del Giovane Prete
Caro Aldo Maria,
devo confessarti che, come sacerdote, fare una meditazione sul Natale (così come per la Pasqua) è sempre motivo di grande difficoltà, perché mi ritrovo davanti a un mistero così grande e affascinante che ho sempre il timore di rovinarlo con la povertà delle mie parole. Il silenzio adorante è infatti la risposta più adeguata a ciò che i nostri occhi vedono e il nostro cuore ammira.
Tuttavia, dato che me lo hai chiesto, cercherò di scriverti qualcosa di semplice che mi viene dal cuore. Ormai sono un ex giovane prete e quindi non posso che partire dai ricordi.
Da bambino il Natale era la festa più amata perché avevo come l’impressione che tutto intorno a me fosse avvolto da qualcosa di speciale, qualcosa che aveva il potere di rendere tutti un po’ più buoni. Illusione di un bambino? Sì, forse, chissà. Mi piace pensare che davvero fosse così.
In questi ultimi anni invece abbiamo assistito a una potentissima operazione politico-culturale volta a sradicare sempre più la fede dai popoli europei, con la conseguenza che una nube tossica di tristezza ci ha avvolti tutti e non ha risparmiato neppure il Natale.
In questo senso leggo anche il grande successo della figura del Grinch, creatura animalesca che vuole rovinare e rubare il Natale. E perché? Perché odia la gente felice, in quanto ha il cuore “di due taglie più piccole”.
Perché oggi i Grinch si sono moltiplicati? Perché è molto più facile borbottare, criticare, accarezzare il nostro orgoglio dicendoci che noi siamo troppo intelligenti per festeggiare come tutti gli altri. “Io odio il Natale”. Quante volte lo sento dire intorno a me. È inevitabile che questo accada nella misura in cui si dimentica Colui che festeggiamo. Un compleanno senza festeggiato è di una tristezza infinita. Senza Gesù è inevitabile che questa festa diventi solo un grande stress, tra corse affannate dell’ultimo momento per acquistare i regali mancanti e le maratone culinarie per preparare il grande cenone della vigilia e il pranzo del giorno dopo con i parenti.
Senza Gesù il Natale non ha il colore della gioia e regrediamo al tempo in cui “il popolo camminava nelle tenebre”.
Ma noi, caro Aldo Maria, siamo il popolo della luce e della gioia, perché a noi, proprio a noi, è dato in dono il Salvatore.
Prendo spunto da un’intuizione che ho ricevuto da una grande teologa del nostro tempo, una piccola bimba di tre anni della mia parrocchia che ha da poco avuto in dono una sorellina, nata qualche giorno prima del previsto. Alla domanda della gente: “Ma perché è nata prima?”, ha risposto con assoluta certezza: “Perché aveva fretta di vedermi”.
Direi che non fa una piega: perché Dio ha voluto mandare suo Figlio in questo nostro mondo? Perché aveva fretta e voglia di vederci. Perché ci vuole bene. E noi festeggiamo quella nascita perché possiamo ricordarci sempre che Egli non ci ha davanti agli occhi come servi ma come amici per i quali ha donato la sua vita.
Quel Dio che nessuno aveva mai visto, il Figlio lo ha rivelato. Con l’Incarnazione la Rivelazione di Dio compie un passo decisivo e passa dal solo ascolto alla vista, dalle orecchie agli occhi. La sapienza della Chiesa sa molto bene che l’uomo diventa ciò che guarda e per questo ogni anno ci mette davanti agli occhi la potenza silenziosa di quella nascita, di fronte alla quale ci sorgono nel cuore tutti quei sentimenti di bontà, serenità e pace che nella vita ordinaria dimentichiamo o riserviamo solo a pochi intimi. Nello stesso tempo sappiamo che dovrebbero far parte di più della nostra vita e che accoglierli nel nostro cuore ci farebbe sentire più vivi, più veri, più noi stessi e non per niente li trasmettiamo ai nostri bambini.
In qualunque condizione di vita ci troviamo, non smettiamo mai di guardare verso quel piccolo fanciullo che illumina le nostre notti, perché, come insegnava san Tommaso Moro, “la terra non ha alcuna tristezza che il cielo non possa guarire”.
Noi cristiani abbiamo un compito quaggiù: vivere da redenti, da risorti, mostrare a tutti gli effetti della Misericordia, la bellezza di chi sa che la propria vita è sempre amata da Dio.
C’è una bellissima poesia di Emily Dickinson: “Chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù / perché gli Angeli affittano Casa vicino alla nostra, ovunque ci spostiamo”.
Il Paradiso e l’Inferno iniziano quaggiù: la vita può essere una bella avventura di salvezza, che è stare davanti al suo sguardo, oppure essere la nausea, la noia, lontani da lui, perché “senza di lui, non esistono amori felici”. Nella Notte Santa facciamoci trovare lì, davanti a Gesù, davanti alla nuova mangiatoia, ossia quell’altare sopra il quale Gesù rinasce continuamente per darsi a noi come cibo di vita eterna.
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P.S. – Ah, caro Aldo Maria, quasi dimenticavo. Per tutti coloro che simpatizzano per il Grinch, auguro loro di fare lo stesso cammino, ritrovandosi al termine della vita con un cuore “tre taglie più grande”! In Paradiso c’è spazio per tutti!