Canada / Così è nato il mito dei “bambini scomparsi” nelle scuole residenziali. E così è stato smascherato

È il 27 maggio 2021 quando Rosanne Casimir, responsabile della Tk’emlúps te Secwepemc, annuncia che un radar a penetrazione terrestre (strumento geofisico che utilizza impulsi radar per creare un’immagine del sottosuolo) ha localizzato a Kamloops, nella Columbia Britannica, i resti di ben 215 bambini scomparsi e sepolti in un frutteto nell’area di una ex scuola residenziale, uno dei collegi istituiti alla fine del XIX secolo dal governo canadese e affidati per lo più alla Chiesa cattolica, alla Chiesa anglicana e alla Chiesa unita del Canada per ospitare, accogliere e istruire bambini aborigeni canadesi.

Politici e media subito parlano di storie dell’orrore: “sepolture di massa”, “sepolture di bambini scomparsi”. In tutto il Canada e poi nel mondo intero si grida allo scandalo. Il primo ministro Justin Trudeau denuncia quello che definisce “razzismo sistemico” e ordina che le bandiere canadesi siano esposte a mezz’asta su tutti gli edifici federali per onorare i “215 bambini le cui vite sono state cancellate nella scuola residenziale di Kamloops”.

La Tk̓emlúps te Secwépemc’ (pronuncia suh-Wep-muhc, il popolo della confluenza, “dove si incontrano i fiumi”, uno dei popoli di lingua Salish Secwépemc nella Columbia Britannica) è una comunità che ha oggi un governo indigeno, e la sua responsabile, la signora Casimir, dopo la scoperta delle sepolture e le scuse formali di Trudeau agli indigeni, per manifestare il suo sdegno decide di non partecipare alla prima Giornata nazionale per la verità e la riconciliazione del Canada.

Nel Paese la scoperta delle tombe dei bambini indigeni diventa la notizia dell’anno e il prestigioso premio World Press Photo of the Year viene assegnato a una “immagine inquietante di abiti rossi appesi a croci lungo una strada, con un arcobaleno sullo sfondo, in commemorazione dei bambini morti in una scuola residenziale creata per assimilare i bambini indigeni in Canada”.

Il commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani si unisce alle voci scandalizzate e condanna la “violazione dei diritti umani su larga scala”.

Nel luglio 2022 papa Francesco va in Canada per un “pellegrinaggio penitenziale”, chiede perdono e sul volo di ritorno parla di “genocidio” degli indigeni.

Si fa sentire persino il governo comunista cinese: “Storicamente, il Canada ha derubato gli indigeni della terra, li ha uccisi e ha sradicato la loro cultura”.

In seguito, diversi edifici che hanno ospitato i collegi sono dati alle fiamme.

Nello stesso tempo, alcuni incominciano a farsi qualche domanda. Sono giudici, avvocati, professori, giornalisti e pongono un problema molto semplice: dove sono le prove? Molti di questi professionisti sono in pensione. Non hanno niente da perdere, sono liberi da condizionamenti e fanno fronte senza paura all’accusa di negazionismo.

Due autori, C.P. Champion e Tom Flanagan, pubblicano un libro intitolato Grave Error. How the Media Misled Us. And the Truth About Residential Schools (Errore grave. Come i media ci hanno ingannati. La verità sulle scuole residenziali), raccolta di saggi che respingono la narrazione dominante definendola una vera e propria mitologia.

Analizzando le storie su tombe senza nome, bambini scomparsi, frequenza forzata alle scuole e “genocidi”, Champion e Flanagan arrivano a una conclusione netta: la narrazione dominante è sbagliata. Anzi, è falsa.

I saggi raccolti nel libro non sono scritti da illustri sconosciuti. Molti di loro in passato hanno collaborato per importanti quotidiani, riviste nazionali, pubblicazioni accademiche, case editrici universitarie. Come spiega Flanagan, gli autori sono accomunati da una consapevolezza: sanno che i mass media più diffusi e il pensiero mainstream, di cui fanno parte anche i leader religiosi e politici, hanno ben poca voglia di opporsi al flusso narrativo dominante, dal quale poi nasce il panico morale.

Il professore in pensione Hymie Rubenstein e i suoi collaboratori fanno una cosa a cui, a quanto pare, nessun giornalista di indagine ha mai pensato: verificano le presunte prove dei risultati dello strumento impiegato per scoprire le sepolture. Risultato: non c’è niente. Niente!

Il giornalista Jonathan Kay spiega come i media abbiano diffuso vere e proprie fake news.

Il professore in pensione Ian Gentles esamina le condizioni igieniche e di salute degli alunni ospitati nei collegi e dimostra che i bambini stavano molto meglio lì che a casa, nelle riserve indiane.

Flanagan, dati alla mano, dimostra che la frequenza alle scuole residenziali non ha affatto creato un trauma collettivo responsabile delle patologie sociali nelle comunità indigene, le cui origini vanno cercate altrove.

Il primo saggio, In Kamloops Not One Body Has Been Found (A Kamloops non è stato trovato nemmeno un corpo), dello storico di Montreal Jacques Rouillard, mette radicalmente in discussione la narrazione dominante e ne scopre tutti i buchi.

Frances Widdowson dimostra come la leggenda dei bambini assassinati e delle tombe senza nome sia stata diffusa da un ministro della Chiesa unita, Kevin Annett, ex laico, prima che saltasse fuori la storia delle sepolture nel frutteto.

Il libro dimostra che tutti gli elementi principali utilizzati per imporre un certo tipo di narrazione sono falsi o molto esagerati: a Kamloops non ci sono tombe senza nome, e nemmeno altrove. Non ce n’è neanche una.

Fino all’agosto 2023 il radar a penetrazione terrestre individua nel sottosuolo venti “anomalie” nei pressi di scuole residenziali, ma là dove si è scavato non è stata scoperta alcuna tomba.

La storia di alcuni bambini probabilmente si è persa all’interno delle famiglie stesse con il passare delle generazioni. Si tratta dunque di bambini dimenticati, non di bambini scomparsi.

Il mito degli alunni scomparsi, spiega Flanagan, è nato da ricercatori incompetenti: la Truth and Reconciliation Commission ha fallito nel fare i controlli incrociati nel vasto numero di documenti storici sulle scuole residenziali e sui bambini che le frequentavano. La documentazione c’è, ma i commissari non se ne sono avvalsi.

Le storie diffuse dai mass media sulle scuole residenziali indiane parlano spesso di 150 mila alunni costretti a frequentare questi collegi, ma è un’affermazione quanto meno fuorviante. I bambini non erano legalmente obbligati a frequentare le scuole residenziali se c’era una scuola diurna. E comunque la legge era applicata in modo flessibile, a beneficio dei bambini e delle loro famiglie.

Per frequentare le scuole residenziali era richiesto un modulo di domanda che doveva essere firmato da un genitore o da un tutore. La verità storica è che molti genitori indiani vedevano nelle scuole residenziali la migliore opzione disponibile per i loro figli.

Prima del 1990, in Canada nessuno aveva mai criticato il sistema delle scuole residenziali. Ex studenti riferiscono che la stampa ne parlava in modo favorevole, anche perché la maggior parte dell’élite indigena era uscita proprio da quelle scuole.

Un giorno però Larry Phillip Fontaine, leader indigeno canadese, apparve in un popolare programma televisivo della CBC condotto da Barbara Frum e lì affermò di aver subito abusi sessuali in una scuola residenziale. Non fornì dettagli né specificò se i presunti abusatori fossero preti missionari, membri laici dello staff o altri studenti. Tuttavia, da lì iniziò la frana: dopo l’apparizione televisiva di Fontaine, le denunce di abusi si moltiplicarono e gli avvocati iniziarono a portarle in tribunale.

Nel 2005, per evitare di intasare il sistema giudiziario con le cause legali, il governo liberale di Paul Martin negoziò un accordo confermato poco dopo dal governo conservatore di Stephen Harper. Alla fine furono pagati circa cinque miliardi di dollari di risarcimento a circa ottantamila ricorrenti.

Fine della storia? No. Dopo le dimissioni dei primi membri della Commissione per la verità e la riconciliazione (TRC) nominata da Harper, i nuovi commissari tennero udienze pubbliche in cui i “sopravvissuti” raccontarono le loro storie, ma senza alcuna verifica dei fatti e senza controinterrogatori.

Ben consapevoli della debolezza delle accuse, mai supportate da prove, i commissari e i politici a loro favorevoli chiesero che le critiche alla loro ideologia fossero rese illegali. Nel 2022 la parlamentare del Winnipeg New Democratic Party Leah Gazan presentò una risoluzione che dichiarò le scuole residenziali “genocide”. E la Camera dei comuni diede alla risoluzione il suo consenso unanime.

“Quindi – scrive Flanagan – eccoci qui: oggi la narrazione sul genocidio nelle scuole residenziali è saldamente radicata nell’opinione pubblica, mentre i non credenti, definiti negazionisti, cioè eretici, sono minacciati di procedimenti penali. Ma non credete alle esagerazioni. Non importa quanto spesso certe affermazioni, non sostenute da prove, siano ripetute. Come disse il bambino nella fiaba di Hans Christian Andersen, il re è nudo”.

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