Caro Aurelio…
Caro Aurelio,
di recente, in seguito ad alcune letture, ho approfondito la conoscenza di un vescovo norvegese, monsignor Erik Varden, la cui vicenda mi ha offerto numerosi spunti di riflessione.
Monsignor Varden, monaco cistercense, dal 2019 è vescovo di Trondheim e dal 2023 amministratore apostolico di Tromsø, in Norvegia. Ha cinquant’anni, è stato abate trappista di Mount Saint Bernard, in Inghilterra, e ha insegnato teologia a Cambridge. I suoi genitori appartenevano formalmente alla Chiesa luterana ma erano in pratica agnostici. Molto religioso era il nonno paterno, Arne, pastore protestante, così come la nonna Hjørdis. Ma nella sua infanzia – racconta – la religiosità era stata ridotta al solo aspetto formale.
La conversione per il quindicenne Erik arrivò dopo che ebbe ascoltato la Sinfonia n. 2 (Risurrezione) di Gustav Mahler. “Un amico di mia sorella mi aveva consigliato questa particolare sinfonia che, nel suo ultimo movimento, comincia con l’evocazione di un caos primario mentre, gradualmente, un ritmo si impone”.
Non sei nato invano. Non hai vissuto, sofferto, invano. Risorgerai e vivrai. Le parole pronunciate dal coro nella sinfonia di Mahler furono per Erik una illuminazione e, al tempo stesso, una ferita: “Fu come se il mio cuore, all’improvviso, si aprisse a una certezza, quasi istintiva, che Dio esiste davvero. E alla consapevolezza del fatto che dentro di me portavo qualcosa che mi superava”.
“Quando la musica finì, rimasi come paralizzato e mi dissi: sarà interessante pensarci domani quando questa sensazione sarà passata”. L’indomani, però, quel senso sconvolgente di novità non si dissolse e… “così incominciò la mia ricerca”.
All’Atlantic College, una scuola superiore gallese, nel confronto quotidiano con alcuni compagni anglicani Erik si rende conto che la religione non è un fossile, ma può essere argomento di discussione. Cresciuto in un ambiente secolarizzato, non immaginava che esistessero ancora monasteri cristiani. Si iscrive a un ritiro spirituale di una settimana nell’abbazia trappista di Caldey Island e lì, in modo sorprendente, si sente a casa: «Trovai un tipo di vita che corrispondeva alla mia vocazione e decisi di diventare cattolico». All’Università di Cambridge studia teologia ed entra a far parte della Chiesa cattolica. La celebrazione ufficiale avviene in Austria, nel monastero di Klosterneuburg, dove vive un sacerdote amico.
Nel 2002 Erik Varden entra come novizio a Mount Saint Bernard Abbey, non lontano dal Saint John College di Cambridge. Dopo un periodo di formazione a Roma, dove studia al Pontificio istituto orientale e insegna teologia monastica, lingua siriaca e canto gregoriano al Pontificio ateneo Sant’Anselmo, padre Erik torna in Inghilterra e nel 2015, a quarantuno anni, viene eletto abate.
Il monastero produceva latte, ma sotto la guida dell’abate Erik si cimenta con la birra trappista, la prima nel Regno Unito. Viene usata un’antica ricetta rielaborata dai monaci per i palati di oggi, ed è un successo.
Monsignor Varden, che oltre al norvegese conosce una decina di lingue (compreso ebraico, russo e italiano) oggi non esita a parlare di “vocazione alla santità” per sé e per tutti, e in una recente intervista ha esposto una tesi controcorrente: “La secolarizzazione si è esaurita”.
In che senso?
“La fiamma della fede risplende sempre di nuovo in luoghi inaspettati. Incontro molti giovani affamati di significato, sinceri nella loro ricerca, lucidi nelle loro analisi. Sorrido un po’ di fronte alle diagnosi, siano laiche o ecclesiastiche, in cui anziani commentatori propongono tesi sui giovani come se questi ultimi fossero una specie tenuta in vita artificiosamente in un frigorifero di laboratorio, confinata nei presupposti e nell’habitat culturale dei decenni passati. Come può la Chiesa impegnarsi con i giovani di oggi? Prendendoli sul serio. Non parlando loro con sufficienza. Osando presentare ideali alti e belli. Rispettando il loro desiderio di abbracciare la pienezza della tradizione. Non dando loro sassi, o dolcetti, come pane”.
Dal suo particolare osservatorio monsignor Varden nota che “un numero maggiore di persone si pone domande, cerca ragionamenti validi e parametri affidabili”. Dio non è morto, la religione non è un reperto abbandonato. Anzi, “la tradizione intellettuale cattolica ha un immenso contributo da dare quando si tratta di dare risposte al bisogno di assoluto”.
E poi un’affermazione nella quale mi riconosco in pieno: “Senza voler per nulla sminuire l’importanza del lavoro caritativo o delle cause di giustizia e di pace, credo che l’apostolato intellettuale sia fondamentale per i prossimi decenni. Il Verbo si è fatto carne per impregnare di logos la nostra stessa natura, creata a immagine del Verbo. Accogliere questo aspetto del nostro essere e articolarlo significa iniziare a ricordare la nostra dignità”.
Monsignor Varden mette in guardia dall’ansia di seguire il mondo: “La Chiesa per sua natura si muove lentamente. C’è il rischio che ci impegniamo in quelle che riteniamo siano tendenze contemporanee quando già non sono rimaste altro che braci morenti. Così passiamo senza fortuna, e in modo leggermente assurdo, da un falò spento all’altro. È sicuramente più promettente, interessante e gioioso rimanere aggrappati a ciò che resiste. Questo è ciò che parlerà ai cuori e alle menti umane nella nostra epoca come in ogni altra epoca”.
Quanto alla definizione di post-cristiano, spesso usata per qualificare il mondo occidentale, il vescovo Varden afferma: “Teologicamente, il termine post-cristiano non ha senso. Cristo è l’Alfa e l’Omega, e tutte le lettere intermedie. Egli porta costituzionalmente la freschezza della rugiada del mattino: non per niente durante l’Avvento tempestiamo il cielo cantando Rorate!. Il cristianesimo è dell’alba. Se a volte, in determinati periodi, ci sentiamo avvolti dal crepuscolo, è perché sta nascendo un altro giorno. Se vogliamo parlare di pre e di post, mi sembra più appropriato suggerire che ci troviamo alle soglie di un’epoca che definirei post-secolare. La secolarizzazione ha fatto il suo corso. È esaurita, priva di finalità positiva. L’essere umano, nel frattempo, rimane vivo con aspirazioni profonde. Si consideri che migliaia di persone cercano un’istruzione nella fede. Questi sono segni che dovrebbero riempirci di coraggio. Dovrebbero renderci determinati a non mettere la nostra lampada sotto il moggio. La Chiesa possiede le parole e i segni con cui trasmettere l’eterno come realtà. La scrittrice inglese Helen Waddell ha detto: ‘Avere anche una minima concezione dell’infinito è come togliere la pietra dalla bocca di un pozzo. Non è forse questo il compito cristiano fondamentale per il momento attuale? Sursum corda!”.
Ecco, ho voluto condividere con te, caro Aurelio, questi spunti di riflessione perché ci aiutano a superare alcuni schematismi nei quali, magari senza volerlo, cadiamo con facilità. Le parole di monsignor Varden ci esortano a guardare oltre, e il fatto che il giovane Erik, oggi vescovo, abbia avvertito il richiamo di Dio ascoltando Mahler penso sia di particolare stimolo per te che, non senza qualche sofferenza, vivi immerso nella musica.
Continua.
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