formulare una reale autocritica ma a sottolineare i presunti errori del passato che oggi la nuova illuminata gerarchia vuole combattere.

Tra le altre, tre intenzioni mi hanno particolarmente colpito.

La prima, letta dal cardinale Víctor Manuel Fernández:

Chiedo perdono provando vergogna per tutte le volte che nella Chiesa, in particolare noi pastori ai quali è affidato il compito confermare i fratelli e le sorelle nella fede, non siamo stati capaci di custodire e proporre il Vangelo come fonte viva di eterna novità, forse “indottrinandolo” e rischiando di ridurlo a un cumulo pietre morte da scagliare contro gli altri. Chiedo perdono, provando vergogna per tutte le volte che abbiamo dato giustificazione dottrinale a trattamenti disumani. Chiedo perdono, provando vergogna per quando non siamo stati testimoni credibili del fatto che la verità libera, per quando abbiamo ostacolato le diverse legittime inculturazioni della verità di Gesù Cristo, il quale percorre sempre i sentieri della storia e della vita per farsi trovare da coloro che vogliono seguirlo con fedeltà e gioia. Chiedo perdono, provando vergogna per le azioni e le omissioni che hanno impedito e ancora rendono difficile la ricomposizione in unità della fede cristiana nella nostra vita, e l’autentica fraternità di tutto il genere umano. Perdonaci Signore”.

Il cardinale, invece di chiedere perdono e provare vergogna per le sue discutibili (eufemismo) pubblicazioni letterarie, per le sue controverse tesi tacciate anche di eresia e per le recenti dichiarazioni che anziché confermare i fratelli nella fede li abbandonano nei loro peccati, di fatto chiede perdono per chi si ostina a mantenere viva la fede esercitando la forma più alta di misericordia: diffondere il Vangelo e correggere chi si allontana dalla retta Via.

La seconda, letta dal Cardinale Michael Czerny:

Chiedo perdono, provando vergogna per quello che anche noi fedeli abbiamo fatto per trasformare il creato da giardino a deserto, manipolandolo a nostro piacimento; e per quanto non abbiamo fatto per impedirlo. Chiedo perdono, provando vergogna, per quando non abbiamo riconosciuto il diritto e la dignità di ogni persona umana, discriminandola e sfruttandola – penso in particolar modo alle popolazioni indigene – e per quando siamo stati complici di sistemi che hanno favorito la schiavitù e il colonialismo. Chiedo perdono, provando vergogna, per quando abbiamo preso e prendiamo parte alla globalizzazione dell’indifferenza di fronte alle tragedie che trasformano per tanti migranti le rotte del mare e i confini tra nazioni da via di speranza a via di morte. Il valore della persona è sempre superiore a quella del confine. Sento in questo momento la voce di Dio che chiede a tutti noi «Dov’è tuo fratello; dov’è tua sorella?». Perdonaci Signore”.

Tralasciando il solito riferimento ai migranti, refrain cui oramai siamo abituati che dimentica il diritto di ciascuno Stato di preservare i propri confini, si chiede perdono e si prova vergogna per il creato trasformato dall’uomo “da giardino a deserto”.

Premesso che anche il deserto fa parte del creato (e nella Bibbia è spesso indicato come il luogo della prova o come il luogo della preghiera), emerge come sempre una visione del creato distorta: l’uomo al servizio del creato e l’uomo tanto potente da poter distruggere ciò che Dio ha realizzato.

Da un lato la madre terra, l’ambiente sembrano divinizzati; dall’altro l’uomo appare come un virus letale che distrugge l’armonia del creato e che pertanto dovrebbe farsi da parte.

In realtà si dimentica che nella Genesi Dio, dopo aver creato tutte le cose, ha creato l’uomo (“maschio e femmina”) a sua immagine e somiglianza dandogli un comando: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”.

Solo all’uomo è quindi comandato di soggiogare e dominare la creazione. Lo stesso San Francesco riconosce che la natura è un dono di Dio, regalata all’uomo perché la domini e la accudisca con amore per il suo sostentamento.

Peccato che all’epoca della Genesi e di san Francesco non ci fossero ancora i registratori.

La terza, letta dal cardinale Cristóbal López Romero:

Chiedo perdono a nome di tutti nella Chiesa, provando vergogna per quando abbiamo girato la testa dall’altra parte di fronte al sacramento del povero, preferendo adornare noi stessi e l’altare di colpevoli preziosità che sottraggono il pane all’affamato. Chiedo perdono, provando vergogna per l’inerzia che ci trattiene dall’accogliere la chiamata a essere Chiesa povera dei poveri e che ci fa cedere alla seduzione del potere e alle lusinghe dei primi posti e dei titoli vanagloriosi. Chiedo perdono, provando vergogna, per quando cediamo alla tentazione di nasconderci al centro, protetti dentro i nostri spazi ecclesiali malati di autoreferenzialità, resistendo a uscire, trascurando la missione nelle periferie geografiche ed esistenziali. Perdonaci Signore”.

Il cardinale (insieme al Papa che ha scritto il messaggio) dimentica che “adornare … l’altare di colpevoli preziosità” in realtà è un modo di rendere gloria a Dio che merita ciò che più è prezioso. Non sono miei pensieri, ma del poverello d’Assisi, cui si è ispirato il Papa nella scelta del nome. È proprio san Francesco, nella prima lettera ai custodi [qui], a ricordare loro di supplicare “umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa” . Tale devozione è oggi dimenticata anche in nome di un pauperismo da quattro soldi: la neo chiesa in uscita ha solennemente dichiarato guerra alla povertà; peccato che i veri poveri (innanzitutto quelli di spirito) sembra la stiano perdendo.

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Foto da vaticannews.va

 

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