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L’Onu, le crisi ambientali, la pioggia (di soldi). E poi c’è lo Zimbabwe

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

è in corso la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2024, conosciuta anche come COP29, organizzata dall’Azerbaigian.

Leggo su Wikipedia che “oltre alla 29ª Conferenza delle Parti dell’UNFCCC (COP29), comprenderà anche la 19ª Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP19), la 6ª Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi (CMA6), la 61ª sessione dell’Organismo sussidiario per la consulenza scientifica e tecnologica (SBSTA61) e la 61ª sessione dell’Organismo sussidiario per l’attuazione (SBI61)”.

Insomma, una conferenza seria che certamente, al ventinovesimo tentativo, riuscirà a risollevare le sorti del pianeta. Sorti che devono stare veramente a cuore a un paese come lo Zimbabwe, che per onorare degnamente l’evento ha pensato bene di inviare una sobria delegazione di appena 238  funzionari per una spesa di un paio di milioni di dollari.

Un esempio, quello dello Stato africano, senz’altro illuminante perché fornisce la più chiara ed evidente dimostrazione dell’utilità di questi eventi e di come molti Stati che vantano il triste primato per indice di povertà “investono” il denaro elargito dalla comunità internazionale.

Chissà come avrà reagito alla notizia il cardinale Parolin, che intervenendo qualche giorno fa alla conferenza ha ribadito la necessità di “creare una nuova architettura finanziaria in modo che i Paesi più poveri e vulnerabili possano combattere una crisi ambientale” e, con innegabile tempestività, ha rinnovato “l’appello di Papa Francesco chiedendo alle nazioni più ricche di riconoscere la gravità di azione passate cancellando il debito del passato”.

Cancelliamo anche il debito per partecipare in massa a conferenze inutili o quello possiamo richiederlo ai politici che utilizzano gli aiuti occidentali per scopi tutt’altro che umanitari?

Ritornando alla conferenza, con l’eccezione di Milei, che ha saggiamente deciso di ritirare la delegazione argentina, e pochi altri, quasi tutti rilanciano il grido d’allarme per i cambiamenti climatici attribuibili all’uomo e chiedono la solita sbaraccata di miliardi necessari, a loro dire, per favorire la diminuzione della temperatura globale. Ci fosse qualcuno a chiedere soldi per investimenti necessari all’adattamento climatico (come ad esempio costruire invasi contro la siccità o pulire i letti dei fiumi per evitare straripamenti): evidentemente queste attività di prevenzione, spesso indispensabili per la tutela del territorio, non portano voti e soprattutto non garantiscono i lauti benefici che molti alfieri del terrore climatico sperano di ottenere.

Purtroppo non sono riuscito a imbucarmi tra i delegati dello Zimbabwe, ma se ne avessi avuto la possibilità avrei provato a intervenire con proposte serie ed efficaci, scientificamente pari a quelle oggi in voga per la diminuzione della temperatura tramite diminuzione delle emissioni antropiche di CO2.

In primo luogo, tenuto conto del noto principio di Archimede per cui ogni corpo immerso in un fluido subisce una forza diretta dal basso verso l’alto pari al peso del liquido spostato, si potrebbe vietare alle persone di fare il bagno a mare: diminuirebbe, così, il contributo antropico all’innalzamento degli oceani.

Si potrebbe, ancora, in virtù della teoria di Edward Lorenz sull’effetto farfalla (“Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?” era il titolo di una sua conferenza tenuta nel 1972), vietare l’uso del phon: diminuirebbe, così, il contributo antropico alla formazione degli uragani.

Si potrebbe, infine, vietare ai bambini di giocare in spiaggia scavando buche nella sabbia: diminuirebbe, così, il contributo antropico alla formazione dei terremoti.

Le mie potranno sembrare teorie forse bislacche, ma almeno hanno il merito di non richiedere grande spreco di risorse pubbliche.

Aldo Maria Valli:
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