Polifemo, Ulisse, Alcinoo e noi
di Vincenzo Rizza
Caro Aldo Maria,
su Avvenire è stato recentemente pubblicato un interessante articolo sul canto IX dell’Odissea intitolato Polifemo, violento perché isolato, è come chi nega l’ospitalità [qui].
L’autore commenta la nota vicenda di Ulisse e Polifemo sottolineando, tra l’altro, la differenza rispetto ad Alcinoo, re dei Feaci, che è un “modello di ospitalità. Alcinoo non sa chi è Ulisse, ma prima ancora di chiederglielo lo fa lavare, vestire e lo chiama a mangiare al suo banchetto” e il ciclope, che “vive da solo, in disparte, da empio: così dice il testo. Empio è chi non rispetta i valori fondamentali: stare insieme, vivere con gli altri, è per i Greci uno di questi”.
Mentre Alcinoo accoglie Ulisse, Polifemo, nel vedere il re di Itaca e i suoi compagni “non si domanda di cosa abbiano bisogno, ma li guarda con diffidenza e chiede immediatamente di dire chi sono: perché vagate sul mare? Siete forse predoni, giunti qui per danneggiarmi?”.
Il racconto omerico viene quindi traslato nella realtà di oggi: “C’è chi di fronte al bisognoso che bussa alle nostre porte risponde con l’accoglienza e la cura e chi invece reagisce con paura, con diffidenza. C’è chi si chiede di cosa l’altro abbia bisogno e c’è chi invece chiede i documenti e i permessi”. Il riferimento alla tragedia dei migranti, richiamata spesso dal Santo Padre, è evidente, anche se forse l’esempio riportato non è del tutto calzante e rischia di essere controproducente.
Osservo, in primo luogo, che un conto è, come fece Alcinoo, dare assistenza a un naufrago bisognoso (che peraltro non intende rimanere in quel territorio ma vuole fortemente tornare in patria), un conto è accogliere indiscriminatamente migliaia di migranti che cercano miglior fortuna altrove.
Alcinoo, peraltro, era famoso per il suo vasto e magico giardino, per volere degli dei sempre pieno di frutti di ogni genere che maturavano in ogni stagione: aveva quindi tutte le possibilità di dare aiuto a Ulisse.
Senza considerare, poi, che la differenza tra migrazione e invasione, tra ospitalità e difesa dei confini, era ben nota anche in epoca ellenica. Chissà come avrebbe reagito il re dei Feaci se tutti gli abitanti di Itaca avessero preteso di trasferirsi nella sua reggia e di cibarsi delle delizie del suo giardino.
Quanto a Polifemo, il gigante non sarà stato certo modello di ospitalità (anzi), ma forse non aveva tutti i torti quanto chiese a Odisseo e ai suoi compagni “Siete forse predoni, giunti qui per danneggiarmi?”. In effetti, leggendo la parte precedente del poema omerico (traduzione Pindemonte) si può ben vedere che:
“I compagni pregavanmi che, tolto
Pria di quel cacio, si tornasse addietro,
Capretti s’adducessero ed agnelli
Alla nave di fretta, e in mar s’entrasse”.
In sostanza, i compagni pregarono Ulisse di rubare il formaggio e di scappare in fretta, non senza disperdere il gregge, prima dell’arrivo di Polifemo. Ulisse, tuttavia, non volle, ma certo non per rispetto del padrone di casa:
“Ma io non volli, benché il meglio fosse:
Quando io bramava pur vederlo in faccia,
E trar doni da lui, che rïuscirci
Ospite sì inamabile dovea.
Racceso il foco, un sagrifizio ai numi
Femmo, e assaggiammo del rappreso latte:
Indi l’attendevam nell’antro assisi”.
Ulisse, in effetti, riconosce che sarebbe stato molto meglio ascoltare i suoi compagni (e quindi rubare il formaggio, disperdere il gregge e scappare), ma la sua curiosità (non certo la sua onestà) lo spinse ad attendere il gigante confidando sul fatto che, in ottemperanza ai doveri di ospitalità, avrebbe potuto estorcergli doni (“e trar doni da lui”). Nell’attesa si servì da solo, senza chiedere neppure permesso, assaggiando “del rappreso latte”.
Non c’è che dire, un bel modo per chiedere ospitalità entrare furtivamente in casa altrui e banchettare con il cibo sgraffignato dalla dispensa.
Sappiamo tutti come andò a finire: Polifemo mangia alcuni sventurati compagni di Ulisse per essere poi accecato. Ulisse quindi scappa, non prima di aver alleggerito il padrone di casa caricando sulla nave “le molte in pria vellosplendenti agnelle”.
Insomma, se Polifemo non eccelleva per ospitalità, Ulisse non si è certo dimostrato granché come “ospite”, brillando oltre che per il suo “multiforme ingegno” anche per le sue innegabili doti di truffaldino inganno.
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Nell’immagine (Avvenire), Ulisse che acceca Polifemo, particolare, affresco di Pellegrino Tibaldi (1550 -1551), Bologna, Palazzo Poggi