Il numero della bestia e il “Pape Satàn”. Soluzione di un doppio enigma
di Felice Vinci
Questo articolo presenta i risultati di uno studio volto a trovare la soluzione del famoso indovinello contenuto nell’Apocalisse di Giovanni: “Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: infatti è un numero d’uomo, e il suo numero è seicentosessantasei” (Apoc. 13.18). Esso si trova a conclusione di un episodio in cui all’inizio appare in cielo un enorme drago che perseguita una donna incinta e poi cerca di ucciderle il figlio neonato, ma viene scaraventato da Michele sulla terra; successivamente compaiono altre due bestie demoniache. Qui si propone che la soluzione dell’enigma sia “Apophis”, il nome del gigantesco serpente che nella mitologia egizia è il nemico del dio solare Ra. La plausibilità di questa ipotesi si basa sulla corrispondenza con la somma dei numeri associati alle lettere greche che compongono questo nome (ad eccezione della A iniziale, esclusa perché Apophis ha la “testa” tagliata da Ra); ma va anche considerata l’analogia di questa storia con il mito greco di Latona, perseguitata dal serpente Pitone prima di dare alla luce il dio solare Apollo. Tale soluzione è confermata dal fatto che essa a sua volta rappresenta la chiave per risolvere immediatamente un altro annoso enigma, contenuto nell’Inferno di Dante, dove un personaggio demoniaco, Pluto, pronuncia una frase apparentemente senza senso: “Pape Satàn, pape Satàn aleppe”. Se ne può dedurre che Dante conoscesse la soluzione dell’indovinello del 666 e se ne sia servito per costruire il suo enigma, che difatti era rimasto finora irrisolto.
L’indovinello dell’Apocalisse
In questo articolo dapprima esamineremo un celebre indovinello proposto dall’Apocalisse di Giovanni, di cui cercheremo la soluzione utilizzando una metodologia costituita da un nuovo esame critico di fonti non soltanto bibliche e classiche, ma anche appartenenti ad altri contesti letterari. Successivamente, a conferma dell’attendibilità della soluzione trovata, verificheremo che, avvalendosi di quest’ultima, è possibile anche scoprire il reale significato, finora oscuro e controverso, di un enigmatico verso dell’Inferno dantesco.
L’indovinello in questione viene proposto a suggello di un lungo episodio, esteso su due capitoli, in cui dapprima appare in cielo un enorme drago maligno che perseguita una donna in procinto di partorire e poi cerca di ucciderle il figlio neonato, ma viene affrontato da Michele con le sue schiere angeliche e scaraventato sulla Terra. L’episodio prosegue con il racconto di successivi eventi di cui sono protagoniste altre due bestie demoniache, strettamente legate al drago, per poi concludersi con il famoso indovinello, di cui finora non è stata mai trovata una soluzione convincente1: “Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: infatti è un numero d’uomo, e il suo numero è seicentosessantasei”2.
Per trovare la soluzione di questo enigma conviene innanzi tutto leggere attentamente l’episodio, di cui qui di seguito riportiamo i punti salienti (comprendenti parte dei versetti contenuti nei capitoli 12 e 13 dell’Apocalisse):
“Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire, in modo da divorare il bambino non appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e il suo trono (…) Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli (…) E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo (…) Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita (…) Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo (…) E vidi salire dalla terra un’altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Opera grandi prodigi, fino a far scendere il fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini (…) Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero d’uomo, e il suo numero è seicentosessantasei”.
Dunque l’indovinello dell’Apocalisse fa riferimento ad un “serpente antico”, incarnazione abietta del Male al punto da essere chiamato “diavolo e Satana”, che, dopo essere stato “precipitato sulla terra”, riappare sotto le spoglie delle due bestie. Esso è accostabile ad Apep (“Apophis” in greco), il grande serpente della mitologia egizia, immagine delle forze delle tenebre nonché acerrimo nemico di Ra, il dio del sole (non a caso il suo epiteto era “il nemico di Ra”)3. All’inizio di ogni nuovo giorno Apophis cercava di impedire il sorgere del sole, minacciandolo mentre navigava sulla sua barca attraverso il Duat, l’aldilà egizio.
Qui cercheremo ora di dimostrare che è proprio ad Apophis, il maligno nemico del dio del sole, che potrebbe alludere l’indovinello che conclude l’episodio dell’Apocalisse. Infatti, la somma dei numeri corrispondenti alle lettere greche (A-P-O-PH-I-S) che compongono il suo nome è pari a 667 (A = 1, P = 80, O = 70, PH = 500, I = 10, S = 6), a cui però bisogna sottrarre 1 (il numero della A iniziale) perché, secondo l’Apocalisse, “vidi una delle sue teste come ferita a morte”4. Questo nella mitologia egizia corrisponde a un racconto in cui Apophis viene sconfitto da Ra in veste di gatto: “il Grande Gatto, un aspetto di Ra, tagliò la testa di Apophis sotto l’albero sacro ished“5. Ne consegue che la somma è 666.
Su questo aspetto cruciale della decapitazione di Apophis da parte di Ra vi è anche una versione leggermente diversa, che non cambia per nulla la sostanza del racconto: “Apophis, nemico di Ra, distogli la faccia! Ra odia la tua stessa vista! La testa viene quindi tagliata, fatta a pezzi e gettata via”6.
Tornando a quella A iniziale, va osservato che nel sistema numerico greco di età ellenistica per indicare il numero 1 si usava la lettera alpha; essa deriva dalla lettera fenicia aleph (corrispondente anche alla prima lettera dell’alfabeto ebraico), che indicava il bue7. Quindi la A di Apophis ne rappresentava la “testa”, sia perché era la lettera iniziale del suo nome, sia perché era la prima dell’alfabeto greco. D’altronde la sua stessa forma, A, richiama la rappresentazione stilizzata di una testa di bue, appunto alpha-aleph, con il muso in alto e le corna rivolte verso il basso.
D’altro canto, la mitologia greca racconta una storia molto simile a quella dell’Apocalisse: ci riferiamo al drago Pitone che perseguita la dea Latona8, incinta e in procinto di partorire Apollo (il dio solare che corrisponde al Ra egizio, anche per il fatto che poi Apollo uccise Pitone9) e la sua gemella Artemide. Per inciso, a questo punto possiamo fare una suggestiva ipotesi (al momento non dimostrabile): dato che l’apostolo Giovanni, tradizionalmente ritenuto l’autore dell’Apocalisse, sarebbe vissuto a Efeso – dove sorgeva l’Artemision, il grande tempio di Artemide, considerato dagli antichi una delle sette meraviglie del mondo (i cui resti sono ancora oggi visibili) – è naturale chiedersi se l’immagine del grande drago rosso che “si pose davanti alla donna che stava per partorire”10 non sia stata ispirata da una delle decorazioni, ora perdute, dell’Artemision.
Un enigmatico verso dell’Inferno di Dante
Ciò che conferma l’attendibilità di questa soluzione dell’indovinello dell’Apocalisse, cioè che dietro il numero 666 si nasconda il nome di Apophis, è il fatto che essa a sua volta ci dà la chiave per risolvere un altro antico enigma letterario. Ci riferiamo al misterioso, e tuttora dibattuto11, significato del verso iniziale del VII canto dell’Inferno di Dante: “Pape Satàn, pape Satàn aleppe”, una frase apparentemente priva di senso che Pluto, un essere demoniaco – espressamente definito “il gran nemico”12 – pronuncia allorché incontra Dante e Virgilio. Nel corso dei secoli, gli esegeti si sono spesso cimentati con queste incomprensibili parole di Pluto dandone le interpretazioni più disparate (a partire da Pietro, figlio di Dante), senza tuttavia mai arrivare a conclusioni condivise.
Ma a questo punto, prima di verificare se l’enigmatica frase di Pluto sia riconducibile all’indovinello del numero 666, per giustificare questo singolare accostamento occorre dire che Dante è considerato l’ultimo grande interprete medievale dell’Apocalisse, che oltretutto viene da lui direttamente citata allorché, subito dopo aver menzionato l’Evangelista Giovanni, di essa ricorda il passo in cui compare “una donna seduta sopra una bestia scarlatta, che era coperta di nomi blasfemi, aveva sette teste e dieci corna”13. Ecco infatti cosa dice Dante:
Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque14.
Dopo avere così giustificato l’accostamento che ora ci accingiamo a fare tra i versi di Dante e l’Apocalisse giovannea, è giunto il momento di citare l’intero contesto in cui Pluto dice quella strana frase:
“Pape Satàn, pape Satàn aleppe!“,
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: “Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia”.
Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia,
e disse: “Taci, maladetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia.
Non è sanza cagion l’andare al cupo:
vuolsi ne l’alto, là dove Michele
fé la vendetta del superbo strupo“.
Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
tal cadde a terra la fiera crudele15.
Da questi versi si deduce subito che:
- Pluto ha appena iniziato un discorso, che viene subito interrotto da Virgilio (“Cominciò Pluto con la voce chioccia”);
- Virgilio comprende perfettamente il vero significato delle parole di Pluto (“E quel savio gentil, che tutto seppe”). Ciò è molto importante, perché indica che la frase pronunciata da Pluto non è affatto priva di senso;
- ciò che Pluto esprime è un forte sentimento di rabbia (“Consuma dentro te con la tua rabbia”);
- l’ira di quell’essere demoniaco spaventa Dante (“Non ti noccia la tua paura”).
Ora, ricordando quanto emerso in precedenza a proposito del drago e delle bestie diaboliche nell’Apocalisse, è rivelatore il fatto che qui il poeta, nel dire che “Michele fé la vendetta del superbo strupo”, faccia una esplicita allusione a quell’episodio, con particolare riguardo a Michele e alla sua vittoriosa lotta con il drago. Non solo: è proprio nell’ascoltare quelle parole, in cui Virgilio ricorda la sconfitta del diavolo, che anche Pluto si sente sconfitto, al punto da capovolgere immediatamente il suo atteggiamento inizialmente aggressivo: “Tal cadde a terra la fiera crudele”. Troviamo qui un preciso parallelismo con l’immagine della caduta del drago nell’Apocalisse: “Fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli” 16.
D’altra parte, perfettamente coerente con il quadro testé delineato è anche l’espressione con cui Dante, nell’ultimo verso del canto precedente a quello che stiamo esaminando, aveva presentato il personaggio di Pluto: “il gran nemico”. Essa ben si attaglia all’immagine dell’Angelo Ribelle, la cui dimensione di nemico giurato di Dio e degli uomini è ribadita più volte nell’episodio dell’Apocalisse esaminato poco fa.
A questo punto, considerando sia l’atteggiamento del Pluto dantesco, con i suoi evidenti riferimenti a quell’episodio dell’Apocalisse, sia quanto emerso poco fa riguardo alla soluzione dell’enigma del numero 666, alla luce di tutto questo non è difficile decifrare ciò che si nasconde dietro l’espressione “Pape Satàn, pape Satàn aleppe”, che il poeta mette in bocca al suo diabolico personaggio: essa vuole esprimere l’identificazione, volutamente ripetuta, di Apophis (“Pape”) con Satana, proclamandone al contempo la glorificazione (“Pape Satàn è l’alpha, ‘aleppe’, cioè il primo, il numero uno”). Non solo: in realtà il concetto più importante nascosto da Dante in questa frase è il distacco della “testa” (aleppe, cioè A, “alpha”) dal resto del corpo di A-pophis (“pape”, cioè pophis). Ma questa è anche la chiave che ci aveva permesso di risolvere l’enigma dell’Apocalisse, poiché è così che il nome “Apophis”, privato (anzi, decapitato) dell’iniziale A, corrisponde esattamente al numero 666.
Sulla base di questa interpretazione, confermata dai versi successivi a quelle parole di Pluto che fino ad oggi erano sempre apparse incomprensibili (ma di cui Virgilio aveva invece perfettamente capito il senso), possiamo ora affermare che Dante conosceva la soluzione dell’indovinello dell’Apocalisse sul numero del nome della bestia e a modo suo ce la ha ingegnosamente riproposta – sempre in forma enigmatica! – in quel verso della sua Commedia, il cui significato ci è stato dischiuso dalla soluzione dell’enigma del 666.
D’altronde Dante amava spesso esprimersi attraverso enigmi e giochi di parole – come qualche secolo dopo avrebbe fatto William Shakespeare – e in questo caso gioca addirittura a costruirne uno partendo dalla soluzione di un altro molto più antico, dando quasi l’impressione di strizzare l’occhio a chi rilegge le parole di Pluto subito dopo averne compreso il significato… Così si spiega anche perché esso finora non fosse stato mai chiarito: per risolverlo, è necessario aver prima risolto l’indovinello dell’Apocalisse, e quindi il fatto stesso che entrambi i problemi siano stati risolti insieme – o meglio, uno subito dopo l’altro – costituisce di per sé un’ulteriore indicazione della validità dei ragionamenti qui sviluppati.
Conclusioni
In conclusione, abbiamo trovato una soluzione logica all’indovinello proposto dall’Apocalisse accostando le figure demoniache del drago e delle altre bestie maligne che appaiono dopo la sua caduta ad Apophis, il diabolico serpente nemico del dio del sole egizio, e poi sommando i numeri corrispondenti alle lettere greche del suo nome; però dall’addizione abbiamo escluso il numero 1, quello della A iniziale, perché la testa della Bestia era “ferita a morte”, il che corrisponde al fatto che, secondo il mito, Apophis fu decapitato da Ra. Il totale fa 666. A conferma dell’attendibilità di questa soluzione sta il fatto che essa ci ha dato la chiave per risolvere un altro annoso problema, consentendoci di dare un senso compiuto alle parole pronunciate da Pluto, personaggio demoniaco dell’Inferno dantesco, che finora erano state considerate insensate o incomprensibili.
Insomma le soluzioni proposte per i due enigmi si confermano a vicenda, tenendo altresì presente che esse potranno essere il punto di partenza per ulteriori ricerche e approfondimenti da parte di futuri studiosi. Ad esempio, è lecito chiedersi se Dante sia stato il primo a comprendere che il nome nascosto dietro il numero 666 era Apophis, oppure se lo abbia saputo da qualche altra fonte (e, in questo caso, come e da chi abbia ricevuto questa informazione). Si tratta di un problema estremamente difficile – che per certi versi ricorda, ad esempio, quello delle fonti a cui egli attinse per costruire l’enigmatico personaggio del “Messaggero celeste” nel IX canto dell’Inferno17, oppure il personaggio di Gerione nel XVII canto18 – ma ci è sembrato giusto proporlo già qui per rammentarci che in ogni campo dello scibile la soluzione di un problema spesso ci pone davanti alla necessità di affrontarne di nuovi.
Note
- Cf. M.G. Michael, The Number of the Beast, 666 (Revelation 13:16-18): Background, Sources and Interpretation, Sydney 1998.
- Apoc.13:18.
- Cf. G. Hart, A Dictionary of Egyptian Gods and Goddesses, Londra, 1986.
- Apoc.13:3.
- G. Pinch, Handbook of Egyptian Mythology, Santa Barbara, Calif., 2002, pp. 107-108.
- R. T. Rundle Clark, Myth and Symbol in Ancient Egypt, New York 1960, p. 211.
- Cf. G. Roskam, Plutarch on the alpha, in “Les études Classiques”, 99 (2020), pp. 285-300.
- Ps.-Igin., Fabulae140.
- Ovid. Met. I, 438-444.
- Apoc.12:4.
- Cf. G. Sasso, L’enigma di Dante: il significato di Pape Satàn, pape Satàn aleppe, Bologna 2021.
- Inf.VI, 115.
- Apoc. 17:3.
- Inf.XIX, 106-111.
- Inf.VII, 1-15.
- Apoc. 12:9.
- F. Vinci, A. Maiuri, Parallelismi tra Dante e Omero: il Messo celeste nel IX Canto dell’Inferno, in “Appunti Romani di Filologia”, 23 (2021), pp. 47-56.
- F. Vinci, A. Maiuri, Possibili fonti inedite del personaggio di Gerione nell’Inferno dantesco, in “Appunti Romani di Filologia”, 25 (2023), pp. 55-61.
Fonte: Athens Journal of Mediterranean Studies 2024, 11: 1-7
Nell’immagine, Apophis decapitato da Ra nelle sembianze di un gatto (Papiro di Hunefer, ca. XIII-XII sec. AC)