I criteri di Francesco nella scelta dei cardinali: abbassare l’asticella e mostrare che lui ha il potere
di Katy Clubb*
Uno degli aspetti più demoralizzanti di questo pontificato non risiede né nelle eresie né nei doppi standard, sebbene questi siano ovviamente deprimenti. Piuttosto, è assistere all’abbassamento generale degli standard, ai tentativi di rimuovere tutto ciò che è nobile e sacro per sostituirlo con ciò che è banale e soggettivo.
In nessuna circostanza il processo di desacralizzazione è più chiaro che nelle scelte di Francesco per il cardinalato. Con precisione marxista, il Sacro collegio, un tempo nobile, è stato ridotto a un gruppo eterogeneo di vescovi scarsamente qualificati, scelti principalmente per il loro contributo agli obiettivi del papa. Pensate all’imbarazzo con cui i fedeli cattolici devono fare i conti ricordando le imprese di Tucho Fernández, un presunto principe della Chiesa che in realtà ha più caratteristiche in comune con il marchese de Sade che con gli apostoli.
In passato la Chiesa ha prodotto alcuni cardinali notevoli. Un bell’esempio è il riformatore del XVI secolo san Carlo Borromeo, famoso per il suo lavoro al Concilio di Trento e per aver rischiato la propria salute per stare a capo del gregge durante la peste.
Il processo di diversificazione del Collegio iniziò quando Paolo VI permise che i patriarchi orientali fossero nominati cardinali, ma è sotto Francesco, il “papa delle periferie”, che la diversità è diventata un’arte.
Al momento, fra coloro che voteranno in un conclave più della metà proviene da fuori Europa, aumentando le possibilità di un altro papa non europeo. Data la loro generale inesperienza nella gestione reale di una grande diocesi, gli incaricati di Francesco, che costituiscono la maggioranza del Collegio, potrebbero non essere a conoscenza delle qualità richieste per eleggere il prossimo pontefice: un altro disastro annunciato.
La tenacia e la fede di un san Carlo sono tra le virtù che un papa dovrebbe valutare quando eleva un uomo al cardinalato. Secondo il canone 351, il papa dovrebbe scegliere solo uomini ordinati che siano “particolarmente eccezionali in dottrina, morale, pietà e prudenza nell’azione”. Sebbene non sia realistico aspettarsi che ogni uomo sia del calibro di Carlo Borromeo, è ragionevole aspettarsi che il papa nomini uomini in conformità con il canone. Tuttavia, le nomine più recenti indicano che i papi moderni quando scelgono un cardinale lo fanno perché equivale a una dichiarazione politica, non per la competenza e la santità dei soggetti.
Francesco sceglie in base a un criterio: mostrare che lui ha il potere.
In Italia, per esempio, gli arcivescovi di Genova, Napoli, Venezia e Milano sono stati ancora una volta ignorati in favore di vescovi più giovani che hanno catturato l’attenzione del papa e sono saliti rapidamente di grado sotto il suo patrocinio.
In Australia, sedi che tradizionalmente portavano a un cappello rosso, come l’arcidiocesi di Sydney, sono state ignorate per la decima volta consecutiva. Mykola Bychok, Eparca dei Santi Pietro e Paolo e nuovo cardinale di Melbourne, non è nemmeno australiano. La sua nomina sembra calcolata per compiacere la Chiesa ucraina mentre è uno schiaffo a quei conservatori che sostengono la Russia.
Bychok ha definito Vladimir Putin un “moderno Erode”. E allora gli assassini di bambini del Partito democratico?
A detta di tutti, il neo-cardinale Bychok è un brav’uomo, non noto per particolari tendenze liberali, ma nominato semplicemente come parte delle strategie peroniste del papa. Dopo aver appreso della sua nomina, Bychok ha reso omaggio sia ai cardinali Slipyj che a Pell, dicendo: “Adempiere questa volontà di Dio sarà per me una sfida enorme e una croce davvero difficile”.
Ciò potrebbe essere più vero di quanto lui stesso immagini. La scelta di Francesco ha messo Bychok in una posizione scomoda nei confronti sia della gerarchia australiana sia di quella cattolica ucraina. Bychok ora avrà un grado più alto dell’attuale capo della Chiesa cattolica ucraina, che non è né un cardinale né un patriarca. Avrà anche il grado più alto nella Conferenza episcopale australiana e dovrà vedersela con uomini ambiziosi le cui aspirazioni sono state ancora una volta deluse.
Il prossimo concistoro appare come una nuova tappa nell’esercizio di abbassamento dell’asticella e di abbattimento della gerarchia sulla strada voluta da Francesco.
Anche vivere nelle “periferie” ormai non è, di per sé, garanzia di una nomina. Sebbene tra le ventuno nuove nomine siano rappresentate ben diciotto nazioni, sembrerebbe che per Francesco non tutte le periferie siano uguali. L’unico vescovo africano a ricevere la berretta rossa questa volta è uno che ha rotto i ranghi con i suoi confratelli vescovi per sostenere le benedizioni delle coppie dello stesso sesso. Quindi i vescovi africani, in gran parte pro-life e pro-famiglia, hanno subito la stessa sorte a cui vanno incontro le loro controparti occidentali che, sebbene molto più liberali, non sono totalmente allineate.
Mentre alcune nomine, come quella di Timothy Radcliffe, mostrano un evidente orientamento pro-gay, altre sembrano essere favori casuali elargiti da un monarca capriccioso: l’agente di viaggio siro-malabarese; l’attivista ambientale di Teheran; l’apologeta musulmano indonesiano; l’anziano nunzio che non voterà mai in conclave ed è così malato che potrebbe non vivere abbastanza per ricevere la berretta rossa.
C’era un tempo in cui l’ufficio di cardinale significava davvero qualcosa per un cattolico. I principi della Chiesa erano onorati perché al secondo posto in linea di successione dopo il papa. Ma tutto ciò è cambiato.
*corrispondente di The Remnant Newspaper dall’Australia