Caro Aurelio,
di fronte ai pronunciamenti dei nostri pastori, spesso fuorvianti se non apertamente anticattolici, ho nostalgia per quella che chiamo l’età dell’innocenza, quando non mi sarebbe mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di poter criticare il papa, il vescovo e il parroco, nostre guide nella fede. In quel tempo ascoltavo il papa con fiducia e ogni volta era come abbeverarsi a una fonte sicura. Guardavo ai vescovi come ad autentici maestri. Ero certo che alla messa il parroco mi avrebbe aiutato a capire meglio la dottrina offrendomi spunti utili per orientarmi fra male e bene, giusto e ingiusto. Poi…
Ora prevale la diffidenza. Quando viene annunciato un documento vaticano, la mia prima reazione è: “Che cosa si saranno inventati questa volta per depistarci e confonderci?”. E quando entro in chiesa prego perché il celebrante non la spari grossa, tipo fare l’elogio dei maomettani perché “hanno una profonda spiritualità” (mi è capitato di sentire anche questa).
E non siamo solo sbandati. Siamo anche divisi. Siamo fratelli nella fede, eppure non ci capiamo. Guardiamo ai fenomeni con occhi diversi e li interpretiamo in modi opposti. Gli anni del Covid hanno acuito enormemente questo senso di incomprensione e separazione. E il demonio, il grande divisore, se la ride.
Il problema della gerarchia cattolica deviata è drammatico. Oggi molti di noi sono e restano cattolici non grazie alla gerarchia, ma nonostante questa gerarchia. Non abbiamo punti di riferimento. Nessuno ci ascolta. L’ideologia dell’accoglienza e della sinodalità vale per tutti meno che per i poveri cattolici che hanno aperto gli occhi sui tradimenti dei pastori ormai allineati al mondo. Ma la nostra non è e non potrà mai essere una fede fai da te. Abbiamo un bisogno vitale di Pietro e di tutti gli altri pastori.
Mi sembra di poter dire che questo è veramente il tempo dei laici. A fronte di una gerarchia largamente manchevole, il laico cattolico è chiamato a recuperare tutti gli insegnamenti che i pastori hanno messo da parte o addirittura tentato di abolire. E al primo posto c’è senza dubbio la verità dogmatica della regalità di Cristo nella vita della Chiesa e del mondo.
Dopo la chiamata alla santità, che vale in ogni tempo e in ogni circostanza, la ragion d’essere della missione dei laici oggi è ribadire la regalità di Cristo e riproporla nelle forme più adeguate alla situazione in cui ci troviamo.
Provo un profondo dispiacere per la fine dell’età dell’innocenza, quando la gerarchia per me era credibile e godeva di prestigio e stima. Ma sono sicuro che il buon Dio ci sta sottoponendo a questa prova in vista di un bene maggiore. Stiamo facendo l’esperienza del deserto.
Temere il giudizio di Dio, odiare il peccato, amare la virtù. Nel deserto si va all’essenziale. Nel deserto non c’è spazio per le supercazzole della Chiesa sinodale. Nel deserto si desidera acqua pura. Nel deserto non ci si lascia condizionare dal rispetto umano. Se incontro uno, gli chiedo: “Sei dei nostri o vieni dal nemico?”. E se sulla regalità di Cristo tentenna o si mostra ostile, non è dei nostri.
Continua
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