Lo so. È poco cristiano, poco caritatevole, poco carino. Ma che cosa ci posso fare? È più forte di me. Quando vedo la faccia contrita, delusa e sorpresa dei progressisti provo una sottile soddisfazione. Dopo la vittoria di Trump, eccoli lì i liberal, gli autoproclamati democratici: hanno la faccia di chi non si capacita. “Ma come – pensano – noi siamo i più bravi, i più belli, i più giusti, i più fighi, e poi questa gente vota per gli altri! Com’è possibile?”.
I progressisti e i sinistri sono sempre così: quando la realtà non coincide con le loro idee, è la realtà a essere sbagliata, non le loro idee.
Se si guarda la cartina degli Usa, si vede che gli Stati blu, quelli dove predominano i democratici, sono anche quelli in cui hanno sede i grandi giornali e le reti televisive e radiofoniche. Ma in mezzo c’è il mare degli Stati in cui ha prevalso Trump, la cosiddetta America profonda. Dove i giornalisti non vanno, perché preferiscono starsene nel loro magico mondo politicamente corretto.
Così, ecco la sorpresa: “Ma come? Avevamo la candidata ideale, donna, multiculturale, multirazziale, progressista su tutti i fronti, e invece ha vinto quel cafone maschilista di Trump!”.
Ebbene sì, ha vinto il cafone. E con lui ha vinto il suo vice, James David Vance, il senatore dell’Ohio, l’uomo del Midwest operaio, autore del libro autobiografico in cui racconta la sua fuga dalla povertà.
“A un tipo pericoloso come Donald Trump non dovrebbe mai più essere permesso di servire come Comandante in capo” si legge nel sito di Kamala Harris. Parole che qualcuno ha preso alla lettera.
Ma l’America è andata dall’altra parte. E adesso da noi Avvenire titola: “Ma come è stato possibile?”. E dice che Trump ha vinto perché ha cavalcato il malcontento.
I sinistri non impareranno mai la lezione.