Cronache dalla grotta / Meditare dentro una O

di Rita Bettaglio 

Chi, come me, non è più anagraficamente una giovincella, ricorderà un ammiccante Renzo Arbore che pubblicizzava la birra dicendo: “Meditate, gente, meditate”. Meditare è cosa ormai desueta, ma estremamente salutare. Ma che vuol dire meditare? Perdersi nel vuoto cosmico, annullarsi panteisticamente come suggeriscono le discipline orientali?

Giorni fa ho letto queste parole di monsignor Fulton Sheen: “La meditazione ci preserva dal cercare continue scappatoie per i nostri affanni e miserie. Quando insorgono le difficoltà, quando abbiamo i nervi a fior di pelle a causa di false accuse, c’è sempre un pericolo da cui guardarci, come gli Israeliti, quello di lasciarsi andare. Non c’è via di fuga, né piacere, né bevanda, né amici o occupazioni, è la risposta. L’anima non può fuggire a cavallo, ma avere ali per volare verso un luogo in cui la sua vita è nascosta con Cristo in Dio”.

Anche nella grotta si avvicina il Natale (e nella grotta pare proprio di stare nel presepio). Queste settimane d’Avvento (sempre troppo veloci) sono state di più ritirate del solito.

Avete mai fatto caso che, quando si va in ritiro, e non si ha nulla di particolare da fare, nessun impegno, subito sembra di avere tempo per mille letture, preghiere, meditazioni? Non vi sentite, alla vigilia, come un bambino in un negozio di giocattoli? Poi, varcata la porta del monastero e ascoltata la prima antifona dell’Ufficio, partite per la tangente e un versetto della Sacra Scrittura, talvolta una sola parolina, vi prende e si dilata tanto da occupare tutta la vostra mente e la vostra anima. Allora tentate di leggere almeno uno dei mille libri che vi siete portati (e che in realtà sono una specie di coperta di Linus). Ma, niente, non andate oltre la seconda pagina e vi prende il nervoso. Le parole si fanno pesanti e non riuscite a mandarle giù, l’occhio vaga sulle lettere e non riesce a coglierle.

Inutile combattere: prima vi arrenderete, meglio sarà. Anzi, se ci riuscite (io non ci riesco mai) non portatevene proprio di libri e non fate programmi. Vi sentirete nudi e indifesi, senza nulla di vostro. Sensazione non piacevole, come non è piacevole andare incontro all’ignoto.

Una volta un monaco mi disse: “La nebbia è una parabola. Nella mia esperienza, il Signore ci dà la visibilità di alcuni metri davanti a noi, ma non di più. Il motivo è di farci affidare tutto a lui. Ecco la divina pedagogia. Ogni tanto la nebbia disperde e vediamo tutto il panorama, ma di solito è una questione di alcuni metri”. Terribilmente vero. Nelle piccole cose come nelle grandi. E ci dà un fastidio tremendo, confessiamolo.

Anni fa andai a un laboratorio allestito da un’associazione che si occupa di persone cieche. Facevano fare un percorso completamente al buio, guidati da una persona. Bisognava fidarsi di lei e dei nostri sensi, la mente andava subito nei piedi e nelle mani, per cogliere ogni informazione. Populus qui ambulabat in tenebris, il popolo che camminava nelle tenebre. Siamo o speriamo di essere noi, dato che, poi, vidit lucem magnam, vide una grande luce.

Oggi, per noi, le tenebre sono più interiori che esteriori, visto che, nel nostro mondo, luci ce ne sono fin troppe. Per quanto c’industriamo non riusciamo a scuotercele di dosso. La grotta, la mia per prima, resta comunque piena di ombre. Non ci piace, ma è la nostra condizione.

Dice l’oremus della III settimana d’Avvento: Aurem tuam, quǽsumus, Dómine, précibus nostris accómmoda: et mentis nostræ ténebras, grátia tuæ visitatiónis illústra. Che bella questa richiesta: accomoda, disponi, conforma il tuo orecchio alle nostre preghiere, che sono come infantili letterine di Natale, piene di errori e scritte male. Illumina le tenebre della nostra mente con la grazia della tua visita. Tuae visitationis: della tua visitazione, come una volta fece Maria, portando alla cugina Elisabetta il Signore, nascosto nel suo grembo verginale.

Dal 17 al 23 dicembre cantiamo le antifone O: O sapienza, O Adonai, O radix Jesse e così via. A noi basta quella O per illuminare la nostra grotta. Anzi, quella O diventa la nostra grotta, la cella del nostro cuore. Come nelle miniature medievali, quella O contiene i misteri della salvezza e il nostro rifugio. Meditiamo, quindi, in una O!

 

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