di Maria Chiara Nordio*
Caro Valli,
se oggi i giovani non accettano più di fare la cara e vecchia “gavetta” al lavoro, non vogliono più sacrificarsi per prendere il treno ogni giorno alle sei del mattino per recarsi all’università, oppure ancora svolgono militanza politica imbrattando opere d’arte o trascorrono il sabato pomeriggio taglieggiando o picchiando coetanei in piazza, tutto questo accade anche perché fin da piccoli sono stati messi al centro del mondo e della loro vita. Le pedagogie che la scuola italiana ha introdotto negli ultimi trent’anni sono la prima causa dell’egocentrismo individualista odierno. Mi spiego meglio. Senza sollevare la famiglia dalle sue responsabilità educative (che in buona parte replica modelli non sempre particolarmente edificanti) anche la scuola, fin dal primissimo ciclo d’infanzia, ha le sue colpe. Se occorre riconoscere che non esiste una vera e propria scuola per genitori, i quali da sempre educano i propri figli sul ricordo e l’imitazione del modello educativo che loro stessi hanno ricevuto, vi è invece un buon curricolo da percorrere per diventare insegnanti. Qui si apprendono diverse metodologie sull’educazione dei fanciulli e approcci, assolutamente eterogenei, ahimè purtroppo non sempre educativi.
Va rilevato che negli ultimi quarant’anni la scuola italiana ha applicato paradigmi “pedagogici” che contrastano con il ruolo stesso dell’istituzione scuola e di chi vi opera. Di fatto il ruolo dell’educazione non spetta più alla scuola, tramite il maestro, ma è demandato all’alunno stesso. Attraverso la visione, che diventa slogan, del “bambino al centro”, o “bambino-protagonista”, la scuola consegna il delicato compito formativo in mano all’oggetto dell’educazione, l’allievo attorno al quale ruota la giostra delle competenze da allenarsi secondo metodologie aziendali e calendari ideologici dettati dall’Unione europea.
Tralasciando le cause del sovvertimento pedagogico, di stampo sessantottino, che di fatto ha portato il maestro a smettere di insegnare e l’alunno ad auto-educarsi e auto-valutarsi (sì, proprio auto-valutarsi), intendo segnalare un altro elemento gravemente diseducativo, quello della neutralità nei giudizi e, ancor peggio, dell’assenza di correzione dell’errore del fanciullo.
Fino a qualche anno fa si osservavano le proteste dei genitori verso l’insegnante per la paventata frustrazione ricevuta da un bambino di fronte a un voto negativo.
Ebbene, per ovviare a tutto questo i “professionisti della pedagogia” hanno adottato la stessa strategia che da diversi anni ormai impiegano i “professionisti della medicina”. E così come i medici praticano la “medicina difensiva”, gli insegnanti applicano a scuola la “pedagogia difensiva”. Sempre più frequentemente infatti si può osservare che, per evitare il confronto con potenziali genitori agguerriti, gli insegnanti giudicano verifiche e interrogazioni con ottimi punteggi. Questo non può che provocare un danno cognitivo sugli allievi che progressivamente si convincono erroneamente delle loro ottime prestazioni, divenendo contestualmente sempre più refrattari e insofferenti ad accettare giudizi.
L’errata percezione di un buon andamento scolastico ha ripercussioni anche sui genitori che, in virtù di una serenità apparente nella quotidianità scolastica, si ritrovano poi di fronte ad adolescenti svogliati, viziati e ignoranti se non addirittura violenti nel linguaggio e nel comportamento.
Viene da chiedersi: cui prodest? Se non giova a lungo termine alle famiglie né alla scuola né tantomeno alla società, chi beneficia di una classe sociale ignorante e facilmente manipolabile?
Da quando la scuola ha sostituito la conoscenza con “la competenza”, e l’ideologia del “bambino al centro” si è imposta, i cittadini progressivamente hanno smesso di porsi domande su ciò che è giusto o sbagliato, su ciò che è vero e falso, buono o cattivo, ma hanno iniziato esclusivamente a eseguire istruzioni per diventare “competenti”. Competenti a scuola, competenti nel corso per la sicurezza, competenti nell’uso della tastiera o nel software di disegno.
Estendiamo l’arretramento scolastico prodotto dalle “competenze” nel sistema sanitario degli ultimi dieci anni. Il personale che opera in questo campo esegue protocolli senza una vera relazione con il paziente e decine di persone muoiono, anche giovanissime e in piena salute, ufficialmente senza motivo, e nessuno di costoro s’interroga, ricercandone le cause.
Chi ha la capacità di interrogarsi può solo abbandonare, come accade, la sanità.
Estendiamo ora l’arretramento scolastico generato dalle “competenze a scuola” all’ordine sociale e vediamo gli effetti dei genitori, educati alle competenze, sui propri figli.
E nel mondo della cultura? I media veicolano solo contenuti che promuovono la morte o la riduzione della persona a mera consumatrice di sostanze o fruitrice di desideri.
Ritengo che la scuola abbia il compito di istruire e formare il cittadino di domani secondo la propria cultura, sviluppando la civiltà che è stata consegnata dai fondatori dell’Europa dei popoli, da quel san Benedetto da Norcia che fece nascere la cultura, la sanità, la scuola al motto di “ora et labora”, consapevole che al centro non c’è l’uomo (o il bambino) ma il massimo ideale, Dio.