Il Dio assassinato, le chiese vuote, la fede evaporata. E la speranza che non muore

di Armin Schwibach

In Germania l’arcivescovo emerito di una diocesi della Baviera ha chiesto una maggiore creatività nella “conversione delle chiese ad altro uso”, come ha riferito un’agenzia di stampa cattolica. “Non rifiuterei un ristorante, per esempio, anche se ci sono differenze tra un pub e un ristorante”, ha precisato il prelato al portale internet della diocesi di Colonia. Molte cose sarebbero compatibili con lo scopo degli edifici ecclesiastici. Per esempio, “medicina, pratiche psicoterapeutiche, assistenza comunitaria, musica, teatro”, ha continuato il vescovo. Tutto ciò che crea comunità sarebbe quindi compatibile con lo scopo originario delle chiese. La “creatività” è all’ordine del giorno, ma una creatività, bontà sua, con dei limiti: “Non ci può essere un sexy shop in una chiesa”, ha detto il presule. Questo sarebbe incompatibile con lo scopo dell’edificio. Dopotutto… almeno questo…

Ma la tragedia è evidente. “Dio è morto. Dio rimane morto. E noi l’abbiamo ucciso”. Con queste affermazioni Friedrich Nietzsche, nel 1882, nella sua Gaia scienza non solo tracciava un’astuta diagnosi della modernità, ma rivelava profeticamente una crisi di cui oggi riconosciamo più che mai le conseguenze: l’alienazione della società da Dio e dalla fede, un’alienazione che è particolarmente preoccupante per il mondo precedentemente conosciuto come Occidente. Il fondamento religioso, il fondamento cristiano che un tempo sosteneva la cultura, l’etica, la morale e la comunità dell’Europa, sembra stia visibilmente evaporando. Un processo lento, quasi silenzioso, che si può vedere nelle chiese vuote, nella diminuzione dei fedeli e nell’abbandono, nella trascuratezza dei sacramenti.

Da luoghi di culto a templi del consumo 

Non è un segreto: il numero di fedeli cattolici nella nostra parte del mondo sta diminuendo rapidamente. Anno dopo anno, le chiese chiudono i battenti. A volte vengono demolite, ma più spesso vengono riadattate. Dove un tempo c’era l’altare e l’uomo si inginocchiava davanti ai suoi gradini prima di potersi avvicinare, ora gli scaffali dei supermercati invitano a consumare. I tabernacoli, già spostati in luoghi in disparte, stanno finalmente lasciando il posto a piste da ballo, e i campanili possono diventare segni caratteristici di alberghi moderni o altro. Gli spazi sacri che un tempo erano luoghi di preghiera e di trascendenza sublime, di lode veramente umile a Dio e alla sua presenza mistica, si stanno trasformando in luoghi di mondanità. La genuflessione davanti al Santo dei Santi diventa una genuflessione davanti ai beni materiali sotto ogni aspetto. Un tempo risuonavano il Te Deum laudamus, il Symbolon, il Credo in unum Deum, in Unam, Sanctam, Catholicam et Apostolicam Ecclesiam. Oggi si è fin troppo felici di suonare un Credo su un computer di registratore di cassa con i suoi bip e di eseguire una nuova “ecclesiologia” dello spazio ecclesiale del tutto impoverito.

Questo cambiamento è più di un semplice adeguamento economico alla realtà del calo dei “membri della chiesa”. È un segno drammatico e tragico della grande apostasia diagnosticata da papi come Pio X, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, un’apostasia e un declino della fede arrivati non improvvisamente, ma gradualmente e in modo strisciante. Gli stessi edifici ecclesiastici stanno diventando monumenti funebri del Dio morto, testimoni di un deserto spirituale che si sta diffondendo perché i capisaldi della fede – Scrittura, tradizione, magistero e quindi Roma come ancora e katéchon universale – stanno sempre più scomparendo dalla coscienza.

Nietzsche: profeta del declino

Ne La gaia scienza (n. 125), Friedrich Nietzsche riconosceva, o meglio intuiva, che la morte di Dio non era uno sviluppo accidentale, ma una conseguenza dell’aspirazione umana all’autonomia, alla liberazione da ogni autorità e dalla verità assoluta. Le sue parole – “Lo abbiamo ucciso” – non vanno intese come un trionfo, ma come un avvertimento pieno di disperazione.

“Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: cerco Dio! Cerco Dio!”. Sì, il folle uomo sta arrivando e sta urlando: siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo potuto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?”.

Quando la fede in un ordine trascendente si spegne, rimane un vuoto morale e spirituale. E si pone la domanda: non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? La solitudine e la disperazione dell’uomo folle – niente può davvero riempirle.

La società moderna dell’Occidente, nel suo canto del cigno, e al suo interno una chiesa in “aggiornamento”, sembrano oggi vivere questo profetizzato stato di vuoto. Senza una visione dell’assoluto, l’unità di significato e la comunità si disintegrano. Il pluralismo, il multipolarismo poliedrico, il relativismo e il distacco dalle verità oggettive intensificano la disintegrazione. E così la fede sta evaporando non solo nelle chiese, ma anche nella società stessa, che diventa sempre più disorientata.

L’evaporazione della fede

Perché la fede sta evaporando? Una delle ragioni principali risiede nell’alienazione dai fondamenti della Chiesa cattolica. Il disprezzo per la tradizione, la diluizione dell’interpretazione autentica delle Scritture, la rottura con il magistero a causa della sua liquefazione e l’erosione di Roma come centro sostanziale della Ecclesia universalis, una, sancta et apostolica hanno fatto sì che molti credenti non siano più in grado di orientarsi nella loro vita di fede. Dove un tempo c’erano parole chiare e valori non negoziabili, oggi regna confusione, e dove un tempo l’attenzione era rivolta all’eterno, si è insinuata una fissazione sul temporale. E questa affermazione non riguarda un presunto “indietrismo”. È piuttosto il riconoscimento, purtroppo necessario, di un futuro senza prospettiva normativa e vivibile.

Nel settembre 2011, in Germania, Benedetto XVI sentì il bisogno di sottolineare la necessità di una radicale e profonda liberazione della Chiesa da forme di questA mondanità (Entweltlichung).

Il XX e ora il XXI secolo hanno dimostrato che adattare la chiesa allo spirito dei tempi non è una soluzione. L’uomo folle, e ormai “woke” nell’accezione odierna, non è altro che una chimera. Piuttosto, porta a una diluizione che invalida la fede stessa. L’evaporazione della fede è il risultato di un mancato ricordo delle verità eterne che la Chiesa cattolica ha conservato per secoli e riversato per il presente nel suo bisogno di salvezza e speranza. L’idea come ideologia sostituisce la realtà. La volontà di potenza cerca di elevarsi a unico criterio. Ma fallisce. Con il risultato di devastazioni disumanizzanti.

Speranza nella realtà del “piccolo resto”

“È vicino e difficile da comprendere il Dio ma dove è il pericolo cresce anche ciò che dà la salvezza” (Friedrich Hölderlin). Nonostante le tenebre, non tutto è perduto. Il Signore ha promesso alla Chiesa che non l’abbandonerà e che le potenze degli inferi e del male non prevarranno: la Chiesa è una e unicamente fondata da Cristo e in Cristo, la sua vita è orientata all’eternità, vive umanamente nella dimensione del “già e non ancora”, proprio nel tempo ormai nascente dell’attesa della venuta del Signore.

Dio irrompe nella storia, il Logos eterno prende carne. Lui, che è Dio fin dall’inizio, diventa pienamente umano. La morte sacrificale di Dio sulla croce – punto cardine della creazione – è il dono universale e finale a cui la creatura è chiamata. In principio era il Verbo e il Verbo era con Dio, era rivolto a lui e il Verbo era Dio: l’apostolo Giovanni ci conduce nella luce divina, perché “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno afferrata”.

Ora dunque, in mezzo al declino generale, c’è un “piccolo resto”, una comunità di credenti graditi a Dio che sono fedeli ai fondamenti della fede. Non cercano il conformismo, ma l’autenticità; non la rilevanza mondana, ma la verità eterna. Questo piccolo resto dimostra che la salvezza della Chiesa non è possibile attraverso riforme esterne, ma solo attraverso un ritorno interiore alla fonte della fede.

Forse la crisi della fede e della Chiesa che stiamo vivendo è un passo necessario (ancora una volta, si rimanda al discorso di Benedetto XVI a Friburgo) verso la riscoperta dell’essenza della fede. Lo svuotamento dei luoghi di culto e l’alienazione della società possono essere una chiamata al pentimento, una chiamata che ci ricorda che la fede non deve e non può scomparire nel nulla se la fondiamo sull’assoluto. Nietzsche poteva avere ragione nel dire che la morte di Dio è un evento epocale. Ma rimane altrettanto vero che dove la fede è vissuta fedelmente, anche un Dio ucciso (che noi abbiamo ucciso non riconoscendo, né credendo, né vivendo la sua vera morte sacrificale) può tornare a vivere.

Nel mezzo della crisi sopra descritta, il pensiero di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ci mostra un cammino di speranza basato sul ritorno alla verità e alla profondità della fede cristiana. Il papa tedesco ci ha sempre ricordato che la fede non è una mera convenzione culturale, ma la risposta all’incontro con il Dio vivente.

Nella sua enciclica Deus caritas est scriveva: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (1). Agli occhi di Benedetto, la crisi della fede, vista nelle chiese vuote e nell’alienazione dai valori sacri, è un invito a tornare a questo incontro vivo. La fede non deve essere ridotta a progetti sociali o a una mera tradizione di costume. È piuttosto la fonte della speranza e della salvezza che si manifesta in una relazione viva con Cristo.

Il “piccolo resto” e la “minoranza creativa” come nucleo del rinnovamento

Benedetto XVI ha ripetutamente sottolineato l’importanza di un forte nucleo di fede, che ha definito “piccola comunità” o “piccolo gregge”. In un messaggio radiofonico molto noto del 1969, l’allora teologo Ratzinger parlò profeticamente del futuro della Chiesa: “La Chiesa diventerà più piccola, perderà molti dei suoi privilegi sociali, ma diventerà una Chiesa più profonda, una Chiesa di fede e di preghiera, una Chiesa che trova il suo centro interiore in Cristo”.

Questo “piccolo gregge”, che non è guidato dallo spirito del tempo ma dallo spirito di Cristo, non è una raccolta di rassegnati, ma un seme di speranza. Qui la verità del messaggio cristiano si rivela nella sua purezza e genuinità. Benedetto XVI ha riconosciuto che nella crisi si trova un’opportunità per approfondire la fede, un’opportunità per trasmettere la fede alla prossima generazione – non come una tradizione vuota, ma come un’esperienza vissuta.

A Friburgo, Benedetto XVI sottolineò che la Chiesa deve ritrovare la sua vera missione attraverso la “de-mondializzazione”, la già citata Entweltlichung. Non si tratta di ritirarsi dal mondo, ma di liberarsi dai falsi attaccamenti al potere, alla ricchezza e al riconoscimento. Disse: “La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo a un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace”.

È qui che risiede la vera speranza: non sono decisive le strutture esterne o il numero di fedeli, ma la riscoperta della verità profonda del Vangelo. È l’amore di Cristo che rende possibile un nuovo inizio nella crisi, che dà la forza di pentirsi e rinnova la vita della chiesa.

La fede trasforma il mondo. Benedetto XVI sapeva che la Chiesa può irradiare speranza solo se porta in sé una speranza viva. Questa speranza deriva dalla promessa di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La sacralità degli spazi ecclesiali non è perduta se sono rivitalizzati da comunità con una fede forte, dove queste stesse comunità celebrano il mistero eterno e traggono la loro vita da esso. Dove la fede è vissuta, la fede evaporata può tornare a essere una fonte di acqua viva.

Il messaggio di Benedetto XVI è chiaro: non c’è motivo di rassegnarsi. L’evaporazione della fede non è una realtà ineluttabile, ma una chiamata al rinnovamento. La Chiesa non si salverà con riforme esterne o con l’adattamento allo spirito del tempo, ma con la fede in colui che ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11,25).

La Chiesa non si salva con le masse, gli applausi, le strutture democratiche, le fantasie sinodali e l’arbitrio da showman, ma con la fedeltà alla fede. La salvezza non sta nell’adattarsi allo spirito del tempo, ma nel tornare allo spirito che sostiene tutti i tempi: nel tornare alla regalità di Cristo. Il “folle uomo” non trionferà. L’Anno Santo di Grazia che sta sorgendo richiede e offre qualcosa di diverso. Conduce i credenti nella liturgia celeste, nell’eterno culto di Dio. È un anticipo della gloria celeste. La Chiesa sulla terra partecipa a questo culto, coinvolta nel mistero del sacrificio eucaristico. Questo è il nucleo di ogni speranza.

Introibo ad altare Dei. Ad Deum, qui laetificat juventutem meam.

 

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