Pochi giorni fa la Chiesa ha ricordato sant’Ambrogio, celebrato anche da un acuto intervento [qui] di monsignor Carlo Maria Viganò.
Al vescovo di Milano dedicò una memorabile lezione il cardinale Giacomo Biffi, allora arcivescovo di Bologna. Era il 1997 e la lezione fu rivolta al pubblico del Meeting di Rimini.
Il testo (disponibile nella sua forma integrale qui) è intitolato Gesù Cristo unico salvatore nel pensiero di sant’Ambrogio ed è forse la risposta più diretta ed efficace alla tesi sostenuta da Bergoglio a Singapore, quando ha detto che “tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio” e che nessuno può sostenere “La mia religione è più importante della tua”, “La mia è quella vera, la tua non è vera”.
Su sollecitazione di un gentile lettore, che ringrazio, propongo qui la parte finale dell’intervento del cardinale Biffi.
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di Giacomo Biffi
A questo punto io vorrei precisare ulteriormente il nostro problema: è proprio vero che l’unica strada per salvarsi è quella del Cristianesimo, quella della conoscenza di Cristo, dell’accettazione di Cristo? Non si danno altre strade per arrivare alla salvezza? Chi ha letto Ambrogio non ha dubbi. La risposta di Ambrogio è implicita nella visione nitida e appassionata che egli ha del Signore Gesù e della sua singolarità totalizzante e omnicomprensiva. È impensabile che in questo pensiero si diano altre ipotesi. Ma Ambrogio ha avuto anche un’occasione di rendere esplicito il suo pensiero.
È un episodio molto interessante, la controversia con Simmaco, prefetto del senato circa il ripristino in senato dell’altare della dea vittoria. L’altare, che era sempre stato nel senato di Roma, era stato rimosso dall’imperatore Graziano, ma nel 384 morto Graziano e succedutogli Valentiniano II, che era appena un ragazzo ed era sotto l’influenza di Giustina, ariana, il prefetto del senato chiede con un esposto all’imperatore che questo altare pagano venga ricollocato. Ambrogio si oppone e invia un contro-esposto. E noi abbiano la fortuna di poter leggere tutte e due i documenti che ci danno testimonianza di un dibattito illuminante anche per la personalità degli interlocutori.
Ambedue romani autentici, gli ultimi veri romani, formati alla stessa cultura classica e probabilmente anche parenti fra di loro, perché Simmaco era alla lontana cugino di sant’Ambrogio. Anche se può sembrare paradossale, la posizione di Ambrogio in questa discussione è la più laica. “In senato – egli dice – ormai siedono insieme senatori pagani e senatori cristiani. Allora non è giusto che la coscienza di qualcuno sia ferita dai segni esteriori di un culto che non è più accettato da tutti”. Simmaco, per qualche aspetto, sembra invece il più religioso. Egli è convinto che un segno religioso ci debba essere. “Senza una religione manifestata, non ci si difende abbastanza dalla prevaricazione e dall’iniquità. Quindi ci vuole un segno religioso dove si discute e si decide del bene comune”. Dovendo mettere un segno religioso, sembra ovvio mettere il segno che c’è sempre stato e che tra l’altro rappresenta la continuità spirituale della romanità. Continua Simmaco: “È giusto ritenere una sola identica cosa ciò che tutti adorano. Noi contempliamo i medesimi astri. Il cielo ci è comune. Lo stesso mondo ci avvolge. Che importa quale sia la dottrina che ciascuno segue per la ricerca del vero! A un così grande mistero non si può giungere per un’unica strada”.
Ambrogio non si lascia incantare dall’abile eloquenza di Simmaco e ribatte: “I pagani parlano sì di divinità in termini nobili e forbiti ma in pratica la loro religione si risolve nell’omaggio a un idolo muto e inerte che è indegno dell’uomo”. È una religione che disonora l’uomo. All’argomento più sottile e più seducente di Simmaco egli oppone che tutte le strade per andare a Dio sarebbero accettabili se Dio stesso non si fosse rivelato, se Dio stesso non ci avesse indicato positivamente l’itinerario da seguire. “Mi insegni il mistero del cielo lo stesso Dio che l’ha creato, non l’uomo che non ha nemmeno conosciuto sé stesso. Sul conto di Dio a chi devo credere se non a Dio che si è rivelato? Come posso credere – ragiona Ambrogio – a voi che confessate di non conoscere ciò che adorate?”.
“A un così grande mistero – dice Simmaco – non si può giungere per un’unica strada”.
“Ma ciò che voi ignorate – replica Ambrogio – è che la strada unica noi l’abbiamo appresa dalla stessa voce di Dio, e che ciò che voi cercate attraverso ipotesi noi lo conosciamo con certezza dalla sapienza stessa di Dio e dalla sua verità”.
Conoscendo il pensiero generale del vescovo di Milano oseremmo parafrasare così questi testi: l’evento del Figlio di Dio fatto uomo, morto in croce per la nostra salvezza, mette fuori gioco ogni irenico relativismo. Non tocca più all’uomo decidere quale sia il percorso che a lui convenga per arrivare alla divinità, dal momento che la stessa divinità ha fissato in Cristo un percorso obbligatorio per tutti. L’ideologia che ritiene tutte buone, tutte relative, le diverse religioni, va a infrangersi ormai contro il fatto, unico e imparagonabile, della redenzione operata da Cristo.
Bisogna a questo proposito fare una precisazione: questa decisa affermazione dell’unicità della via di salvezza non va intesa affatto come una deroga al convincimento dell’esistenza in Dio di una volontà salvifica universale, va anzi assunta e interpretata alla luce di tale principio. Ambrogio su questo punto è chiarissimo più di ogni altro scrittore antico e le sue pagine non suscitano nessun problema, nessuna perplessità. Il Padre vuol davvero che tutte le sue creature arrivino a Lui. Troverà Lui la strada. Ma la strada è la sua, non quella che decidiamo noi. Cristo è dunque salvatore universale proprio nel senso, come già si è visto, che nessuno può perdersi, se non perché con un atto personale suo si sottrae a quella divina misericordia che in Cristo si manifesta e si attua. Misericordia che certamente sa trovare modi a noi imprevedibili di conseguire la sua finalità.
Simmaco non è morto, la sua voce insinuante si fa ancora sentire nella redazione dei giornali, nei pronunciamenti degli opinionisti, nelle infinite chiacchiere del nostro tempo. “Che importa quale sia la dottrina che ciascuno segue per ricercare il vero! A un così grande mistero non si può giungere per un’unica strada”. Purtroppo questa voce trova qualche ascolto persino nelle coscienze confuse di molti cristiani. Perciò crediamo che non sia stato inutile aver dato la parola anche al suo grande antagonista. Al pensiero debole dell’antico prefetto di Roma si contrappone ancora efficacemente la ragione forte e la fede dell’antico pastore milanese.
La questione centrale del nostro tempo è quella di Cristo, anche all’interno della cristianità illanguidita. Noi non ci accorgiamo che a furia di aprirci a tutti, finiamo per emarginare Cristo, lo riteniamo superfluo, un optional nel meccanismo della salvezza.