Voci dall’homeschooling. L’istruzione parentale, risorsa per le famiglie e per la Chiesa

Non di rado mi capita di parlare con genitori e nonni sempre più delusi dalla scuola primaria e dalla secondaria di primo grado (le medie). Ritengono che dal punto di vista sia didattico sia, più in generale, formativo il sistema scolastico non sia più in grado di assicurare standard accettabili. E il problema riguarda non di rado anche le scuole formalmente cattoliche.

Di conseguenza si fa largo un’ipotesi che solo alcuni anni fa sembrava irrealizzabile e che oggi invece appare come l’unica soluzione: l’homeschooling, ovvero la scuola parentale, detta anche scuola familiare.

In proposito, Jack Figge riporta su The Pillar alcune significative esperienze, come quella di Talina Lindsey, insegnante e madre di tre figli.

Talina racconta che durante i mesi di lockdown a causa del Covid ebbe come una folgorazione: guardando giocare il suo figlio più piccolo, Avelino, che allora aveva dieci anni, avvertì che il suo lavoro la stava allontanando dalla famiglia e contemporaneamente sentì che Gesù le stava parlando.

“Era il marzo del 2020. Avelino giocava in giardino, correndo con una palla in mano. Lo osservai e fui colta da un pensiero: a causa della carriera, stavo negando la mia vera vocazione, quella di mamma. Mi misi a pregare e il Signore mi chiese di fare un salto in avanti nella fede: dovevo dedicarmi all’istruzione di Avelino, e dovevo farlo a casa”.

“Avevo sempre pensato – spiega Talina – che l’istruzione parentale fosse qualcosa di molto strano, una di quelle cose di cui si parla ma senza credere che possano veramente verificarsi. Quel giorno però il Signore mi fece una richiesta precisa: dovevo togliere mio figlio dalla scuola, che era anche la scuola nella quale insegnavo, per dedicarmi personalmente a lui”.

Così Talina e il marito presero la grande decisione: Avelino non sarebbe più andato a scuola. O meglio, ci sarebbe andato ancora, ma restando a casa. E la sua insegnante sarebbe stata la mamma.

Decisione particolarmente difficile, perché significò anche rinunciare a uno stipendio, ma presa con assoluta fiducia nel messaggio ricevuto.

All’epoca Talina non sapeva che stava per entrare a far parte di una schiera di genitori che negli Stati Uniti è sempre più nutrita. Di anno in anno, infatti, continua a crescere il numero di famiglie che scelgono di istruire i propri figli a casa.

Le ultime stime parlano di almeno tre milioni e mezzo di minori istruiti a casa negli Usa, quasi il doppio dei circa due milioni di bambini che frequentano scuole cattoliche.

Il movimento della scuola parentale incominciò a emergere negli anni Settanta del secolo scorso, e lentamente ha fatto strada. Nel 1997 c’erano più di un milione di studenti che ricevevano istruzione parentale.

L’homeschooling non ha schemi predefiniti, ma è un metodo diverso per ogni bambino e famiglia. Alcune famiglie progettano direttamente i programmi di studio, altre utilizzano programmi online, altre ancora applicano e adattano programmi ricevuti da altre famiglie. Non è raro il caso di cooperative che riuniscono diverse famiglie aiutandole a organizzarsi.

Il fatto che l’homeschooling stia crescendo sembra non fare piacere alle scuole cattoliche, come dimostra la decisione della diocesi di San Diego: i gruppi di istruzione parentale non potranno più utilizzare le proprietà parrocchiali per i loro incontri.

L’obiezione più frequente sollevata contro l’homeschooling è sempre la solita: stando a casa, bambini e ragazzi perdono la capacità di relazionarsi con i loro coetanei. Non riceverebbero quella che oggi si chiama “educazione alla socialità”.

Ma è così?

Elizabeth Miller, neo-studentessa del Benedictine College, racconta che al momento di passare all’istruzione superiore era a conoscenza dell’obiezione. Gli unici “compagni di classe” che avesse mai conosciuto erano i suoi cinque fratelli, e sua madre era stata la sua unica insegnante. “Naturalmente ero spaventata e temevo di non farcela, ma onestamente devo dire che la transizione è stata facile e tutto è filato liscio. Ho scoperto che l’istruzione ricevuta a casa durante la crescita mi ha preparato molto meglio rispetto ad altri studenti provenienti dalle scuole istituzionali”.

Elizabeth non nasconde che i genitori, quando decisero di tenerla a casa, erano preoccupati da ciò che vedevano nel mondo esterno: “Volevano proteggermi e desideravano che io potessi crescere nella fede. Così mi sono state risparmiate tante esperienze e influenze negative, come quelle dei movimenti trasgender o Lgbtq, fortissimi negli Stati Uniti. A essere sincera, fino a poco tempo fa non sapevo neppure che cosa fossero. Tutto ciò mi ha consentito di avere autonomia di giudizio, di pensare con la mia testa”.

Frequentare l’homeschooling, in ogni caso, non significa restare completamente isolati dal mondo esterno. Elizabeth e i suoi fratelli, per esempio, hanno frequentato la banda musicale, hanno fatto sport e hanno anche partecipato a corsi integrativi, avendo modo di fare amicizie: “Ero nella banda e nell’orchestra, e giocavo anche a calcio, il che mi ha aiutato a incontrare un sacco di persone. Eravamo anche parte di una cooperativa, e ci incontravamo ogni giovedì per la messa. Poi andavamo tutti in gita, per me il momento più bello della settimana”.

Elizabeth non nasconde che a volte si è trovata a invidiare gli amici che frequentavano le scuole cattoliche e statali: “Da bambina non capivo bene perché dovessi restare a casa. Non sapevo esattamente che cosa fosse una scuola. Vedevo solo bambini che si divertivano tutti insieme, mentre io ero sola con mia madre e i miei fratelli. Ma una volta passata al college la prospettiva è cambiata: ho capito di essere cresciuta meglio di tanti miei coetanei e di aver ricevuto molto. Così oggi sono grata per i tredici anni di istruzione ricevuta a casa. Ho potuto imparare di più e meglio, ma soprattutto ho avuto un’istruzione personalizzata, il che mi ha permesso di immergermi veramente nelle materie di studio”.

Un modello diverso è quello che ha segnato l’esperienza formativa di Joe Green, ora studente del terzo anno del Benedectine College. Joe infatti, a differenza di Elizabeth, non è stato per tredici anni di fila a casa, ma ha frequentato l’homescholling per otto anni, dalla materna alle elementari, e poi è andato in una scuola cattolica: “Mi è piaciuta la flessibilità, perché potevamo fare lezioni personalizzate oppure fare un po’ di scuola e poi andare al ruscello a pescare con i miei fratelli. Ogni giorno una cosa diversa. Dalla scuola parentale ho ricevuto due grandi doni: un forte rapporto con i miei fratelli e una profonda vita spirituale. I miei genitori ci hanno trasmesso la fede e sono stati in grado di formarci in un modo più rispettoso rispetto a quanto sarebbe successo se fossimo andati a scuola fuori casa. Poi, quando hanno ritenuto che fossimo pronti, ci hanno iscritto alle medie in una scuola cattolica”.

La transizione è avvenuta senza traumi, ma un problema è stato subito chiaro: “Non avevo più autonomia, né per i programmi né per gli orari. Dovevo rispettare regole valide per tutti, a prescindere dalle singole capacità e sensibilità. Lo ammetto: adattarmi alla routine quotidiana non è stato facile. In compenso, a catechismo ho scoperto di sapere tutto! L’insegnante si metteva a spiegare ma nel frattempo io avevo già scritto le risposte sul foglio!”.

Un’altra esperienza è quella di Joe Martin, anzi don Joe Martin, sacerdote recentemente ordinato nell’arcidiocesi di St. Louis. Anche nel suo caso, l’istruzione è stata ricevuta mediante l’homescholling, per un totale di dodici anni, duranti i quali sono state gettate solide basi per la sua vita di fede e poi per la vocazione.

“L’istruzione parentale – spiega don Joe – mi ha aiutato a formare la coscienza e a coltivare amore e lealtà verso i sacramenti, in particolare la messa domenicale e la confessione regolare. Tutto ciò mi ha dato una buona base anche per il college, permettendomi di approfondire la consapevolezza della vocazione”.

I dati dicono che l’homeschooling è una vera fucina di vocazioni religiose. Negli Usa, secondo il Center for Applied Research in the Apostolate, l’11% dei sacerdoti ordinati di recente e il 14% dei religiosi professi sono stati istruiti a casa per almeno una parte del loro percorso formativo.

Secondo me, dice don Joe, “i ragazzi che provengono dalla scuola parentale hanno un’innocenza che è un vero dono di Dio, ed è anche un dono per tutta la Chiesa. Dimostrano una franchezza, una semplicità e una libertà senza pari”.

Da quando, due mesi fa, ha iniziato il suo primo incarico parrocchiale, don Joe Martin ha già incontrato circa una dozzina di famiglie che praticano l’istruzione parentale nella sua parrocchia, St. Joseph a Cottleville, nel Missouri, la parrocchia più grande dell’arcidiocesi di St. Louis. Ha così potuto notare che molte famiglie vedono nell’istruzione parentale stessa una forma di vocazione, un modo per servire il Signore: “Questi genitori si sentono chiamati a fare homeschooling per un desiderio positivo, non per paura del mondo. Si riuniscono, si aiutano, formano cooperative. Ma soprattutto pregano e tengono ritiri per le mamme, che molto spesso sono le più direttamente impegnate nell’istruzione. Non hanno nulla contro la scuola esterna. Semplicemente, hanno capito che non è adatta alle loro famiglie”.

A San Diego, dopo il sorprendente annuncio della diocesi, i genitori che fanno homescholling si riuniscono nelle case. “Abbiamo un rosario mensile e organizziamo eventi per gli adolescenti. Ci siamo anche riuniti in un cortile attorno a un falò”, racconta Talina. “È triste che dopo la messa non possiamo riunirci nel salone parrocchiale, ma avevamo intuito che qualcosa stava per succedere. Le parrocchie hanno incominciato a dire di no alle nostre richieste di spazi oppure non ci hanno dato risposte. C’è stato e c’è dolore. Perché siamo stati presi di mira dalla Chiesa?  Stiamo solo cercando di fare ciò che pensiamo sia giusto secondo la nostra fede, eppure la nostra Chiesa ci esclude. Ma non è proprio la Chiesa a dire che i genitori sono i principali educatori dei figli? Di questo dolore però non parliamo con i nostri bambini. Non vogliamo che restino turbati a causa delle scelte della Chiesa a cui apparteniamo. Ora speriamo che il cardinale Robert McElroy, vescovo di San Diego, si renda conto del bene che deriva dall’istruzione parentale e cambi la sua politica. Abbiamo chiesto ad alcuni preti di parlare con il cardinale, e la Homeschool Legal Defense Association gli ha inviato una lettera. Speriamo che lo capisca: l’istruzione parentale non è una minaccia per le scuole cattoliche. In realtà è un sostegno a tutta la Chiesa”.

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Nella foto (The Pillar), Avelino studia a casa con la mamma, Talina Lindsey

 

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