di Fabio Battiston
L’election day del 5 novembre ci consegna non la vittoria bensì il trionfo di Donald Trump e di quell’America che, in quest’inizio di terzo millennio, un mondo alla rovescia sta cercando di distruggere per sempre dalla realtà sociale del pianeta. È un Donald che si ritroverà – caso piuttosto raro nella storia politica statunitense – a gestire un potere, oltre che presidenziale, ulteriormente rafforzato da una più che probabile maggioranza sia alla Camera sia al Senato. Vorrei commentare questo evento non solo rispetto a coloro che hanno vinto (e a ciò che rappresentano o, almeno, dovrebbero rappresentare) quanto piuttosto a chi ha perso, a quella pletora di sconfitti che – in America come nel mondo intero – ha pagato per l’ennesima volta la protervia, la presunzione, il velleitarismo e lo snobismo razzistico-elitario che la contraddistingue da sempre.
Riguardo ai vincitori le mie aspettative sono molte ma al tempo stesso non scevre da qualche perplessità. La rivincita yankee passa per quella gente, quelle terre e quei valori che per oltre due secoli hanno salvaguardato un patrimonio etico in cui concetti quali Dio, famiglia, dovere e patria (e la loro difesa) erano fondamenta imprescindibili. Un tesoro che, sino ad una certa fase storica, poteva essere custodito sia dai Gop sia dai Dem. Saprà questa società riprendere il proprio ruolo? Sarà in grado di riaffermare con decisione la sua visione sotto la guida politica dell’attuale Partito Repubblicano e dei suoi esponenti più o meno inseriti nell’establishment politico? Questa è una partita tutta da giocare. Chi oggi, giustamente, festeggia la sua vittoria è portatore di istanze certamente più vicine al “nostro” mondo rispetto alle demenziali prospettive offerte dalla mefitica sponda lib-dem. Ma le metastasi di quel guano in cui nuotano i disvalori di aborto, lgbtq, eutanasia, eugenetica, neo-paganesimo, ambientalismo, tecno-scientismo e via discorrendo hanno ormai intaccato la società americana in molti suoi settori. Prendiamo la figura di Elon Musk. Costui, al quale Trump pare intenda affidare un ruolo di primaria importanza nella sua amministrazione, non è esente da posizioni ambigue. Egli è, incontestabilmente, l’uomo guida nella diffusione che la famigerata Intelligenza Artificiale sta avendo a livello planetario. Le sue posizioni e attività nel settore energetico (non solo quello della electric mobility) non lo fanno apparire come un nemico di quella green economy che sta massacrando le nostre vite e il nostro futuro (non solo economico). E che dire di talune contorsionistiche posizioni di Trump sul fenomeno transgender e lgbt?
Al di là della innegabile soddisfazione per l’esito elettorale, deve ancora valere la vecchia regola del non abbassare la guardia. E dal momento che stiamo parlando della realtà statunitense, la speranza di una reale inversione risiede a mio avviso nel famoso We the people che apre la Costituzione americana. La speranza è affidata a quel popolo che da anni si batte contro l’aborto, in qualunque forma esso si presenti, che si oppone alla dissoluzione woke e alla dittatura multi-sessuale. Un popolo che non hai mai smesso di difendere la propria cultura e identità, soprattutto religiosa. È quella gente cattolica – ma anche appartenente a un certo protestantesimo ancora non infettato dall’agnosticismo modernista che caratterizza il luteranesimo nordeuropeo – la quale, a differenza della moltitudine di lobotomizzati che recitano “…non abbandonarci alla tentazione” e albergano a frotte qui da noi, vogliono realmente essere protagonisti di una nuova Vandea. Una contro-rivoluzione i cui esiti, questo è l’auspicio, siano stavolta completamente diversi da quanto accadde due secoli fa a quell’eroica popolazione francese.
Detto dei vincitori, eccoci ora alla vera, indiscutibile e grandiosa realtà che emerge da questa tornata elettorale. La sconfitta, o meglio la fragorosa catastrofe della politica e di quella parte della società statunitense che si riconosce in ciò che, una volta, era il Partito Democratico. Una compagine che negli ultimi anni si è progressivamente trasformata in un becero movimento estremistico in cui albergano – pretestuose, vocianti, intolleranti e spesso violente – le peggiori istanze disvaloriali che stanno cercando di imporre al mondo la loro macabra visione della vita. Quante volte, da questa nostra agorà virtuale, abbiamo denunciato le nefandezze di movimenti, personaggi e realtà votate alla distruzione di tutto ciò che in una società umana sia riconducibile a tradizione, fede religiosa e difesa di valori derivanti da una storia plurisecolare? Per costoro tutto deve essere rovesciato nel nome di un essere umano nuovo, idolatra di sé stesso e senza più Dio. Una persona (?) la cui indiscutibile decisione di stabilire cosa è normale, giusto e naturale per sé stessa diviene lo strumento per imporre tale visione al resto del pianeta. Black lives matter, Me too, woke, lgbtq, cancel culture e molte altre famigerate sigle sono ormai divenute tristemente famose imponendosi ben al di là della realtà americana. Alla creazione di una nuova e mostruosa forma di razzismo contro i bianchi e la loro storia essi hanno poi aggiunto il satanico innalzamento a nuovo dio dell’ambiente naturale. In questa pseudo-chiesa l’animalismo e l’ecologismo sfrenati vengono esaltati nella condanna tout court dell’umanità. Costoro, oggi, sono anche tra di noi, più crudeli e oppressivi che mai. Una minoranza infame e corrotta che ha trovato nel suo cammino una serie di formidabili alleati, anch’essi fatalmente coinvolti nel disastro elettorale americano: il micidiale apparato informativo-massmediale, gli opinion makers, il mondo pseudo-intellettuale, i “professori” universitari maestri del nulla, lo star-system hollywoodiano, i sondaggisti da strapazzo, sino ai ridicoli influencer che infestano la rete. Un apparato che, in forme più o meno simili, è ben presente e costantemente all’opera anche nella fetida Unione europea, Italia compresa, s’intende. La cieca fede nei suoi mostruosi ideali ha portato questa minoranza, per l’ennesima volta, a considerare come realtà indiscutibili i sogni e i desiderata di un progetto politico, etico, disvaloriale ed economico che per il resto del mondo normale ha un solo nome: incubo!
Si diceva della nostra Italia, anch’essa solerte nel mettere in linea le sue truppe cammellate – politiche, intellettualoidi, giornalistiche e religiose – da settimane in estasi pre-orgasmica, pronte nell’assicurare prima e annunciare trionfalmente poi il certissimo trionfo della meticcia multietnica afro-americana. C’erano tutti: canali tv a reti quasi unificate, giornaloni à la page, opinion leader, attorucoli, attricette, ugole d’oro, musicisti e pseudo-scrittori, filosofi e professoroni. Tutto era pronto per imbandire un maestoso banchetto lib-dem nostrano, composto dalle immancabili portate ecosostenibili, immigrazioniste e transgender. Ma poi, che accade? Quello che, immancabilmente, scuote da tempo fegati, milze, stomaci e cervelli spappolati dei sinistri dell’italico stivale. Ha vinto la destra? Ma certo, tutta colpa di un elettorato becero, ignorante, egoista, populista, bottegaio e mentecatto. Quest’atteggiamento è da sempre ben conosciuto in psicologia: chiamasi proiezione ed è tipico di coloro che sono adusi gettare sul prossimo le colpe e le responsabilità dei propri fallimenti. Questa miserabile reazione si arricchisce poi di una serie di commenti elitari a sfondo socio-razzista laddove si esalta il voto a sinistra che connota la gran parte (dicono loro) dell’elettorato sensibile, colto, laureato e aperto al mondo, all’arte, alla cultura e ai diritti. È il nuovo e benpensante ceto borghese post-comunista che, se ti senti una pecora anziché un uomo, ti saluta rispettosamente con un beeee e mette il suo cagnolino in carrozzina dicendo “ora facciamo una bella passeggiata con il tuo papà”. Sarebbe veramente interessante, e istruttivo per molti, poter conoscere il giudizio e il pensiero di Pierpaolo Pasolini su questa sinistra.
Chiudo riservando un posto speciale a un altro grande sconfitto da queste elezioni d’oltreoceano. Da credente esulto per l’ignobile ma meritatissimo tonfo di cui è stata protagonista la chiesa cattolica temporale con il suo inqualificabile capo, il codazzo cardinalizio e la grande maggioranza di quel popolo di credenti, ordinati e laici, che segue pedissequamente i turpi insegnamenti di questa istituzione ormai dominata dal preternaturale. Anche un osservatore poco attento non può aver fatto a meno di notare il malcelato endorsement che la comunicazione/informazione cattolica predominante non ha fatto mancare in queste settimane alla candidata di Oakland. Come di consueto è stato Avvenire a distinguersi in questa operazione di sostegno; non a caso uno dei suoi principali commentatori, a risultato acquisito, non ha potuto esimersi dallo scrivere “ma come è stato possibile?”, per poi soffermarsi sugli immancabili rischi e pericoli cui il mondo potrà andare incontro con la presidenza del tycoon newyorkese. Tuttavia, l’immagine più emblematica e incredibile di una chiesa totalmente serva del mondialismo secolare, di cui la Harris voleva assumere la leadership, ce l’ha data l’immarcescibile Bergoglio. El señor Jorge, guarda caso proprio nel giorno delle elezioni Usa, se ne stava tutto giulivo a casa di Emma Bonino per omaggiarla con rose e cioccolatini dopo il suo ritorno dall’ospedale. Nella sua caritatevole visita all’ammalata, il gaucho ha anche pronunciato un encomio solenne nei confronti della mai pentita portabandiera radical-globalista degli aborti, dell’eutanasia, della droga libera, dell’lgbtq e delle maternità surrogate. Ecco le commoventi parole a lei riservate: “È un esempio di libertà e resistenza”. Già, lo stesso esempio che avrebbe dato al mondo una Kamala presidente, attuando il suo programma che – in gran parte – sarebbe stato un copia e incolla di quello della leader pannelliana.
Nelle immagini di quell’incontro – che si svolgeva proprio quando l’America stava decidendo fra Trump e la Harris – era plasticamente evidenziato da che parte stava e per chi batteva il cuore del sedicente papa e del popolo a lui ubbidiente. Ma per fortuna, come recita un vecchio detto di una Roma ormai sparita, “c’è sempre bonissima giustizia”.
_________________________________
Nella foto, il quartier generale di Kamala Harris dopo il risultato elettorale