Un Guareschi fa sempre bene

Con Giovannino Guareschi non sono possibili compromessi. O lo ami o lo detesti. Il sottoscritto lo ama, e di conseguenza ama i suoi amici. Fra i quali si può senz’altro annoverare Giovanni Lugaresi, che è amico anche di Duc in altum ed ha pubblicato di recente Guareschi per tutte le stagioni, un bel libro che scalda il cuore come una favola di Giovannino, o come uno dei suoi racconti ambientati a Brescello (a proposito, ho letto che nel paese di Peppone e don Camillo sono iniziate le riprese di un film su Guareschi che andrà in onda quest’anno su Rai Uno, e allora forse per una volta tornerò a guardare la televisione).

Introdotto da una nota affettuosa di Alberto Guareschi, uno dei due figli di Giovannino (Carlotta, meglio nota come la Pasionaria, ci ha lasciati nell’ottobre del 2015), il libro di Lugaresi sarà apprezzato sia da chi Guareschi lo conosce già sia da chi non ne ha mai sentito parlare (tutto è possibile) sia da chi magari lo conosce solo di nome.

Da bravo cronista (ravvenate trapiantato nel Veneto, è stato per più di mezzo secolo una firma del Gazzettino), Lugaresi esordisce con un’ammissione: “Giovannino Guareschi io non l’ho mai incontrato”. Ed è vero. Ma l’ha incontrato, eccome, attraverso gli scritti e ne è diventato un cantore, tanto da ricoprire per anni la carica di presidente dell’associazione guareschiana Club dei ventitré, di cui oggi è presidente onorario.

Come molti altri, Lugaresi si è avvicinato a Guareschi attraverso il Candido, il settimanale fondato da Giovannino con Giaci Mondaini e Giovanni Mosca nel 1945 e uscito fino al 1961, quando l’editore Angelo Rizzoli chiuse il giornale in seguito a un diverbio proprio con Guareschi. Quell’anno uscì il quarto film della saga di don Camillo (Don Camillo monsignore… ma non troppo), storia tratta dai romanzi di Guareschi e prodotta da Rizzoli, ma lo scrittore non si riconobbe nella sceneggiatura, da lui ritenuta lontanissima dallo spirito del romanzo. Di qui una dura discussione con l’editore, tanto che Guareschi decise di andarsene dal Candido e poco tempo dopo Rizzoli chiuse il settimanale.

Basta questo accenno per far capire che la stella polare di Guareschi, uomo, scrittore e vignettista, fu sempre la libertà, unita a una determinazione di ferro. “Non muoio neanche se mi ammazzano” era il suo motto, che mise in pratica a più riprese, come quando dopo l’8 settembre 1943 da tenente di artiglieria del Regio Esercito finì nei campi di prigionia tedeschi e si rifiutò di combattere per la Repubblica Sociale. O quando nel 1950 una vignetta del Candido su Luigi Einaudi gli costò una condanna per vilipendio del capo dello Stato e di nuovo quando, nel 1954, accusato di diffamazione su denuncia di Alcide De Gasperi, allora capo del governo, fu condannato al carcere, rifiutò di presentare appello (e tanto meno richiesta di grazia) e prese la via della prigione di Parma, dove scontò la pena per 409 giorni.

«Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione», disse orgogliosamente alla vigilia dell’ingresso in carcere, dove si presentò con la stessa sacca che lo aveva accompagnato durante la prigionia nei campi tedeschi come internato militare italiano.

Questo era Guareschi. Questa la sua pasta. Monarchico irriducibile (anche dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946), anticomunista passionale (sua l’invenzione dei compagni trinariciuti, dotati di una terza narice per scaricare la materia grigia e mantenere il cervello sgombro, così da accettare acriticamente le direttive del partito), cattolico a tutto tondo (oggi si direbbe preconciliare), fu un modello di giornalismo ma, soprattutto, di umanità. Usò abbondantemente l’arma dell’ironia fino al sarcasmo, ma mai quella dell’odio. E i protagonisti della saga del Mondo piccolo, il sindaco comunista Peppone e il parroco don Camillo, pur combattendosi in tutti i modi, alla fine si ritrovavano negli stessi valori di fondo, al di là della politica.

Impreziosito da foto, disegni e vignette provenienti dall’archivio custodito da Alberto Guareschi a Roncole Verdi, il libro di Lugaresi ci immerge in un’Italia che non c’è più e per la quale si può provare nostalgia anche se siamo nati dopo il suo tramonto. Non che tutto fosse bello e buono, ci mancherebbe. Solo che le posizioni era più definite e si poteva ancora capire dove stessero di casa il male e il bene.

Una delle migliori sintesi su Guareschi e il suo Mondo piccolo arriva forse dalla traduttrice russa di Giovannino, Olga Gurevich. Intervistata da Lugaresi, alla domanda su che cosa la colpì dell’autore di don Camillo, Olga risponde: “L’umorismo, che ti fa ridere e piangere allo stesso tempo”. E “la prospettiva della speranza, della possibile riconciliazione”.

Un’ultima annotazione riguarda il titolo del libro, Guareschi per tutte le stagioni. Se si intende che un Guareschi fa sempre bene, sono d’accordissimo. Ma attenzione: Guareschi non fu uomo per tutte le stagioni. Al contrario. E in questo fu molto poco italiano se pensiamo alla nostra atavica propensione al trasformismo.

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Giovanni Lugaresi, Guareschi per tutte le stagioni, Nuovi Sentieri Editori, Falcade (BL) 2024, 112 pagine, 25 euro.

 

 

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