Si è tenuta il 23 novembre a Villa San Fermo di Lonigo (Vicenza) la Giornata nazionale della Dottrina sociale della Chiesa, durante la quale è stato presentato l’annuale Rapporto dell’Osservatorio cardinale Van Thuân, dal titolo Finis Europae: un epitaffio per il Vecchio Continente?
Pubblichiamo la relazione introduttiva.
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di Stefano Fontana
Il nostro Osservatorio da sedici anni pubblica puntualmente un Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel Mondo. Lo scopo è teorico-pratico: fornire idee per l’azione. Quest’anno il tema è l’Europa che, secondo i dati e le riflessioni contenuti nel Rapporto, è in punto di morte. Nel titolo del Rapporto si parla di Finis Europae e si adopera la parola epitaffio. Questa parola associata all’Europa era già stata usata nel 2008 da Walter Laqueur nel suo libro Gli ultimi giorni dell’Europa. Un epitaffio per il vecchio continente, edito in Italia da Marsilio. Noi siamo stati più prudenti, e abbiamo messo il punto di domanda: Un epitaffio per il vecchio continente? Però, a parte la speranza evocata da quel punto di domanda, la nostra analisi è ugualmente cruda e disillusa: l’Europa non sembra dare segni di vita. Laqueur scriveva nel libro appena ricordato: “È possibile che l’Europa, o almeno parti considerevoli del continente, siano trasformati in qualcosa come parchi di divertimento a tema, una specie di Disneyland a un certo livello di sofisticazione per turisti benestanti dalla Cina o dall’India, qualcosa come Brugge, Venezia, Stratford-on-Avon o Rothenburg ob der Tauber, ma su una scala più grande”. Altri commentatori, come ci ricorda Tommaso Scandroglio nel Rapporto, hanno parlato dell’Europa come del “Grande ospizio occidentale” visto il gelo demografico e la lotta a vita e famiglia che vi si conduce. Altri ancora hanno parlato dell’Europa come di una “grande Casa di cura”, sul tipo di quella descritta da Thomas Mann in La montagna incantata e, a vedere come gli Stati europei hanno gestito la faccenda Covid e come si sono dichiarati disponibili a sottomettersi all’Oms, non si può dare loro torto. A metà novembre scorso il vescovo croato Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Germania, ha detto che l’Europa si sta uccidendo: aborto, eutanasia, ideologia gender e guerra in Ucraina, che vede contrapposti due Paesi cristianizzati, a suo giudizio lo dimostrano. Emmanuel Todd nel suo ultimo libro La sconfitta dell’Occidente ha parlato del “suicidio assistito” dell’Europa, e ad assisterla sarebbero le “oligarchie occidentali”, espressione non tanto della democrazia liberale quando appunto della democrazia oligarchica e della post-democrazia.
Il Rapporto esamina ogni singolo aspetto della malattia dell’Europa ed è mio compito oggi fare una presentazione sintetica di questa diagnosi. Prima però vorrei toccare un aspetto di grande interesse, che verrà richiamato anche dal vescovo Crepaldi nella sua prolusione. Quando si adopera la parola Europa bisogna essere consapevoli della sua ambiguità. Ci sono due Europe, oppure, se volete, c’è un’Europa e una contro-Europa. Cosa è successo, ci si può chiedere, perché ne esistano due? Come si spiega questa lacerazione interna non provocata dal di fuori? Cosa ha fatto sì che l’Europa sia in conflitto con sé stessa, al punto di vivere una specie di continua “guerra civile europea”, come giustamente aveva segnalato Ernst Nolte? Anche oggi essa vive come una guerra civile europea. La guerra in Ucraina è una guerra interna all’Europa. Lo sterminio tramite l’aborto di Stato è una guerra civile europea.
Il tema della guerra in Ucraina e della guerra civile ci fa pensare che la lacerazione tra le due Europe sia sorta dentro l’Europa stessa e che il nemico dell’Europa sia europeo. Questa valutazione ha fatto da filo conduttore al lavoro dei 16 contributi di esperti che compongono il nostro Rapporto. Ad un certo punto è nato un pensiero anti-Europeo che, nel tempo, ha fatto sì che l’Europa provasse un senso di “colpa” verso sé stessa, come scrisse Gianni Baget Bozzo, e che abbia incominciato ad odiare sé stessa, come lamentava Benedetto XVI. Tutto cominciò quando in Europa nacque un pensiero incapace di pensare Dio, pensiero che in seguito si dimostrò incapace di pensare la natura collocata al posto di Dio, poi si rese incapace di pensare l’uomo, posto anch’esso al posto di Dio e, infine, divenne incapace di pensare il fine e il bene morale. Il fine fu sostituito dalla legge, soprattutto da Immanuel Kant in poi, sicché lo Stato perse la caratteristica di guidare al bene comune eticamente e religiosamente inteso e assunse il ruolo di uno Stato di diritto che regola dall’alto gli egoismi dei cittadini. Se non esistono fini non esistono nemmeno doveri, se non quelli imposti dalla legge formulata dallo Stato. Se non esistono fini esistono solo diritti individuali la cui pretesa assoluta deve essere moderata dallo Stato, che detiene a quel punto un diritto sovrano, non essendo obbligato a niente di superiore. Questa è l’anti-Europa che non riconosce il diritto naturale né la legge morale naturale e per la quale il concetto di “natura” perde il proprio pieno significato. Tutti i teorici dell’anti-Europa, da Hobbes a Kelsen, parlano di natura ma non più nel senso della filosofia classica e cristiana, ossia non più come qualcosa che esprima dei fini. Ecco allora le due Europe, l’una della ragione realistica che coglie un ordine naturale e finalistico, e l’altra che considera la società un artificio, una costruzione umana innaturale. La prima vede i popoli nella loro dimensione naturale di “nazioni” e, accanto ad essi vede le altre società naturali organicamente collegate tra loro, prima di tutte la famiglia, la seconda invece considera i popoli come aggregati di individui resi tali dal potere. Secondo Hans Kelsen, per dirne uno, “il popolo non è un insieme, un conglomerato, per così dire, di individui, ma semplicemente un sistema di atti individuali, determinati dall’ordine giuridico dello Stato”. Tutti gli Stati europei hanno assunto nella modernità questa forma, sostituendo l’artificio alla natura, l’ideologia alla realtà. Oggi, tutti gli Stati europei sono così.
Può essere utile inserire qui una breve valutazione sulla grande questione dell’Europa, dell’Occidente e dell’America. In questa sede possono bastare poche parole su un tema complesso che il nostro Rapporto tocca di striscio in diversi punti, soprattutto nei contributi di Réveillard e di Battisti. Augusto Del Noce aveva invitato a non identificare i due concetti di Europa e di Occidente. Secondo lui l’Europa è portatrice di una cultura contemplativa, mentre l’Occidente di una cultura consumistica. Leone XIII, con l’enciclica Testem benevolentiae del 1899, aveva condannato l’americanismo, ossia la cultura pragmatica di origine protestante degli Stati Uniti d’America che dopo la Seconda guerra mondiale ha dilagato in Europa e per molti aspetti tuttora sta dilagando. La contrapposizione tra Europa e americanismo ha un senso se ci rifacciamo al concetto vero di Europa, ma se prendiamo in esame la pseudo-Europa, allora vediamo che i guai erano già cominciati qui. Vediamo anche che dall’America viene sì l’americanismo ma anche altre istanze correttive della degradata pseudo-Europa. L’esito delle recenti elezioni presidenziali americane e l’emergere di alcune prese di posizione nell’episcopato statunitense di opposizione alla diffusione anche nella Chiesa di una cultura woke hanno fornito qualche spunto interessante da questo punto di vista.
Il nostro Rapporto non confonde mai l’Europa con l’Unione Europea e vede quest’ultima come dipendente dal processo che ho appena descritto. Gli Stati che hanno dato vita prima alla Comunità Europea e poi all’Unione sono tali nel senso kantiano di Stati di diritto atti a regolare con la forza gli egoismi dei cittadini. Del resto, questa era la visione della politica della Riforma luterana. Stato di diritto, in questo caso, non vuol significare uno Stato che rispetta il diritto naturale, ma uno Stato che rispetta il diritto da esso stesso posto e che vale solo in quanto posto per moderare gli eccessi dei cittadini, invitandoli ad esercitare la propria libertà solo fino a non ledere quella altrui, in un compromesso tra egoismi. L’Unione Europea nasce come collaborazione sovrastatale da parte di Stati così intesi e, quindi, essa stessa non può sottrarsi a questa configurazione politica. L’Unione è una costruzione artificiale che ha ottenuto in modo artificioso dagli Stati membri parti di sovranità che quegli Stati stessi detenevano in modo altrettanto artificioso. Con l’Unione si è aggiunto artificio ad artificio. Era inevitabile, date queste premesse, che, come i singoli Stati avevano abolito il riferimento ad un ordine naturale oggettivo e finalistico, così l’Unione avrebbe abolito i popoli, le nazioni e perfino gli Stati, sovrapponendovi la propria sovranità. Il giudizio del nostro Rapporto sull’Unione Europea è molto negativo. Essa è lo strumento principale oggi adoperato dalla pseudo-Europa, quella nata dall’assunzione della impossibilità di conoscere Dio. Come ogni singolo Stato moderno è necessariamente ateo, così l’Unione Europea non può che essere atea e può avere l’appoggio dei protestanti ma non dei cattolici. Ma i Padri fondatori del processo di unificazione europeo erano anche cattolici, come viene spesso ricordato. Non so dire in che misura fosse ad essi noto il vero carattere dello Stato in versione moderna e della futura integrazione tra Stati nella Comunità europea e poi nell’Unione, ma gli elementi per supporre che già la loro visione fosse ben disposta alle distorsioni successive ci sono. Non è il caso di insistere troppo sull’origine cristiana del “sogno europeo”, come fanno i rappresentanti a Bruxelles degli episcopati cattolici del continente.
Dopo le recenti elezioni americane, il tema dell’Europa esprime un nuovo paradosso. Molti segnalano che, dopo queste elezioni, per l’Europa (intesa come Unione Europea, ossia come pseudo-Europa) è venuta l’ora delle grandi scelte. Lo ripete da tempo Mario Draghi che lo ha scritto anche in un suo Rapporto su incarico della Commissione. Lo ripetono i principali leader politici. Davanti alle previsioni di un nuovo posizionamento americano, molti spingono perché l’Unione intraprenda un nuovo percorso costituzionale in grado di unificarsi in modo più stretto e dotarsi di una propria difesa. In un mondo dominato dalle grandi potenze e con l’emergere dei BRICS, l’Unione Europea finirebbe come il vaso di coccio tra i vasi di ferro: questo è quanto si sente dire. Un esercito europeo richiederebbe una unità maggiore, un vero e proprio ministero della difesa e, naturalmente, del tesoro e degli esteri. Comporterebbe, in altre parole, una completa sovranità europea. A questa visione di una Europa “grande potenza”, si oppone però la sua miseria attuale. Il professor Gianfranco Battisti ci illustrerà oggi pomeriggio la gravità della situazione dal punto di vista economico, finanziario, energetico. L’Unione Europea, egli sostiene, è ostaggio del debito degli Stati Uniti, non ha autonomia energetica specialmente perché la guerra in Ucraina l’ha privata del gas russo, obbligandola ad acquistare quello americano molto più caro, ha una industria in fase di smantellamento come dimostrano i casi Volkswagen e Stellantis, ogni giorno nuove aree del proprio suolo vengono comperate, e infine si deve preparare a gravi conflitti sociali. Torna così la guerra civile, di cui abbiamo avuto già vari segnali in Inghilterra, in Francia, in Germania. Si tratta di tensioni sociali causate dall’impoverimento economico e dall’immigrazionismo incontrollato, ossia dalle due questioni che oggi i singoli Stati non sono in grado di affrontare proprio per la camicia di forza calata dall’Unione sulle loro politiche. Il Rapporto evidenzia in modo particolare il caso della Germania: Stefano Magni illustra le scelte disastrose di tutti i governi tedeschi da Schroeder in poi, ampiamente compresa anche Angela Merkel, sul piano del green e dell’immigrazionismo sfrenato. La “locomotiva” è ora in panne, in crisi politica e sociale e fa sprofondare l’Europa intera. Ecco allora il paradosso: la cosiddetta ora delle scelte da grande potenza mondiale, compresa la scelta militare, contrasta con la situazione di miseria materiale e, come dirò a breve, morale dell’Unione Europea.
Su questa presunta “ora delle scelte” vorrei esporre la posizione dell’Osservatorio. Siamo contrari a scelte che rafforzino questa Unione Europea e, tanto più, a programmi di riarmo. Prevediamo che si approfitterà della nuova situazione internazionale seguita alle elezioni di Ronald Trump per premere con urgenza per questo tipo di scelte dalle quali ci dissociamo. L’Europa deve essere segno di pace fondata sulla dignità di popoli e nazioni. Si potrà forse pensare che l’attuale maggioranza von der Leyen uscita dalle ultime elezioni europee sia politicamente troppo debole per fare scelte di questa rilevanza. Ma non inganniamoci. Come mette in evidenza nel nostro Rapporto Christophe Réveillard della Sorbona, nell’Unione oggi non c’è un governo, c’è una governance fatta di tre elementi: il Deep State europeo (segnalato nel Rapporto anche da Maurizio Milano che si è occupato del Forum di Davos), la corporazione dei funzionari dell’Unione che si cooptano l’un l’altro nei vari organismi [l’ex capo del governo portoghese sconfitto alle ultime elezioni nazionali è stato “promosso” a Bruxelles, l’ex capo di governo dei Paesi Bassi sconfitto alle ultime elezioni nel suo Paese ora è segretario della Nato], Corti di giustizia comprese, e infine i rappresentati degli Stati membri. L’UE è un mostro a tre teste. Il Parlamento non legifera e la Commissione non è l’unico soggetto politico, ce ne sono altri anche molto nascosti. Da questi soggetti politici occulti possono venire le spinte che noi non approviamo. Per esempio, di recente l’ex presidente della Finlandia, in qualità di consulente nominato dalla presidentessa della Commissione, ha pubblicato un Rapporto dal titolo “Insieme più sicuri”, nel quale espone le linee per conseguire preparazione e capacità di azione anche militare.
Sul suolo europeo sono in lotta tra loro due visioni rivali dell’Europa. Il contrasto tra di loro è certamente anche materiale ma il dramma dell’Europa è prima di tutto morale e spirituale. Nell’aprile scorso, il Parlamento federale tedesco ha approvato una legge secondo la quale ad un neonato non si riconosce nessun sesso, questo verrà deciso in seguito tra quattro possibilità: maschio, femmina, vari e nessuno. Il Parlamento francese ha approvato la costituzionalizzazione dell’aborto, seguito in tempi stretti dal Parlamento europeo con una risoluzione non applicabile ma politicamente efficace, secondo la quale il diritto all’aborto dovrebbe essere inserito nella Carta dei diritti dell’uomo dell’Unione stessa. Di questo si occupa nel nostro Rapporto il professor Mauro Ronco. L’aborto è contemplato per legge in tutti i ventisette Stati dell’Unione Europea e in tutti i 47 Stati del Consiglio d’Europa. Nei Paesi Bassi, come ci riferirà oggi pomeriggio Tommaso Scandroglio, si sono avuti 8720 decessi per eutanasia nel 2022, pari al 5% di tutte le morti avvenute sul suolo olandese. A questo dato Scandroglio aggiunge: “È di tutta evidenza che la diffusione di questa pratica nei Paesi Bassi contagerà anche gli altri Paesi europei prima o poi”. La Spagna, come ci informa Julio Loredo nel Rapporto, nel giro di qualche decennio ha assunto pienamente gli stili di vita postumani e post-religiosi vigenti negli altri Paesi europei, coprendo il ritardo in grande velocità. La Francia, come ci racconta Silvio Brachetta nel Rapporto, è una società in disfacimento e in caduta libera, come dimostrato con grande plasticità dalla orrenda performance alle scorse Olimpiadi di Parigi. La Polonia è sotto attacco. In quel Paese il nuovo governo liberal del presidente Tusk lavora con tutti i mezzi, compresi quelli illeciti, per distruggere, con il supporto della Commissione europea, la resistenza cattolica. Nel frattempo, l’Unione stanzia 2,5 milioni di euro per la formazione al gender nell’ambito del progetto Erasmus.
Con queste due ultime sottolineature – la Polonia e l’Erasmus – tocchiamo un importante aspetto, vale a dire l’impegno dell’Unione Europea per una grande pedagogia di massa, di cui si occupa nel Rapporto Christophe Réveillard. Secondo lui le tecniche persuasive di massa e quelle del controllo informatico dei comportamenti di origine americana trovano ampio uso nell’Unione Europea. La finanziarizzazione dell’economia, la proiezione mondialista, l’imposizione di norme a livello mondiale, l’amplificazione dei mezzi di propaganda che oggi riguardano quasi tutti i media più rilevanti, la “guerra cognitiva”, la massificazione e la collettivizzazione dell’individuo attraverso l’imposizione di concetti-base come quello di progresso, oppure quello del primato della scienza, fino alle attuali proposte circa la post-verità. Tutto questo, e altro ancora, priva le nazioni europee della propria identità. Una delle principali forme di questo nuovo colonialismo è il diritto. In Italia ne abbiamo di recente avuto un esempio a proposito del caso del Centro immigrati in Albania voluto dal governo italiano e contestato dai giudici sulla base di alcune sentenze della Corte di giustizia europea. Il problema principale è dato dal principio circa il primato del diritto europeo rispetto a quello degli Stati, stabilito dal Trattato di Lisbona e recepito nella nostra Costituzione nell’articolo 117. La dichiarazione 17 del Trattato di Lisbona afferma: «secondo una costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, i trattati e il diritto adottato dall’UE sulla base dei trattati hanno la preminenza sul diritto degli Stati membri, nelle condizioni definite dalla detta giurisprudenza». Secondo Réveillard ciò «costituisce una camicia di forza normativa e procedurale esorbitante e paralizzante i diritti nazionali». L’Unione Europea va contestata e fermata. Essa nega l’ordine oggettivo e naturale, sviluppa l’egemonia dell’economia e un «materialismo caratterizzato da un ideale incentrato sull’uomo consumatore al di fuori di ogni trascendenza, nel quadro di un ateismo formale con l’illusione della libertà come imperativo primario».
Non posso chiudere questa mia relazione senza toccare l’argomento della presenza in Europa della Chiesa cattolica e di come essa oggi si relazioni con le problematiche che ho fatto emergere in questo mio intervento. Il Rapporto si occupa anche di questo. Il punto centrale che va doverosamente esaminato è che i vertici della Chiesa cattolica hanno battezzato, sostenuto e promosso in Europa i temi principali dell’agenda ideologica dei centri di potere dominanti, con esiti distruttivi. I quattro punti fondamentali di questa agenda – vaccinismo, genderismo, climatismo, europeismo – hanno ricevuto l’appoggio incondizionato della Chiesa cattolica, a tutti i i suoi livelli, dal Vaticano alla parrocchia, con debolissime diserzioni. Questi quattro punti sono tra loro integrati e si supportano l’un l’altro, fanno parte di un unico sistema e prevedono un unico Great Reset, sicché, accettandoli, la Chiesa ha accolto in sé ben più di quei quattro temi, ossia un nuovo paradigma, un voluto cambiamento d’epoca, al quale si è acriticamente assimilata. Gli effetti negativi di questo posizionamento sono sia esterni che interni, esterni perché si collabora con gli agenti del male, interni perché presumono una neo-Chiesa. Non ho il tempo di esemplificare, ma tutti siamo a conoscenza di come la Chiesa abbia coperto la bugia Covid sfruttando addirittura l’amore cristiano, come essa ormai stia promuovendo dentro e fuori di se stessa l’omosessualismo e il transgenderismo, come essa spinga al superamento dei combustibili fossili per combattere i cambiamenti climatici ritenendoli dovuti, come imposto dalla narrazione dominante, alle attività umane [a questo proposito mi si permetta di ricordare almeno la pubblicazione dell’Esortazione apostolica di Francesco Laudate Deum, la sua richiesta di accelerare il passaggio alle rinnnovabili durante la discussa celebrazione liturgica del 1 ottobre scorso e, più di recente, in vista della Cop29 di Baku, la richiesta di uno sforzo finanziario globale avente lo stesso scopo. Perfino i vescovi scozzesi, da buoni scolaretti, si sono sentiti in dovere di pubblicare una Nota per riproporre gli stessi slogan], e infine l’europeismo UE, appoggiato dai vescovi cattolici in Europa con interventi molto imbarazzanti alle ultime elezioni per il Parlamento europeo.
Vado a concludere. Il Rapporto segnala anche dei sintomi positivi e incoraggianti. Sono però pochi e fragili. Il «sistema liberal», chiamiamolo così, sembra reggere ancora nonostante il suo «impulso suicida». Alle elezioni ormai non vota quasi più nessuno, il sistema è diventato pesante e complesso, l’Europa liberale rinuncia sempre di più alla sua libertà e diventa una società del controllo, l’esito della lotta tra natura e artificio è incerto, attualmente sembra prevalere l’artificio ma vari segnali all’orizzonte dicono che la partita è aperta. In questo contesto a noi compete principalmente di mantenerci fedeli agli insegnamenti e alle direttive della Dottrina sociale della Chiesa, non come è intesa oggi, ossia priva di identità, ma come è stata sempre considerata. Questa nostra fedeltà avrà non solo l’effetto di generare nella società risorse positive, ma anche di contribuire, nel nostro piccolo, alla nuova evangelizzazione, perché la Dottrina sociale della Chiesa è anche «educazione alla fede».