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La Regalità di Cristo e i cent’anni della “Quas primas”. Don Ricossa: “Ripudiare il modernismo conciliare per tornare al cattolicesimo integrale”

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Nel 2025 cadono i cent’anni dalla Quas primas, l’enciclica che papa Pio XI dedicò alla regalità di Cristo. Prendendo spunto dall’anniversario, ne parliamo con don Francesco Ricossa, superiore dell’Istituto Mater Boni Consilii, che nei suoi scritti e discorsi ha più volte approfondito l’argomento.

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Don Francesco, se c’è un insegnamento che la Chiesa ha totalmente dimenticato, forse ancor più del castigo divino, è quello relativo alla regalità sociale di Cristo. Nessuno osa più riaffermarlo. Assomiglia a un fossile che ci parla di un passato remotissimo. Personalmente, più rifletto su come vivere oggi da autentici cattolici controrivoluzionari, nel senso di non accettare i dogmi liberal e democratici, più mi rendo conto che occorre ripartire proprio dalla regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, e il 2025, con il centenario della Quas primas di Pio XI, ci offre l’occasione propizia per una riflessione. Già Pio X aveva spiegato che la città non può essere costruita in modo diverso da come Dio l’ha progettata. Ma siamo talmente imbevuti di laicismo che forse neppure noi, che pure rileggiamo questo magistero, crediamo davvero possibile una riedificazione della città secondo i disegni di Dio. Ha anche lei questa impressione?

Mi capita spesso di ricordare, in predica, l’espressione di Papa Pio XI nell’enciclica Quas primas, secondo la quale il laicismo era una “peste”. La peste era una malattia contagiosa e mortale. Il laicismo pertanto è malattia spirituale mortale, e la morte dell’anima è la sua eterna perdizione, ed è contagiosa, per cui chi ne è colpito a sua volta, anche inconsapevolmente, contagia chi gli è vicino. Vivendo in una società liberale, laica, secolarizzata, inevitabilmente respiriamo per così dire l’aria dei nostri tempi, e molti di quei pochi che a parole si dicono ancora fedeli alla Regalità di Cristo di fatto si comportano come se non ci credessero. E poiché questa regalità è sociale, è soprattutto nella vita sociale che sono (siamo) impregnati di laicismo. E nella vita politica, va da sé, nella quale siamo tentati di aderire a surrogati con la scusa che sono meno lontani di altri dalla verità. Ma anche, e con conseguenze pratiche disastrose, nella vita famigliare, dove i padri e i genitori sono spesso dimissionari. (Una precisazione: la Chiesa non ha dimenticato la regalità di Cristo, i modernisti sì).

Anche il 1925 fu anno giubilare. E in quell’occasione il papa Pio XI volle ribadire: Gesù Cristo è re delle menti, delle volontà e dei cuori. Come immagine, mi viene spontaneo pensare al Cristo pantocratore nell’abside del Duomo di Monreale. Oggi invece, per il giubileo 2025, il Vaticano ha commissionato una mascotte, Luce, che sembra uscita da un fumetto giapponese ed è stata ideata da un disegnatore che di sé dice di essere “non praticante” e spiega di aver voluto “svecchiare” l’immagine della Chiesa. In realtà, non c’è niente di più vecchio di queste asserzioni, ma nei sacri palazzi evidentemente non se ne accorgono. Com’è possibile?

A quanto ho letto, se non erro, il disegnatore sarebbe anche impegnato nel difendere la causa lgbt, come si dice ora. Lei dice: non se ne accorgono. Non posso generalizzare, ma temo che se accorgano benissimo, solo che scientemente si vuole rigettare tutto quanto si riferisce alla tradizione della Chiesa. Non c’è nulla di più intollerante di un “liberale” (nel caso: di un modernista) nei confronti di chi “liberale” non è. Tutto l’affetto è dovuto a chi è estraneo alla Chiesa, tutto il malcelato disprezzo a chi ne fa parte.

Nella Quas primas mi colpisce quel passaggio in cui si afferma: “Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica”. La parola “salute” fa subito venire alla mente il periodo della cosiddetta pandemia e il comportamento della Chiesa, totalmente prona ai diktat dei padroni del pensiero, fino al punto di lasciare i fedeli privi del culto e dell’assistenza spirituale. Avendo un clero di questo di genere, quale miracolo potrebbe determinare una svolta nel segno del recupero della regalità di Cristo?

La Chiesa, in quanto tale, non è prona al mondo. Chi si nasconde “nel seno e nelle viscere stesse della Chiesa”, per usare l’espressione di san Pio X, lo è, e lo è programmaticamente: “Anche noi, più di chiunque, abbiamo il culto dell’Uomo”. Il laicismo (pudicamente battezzato laicità positiva), consacrato dalla dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae personae, non può che disgregare la “salute privata” (la salvezza delle anime), quella pubblica (il bene comune temporale e spirituale) e le due società perfette, lo Stato e – per quanto possibile – la Chiesa. Il nuovo concordato, in Italia, ha consacrato anche ufficialmente questo principio, ispirandosi rispettivamente alla Costituzione repubblicana e al Vaticano II. I pubblici omaggi di chi è creduto successore di Pietro ai due campioni del laicismo, Pannella e Bonino, ne sono la più degradata e degradante esemplificazione. Le promesse di Cristo (non praevalebunt) in favore della Chiesa assicurano del miracolo da lei invocato. Ma dopo quanti danni causati alla società, alla Chiesa, alle anime? Dio solo lo sa.

Pio XI scrive: “La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi”. Molti anni dopo, Benedetto XVI parlerà di “sana laicità” per distinguerla dal laicismo, che esclude la religione dalla sfera pubblica per confinarla in quella strettamente personale. Ma non le sembra che nel momento in cui si accetta la laicità dello Stato già si volta le spalle alla regalità sociale di Cristo?   

Mentre le rispondo, mi accorgo che anticipo puntualmente le sue domande. Il modello ratzingeriano di “sana laicità”, come spiegò, tra l’altro, nel discorso alla Curia romana quando parlò dell’ermeneutica del Concilio, prende a modello il liberalismo della rivoluzione americana, che intende promuovere tutte le religioni, e della prima rivoluzione francese (’89), per distinguerlo da un laicismo ostile alle religioni. Il tentativo è fallimentare proprio perché la radice dei due laicismi è comune (l’Illuminismo agnostico) e l’effetto è il medesimo, a breve o a lunga durata. Anche nelle logge massoniche si affianca a un laicismo visceralmente ostile un altro aperto a tutte le religioni. Ma Cristo non ha detto: io sono una verità. Ha detto: io sono la Verità.

Fra i diversi killer della regalità sociale di Cristo, in primo piano c’è l’ecumenismo. Se già nel 1950 (un altro anno santo) con la Humani generis Pio XII denunciava: “Alcuni riducono ad una vana formula la necessità di appartenere alla vera Chiesa per ottenere l’eterna salute”, poco più di dieci anni dopo il Concilio Vaticano II imporrà il dogma del dialogo, mettendo così una pietra tombale sull’idea che fuori dalla Chiesa cattolica non ci sia salvezza, e inutili saranno i tardivi ripensamenti della Dominus Iesus. Oggi l’ecumenismo è praticamente un cadavere che cammina, ma nel frattempo, con il nuovo dogma della sinodalità, Roma, seguendo la via autodistruttiva del protestantesimo, ha fatto propria l’idea democratica. Siamo dunque, chiaramente, al suicidio. Per cui torna la domanda: quale miracolo potrà far riemergere dalle nebbie la regalità di Cristo?        

Il recente discorso di Bergoglio su tutte le religioni come linguaggi diversi di un unico Dio va ben oltre l’ecumenismo, il quale si estende al dialogo interreligioso. Ma se tutte le religioni sono “vere” e vengono da Dio, sono anche tutte false: è il vecchio apologo dei “tre anelli” tutti forgiati dall’unico Padre divino, dei quali nessuno sa quale sia il vero. Un anello è quello vero, ma nessuno sa quale, mentre due sono falsi, eppure vengono anch’essi da Dio. Dai “tre anelli” si passa facilmente ai “tre impostori”. Dal giudaismo spagnolo alla corte di Federico II di Svevia, da questa al filosofo massonico e illuminista Lessing (Nathan il Saggio) il discorso è sempre lo stesso. E sempre Pio XI nell’enciclica di condanna dell’ecumenismo Mortalium animos spiegava che l’ecumenismo è la via all’ateismo. Ateismo dilagante ai giorni nostri. “Regnerò malgrado i miei nemici”: Cristo Re regna o coi benefici del suo governo, o coi castighi conseguenti al suo ripudio (come accade ora). Il “miracolo” di cui parla non sarà certo quello di una nuova Dominus Iesus (che ribadisce comunque i punti fondamentali del Vaticano II) ma avverrà col ripudio del modernismo conciliare: un ripudio integrale per tornare al cattolicesimo integrale. Quando si imbocca una via senza uscita, non resta che la “marcia indietro”. Quindi, come dicono dei simpatici burloni: indietro tutta! Lo ammetto, sono indietrista, come direbbe l’attuale occupante della Sede petrina che non crede, a quanto pare, nel Primato di Pietro.

Don Francesco, potrebbe consigliare qualche lettura utile per approfondire il tema della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo?

Prima di tutto, consiglio di riferirsi al magistero della Chiesa. Dopo la fine della Cristianità, i Papi hanno ricordato i princìpi negati dalle moderne società. Oltre alla già citata enciclica Quas primas di Pio XI, inizierei dall’enciclica Quanta cura e Sillabo di Pio IX, Immortale Dei di Leone XIII, Notre charge apostolique di san Pio X (da lei citata). Ma non si deve dimenticare l’insegnamento dei Papi durante l’apogeo della Cristianità; notissima è l’Unam sanctam di Bonifacio VIII.

Per chi studia diritto, consiglio di ricercare dei buoni manuali di diritto pubblico ecclesiastico, come quelli ben noti di Ottaviani e Cappello.

Per i lettori francofoni, c’è il classico di Jean Ousset, Pour qu’Il règne (1959) che si trova, credo, anche in pdf.

Due collaboratori di san Pio X hanno ben illustrato la società cristiana: da un punto di vista storico, la Storia sociale della Chiesa, di monsignor Benigni, ristampata dal nostro Centro librario Sodalitium; altrimenti, Il problema dell’ora presente, di monsignor Delassus, ristampato da Effedieffe.

Il nostro Centro librario ha in cantiere una importante riedizione, di cui parleremo quando sarà pubblicata.

 

 

Aldo Maria Valli:
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