La Parola e le parole (di Bergoglio). Due mondi opposti
di Fabio Battiston
La liturgia del Messale festivo tradizionale di domenica 5 gennaio, dedicata al Santissimo nome di Gesù, propone un passo di grande significato dagli Atti degli apostoli (At 4, 8-12). Ne riporto qui l’incipit e la parte conclusiva: «In quei giorni Pietro, ricolmo di Spirito Santo, disse: “Capi del popolo e anziani, ascoltate: questo Gesù è la pietra che, scartata dai costruttori, è divenuta la pietra angolare. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”».
Circa duemila anni dopo questa parola di Dio, ecco dinanzi al mondo il signor Jorge Mario Bergoglio – duecentosessantaseiesimo papa della Chiesa cattolica, col nome di Francesco – pronunciare in quel di Singapore le seguenti parole: «Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini”».
La semplice comparazione di queste due affermazioni basterebbe da sola – senza tormentarci tra dubbi, esitazioni o incertezze – per definire come un ossimoro la fedeltà da un lato alle parole del custode delle chiavi del paradiso, dall’altro la condivisione del “pensiero” esternato dall’odierno successore alla cattedra di Pietro. Stiamo parlando di due visioni del soprannaturale e della fede non solo diverse ma inconciliabilmente ed eternamente opposte. Di quale chiesa può essere il supremo rappresentante colui che, con quelle abominevoli cinque righe, ha prima preso a calci il Primo Comandamento e, subito dopo, la Parola del primo Vicario di Cristo su questa terra? Non certo della Chiesa cattolica apostolica, romana! Attenzione, perché questo problema ci riguarda tutti. Come può, infatti, ciascuno di noi riconoscersi come credente in Cristo e al tempo stesso, mutatis mutandi, rivendicare fieramente la propria appartenenza a una chiesa temporale la cui guida suprema è in grado di concepire e pronunciare parole che non suonano come peccato (magari si trattasse di questo) bensì come il più crudele tradimento di Nostro Signore? Un tradimento, si badi bene, ormai non limitato al sedicente papa e a una sua più o meno ampia cerchia di adepti. Il silenzio, mai così urlato, della sterminata massa del clero e del laicato cattolico che ha accompagnato le dichiarazioni singaporiane è lì a dimostrare plasticamente una indiscutibile realtà: la totale accondiscendenza dei fedeli, la cui stragrande maggioranza approva e sostiene con forza la massa di mostruosità che la neochiesa universal-sinodale sta maleficamente realizzando.
E poco importa che pensieri, parole, opere e documenti che sanciscono da decenni questa deriva preternaturale della chiesa non abbiano i crismi di ufficialità, autorevolezza e indiscutibilità che Tradizione e Magistero richiederebbero per dar loro forma e sostanza. Tutto ciò che ci sta di fronte ormai da decenni è semplicemente un fatto concreto che come tale va analizzato, discusso e trattato. Altro che pronunciamenti ex-cathedra. Non serve a niente arrampicarsi su specchi sempre più scivolosi per trovare appigli o motivazioni per convincerci che una chiesa cattolica temporale esiste ed è ancora in grado di guidare i destini del mondo alla luce del messaggio evangelico. Essa è morta, seppellita da un nemico che le è da tempo entrato dentro e che ora la guida trionfalmente verso l’abisso. Questo non è un giudizio ma, molto semplicemente, una presa d’atto.
Non possiamo servire due padroni. Per quanto mi riguarda, pur consapevole della mia miserevole realtà di peccatore, la scelta l’ho compiuta. So con sicurezza chi è e dove alberga mammona.
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Nell’immagine [vaticannews.va] Francesco a Singapore durante l’incontro con i giovani