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Lettera aperta al papa / Così io e tanti altri abbiamo scoperto la bellezza del rito antico. E non siamo disturbati mentali

di Fabio Nones

Santità, sono una pecorella insignificante del gregge affidatole da Gesù. Mi perdoni se ho l’ardire di scriverle, anche se dubito che le mie parole arriveranno fino a lei. Ho scoperto da poco la bellezza del rito cattolico perenne. Da quattro mesi circa sto aiutando come volontario il sacerdote e la comunità (all’inizio piccola, ma ora molto cresciuta) che si è creata attorno al rito vetus ordo. Il sacerdote fa notevoli sacrifici per essere presente dopo aver svolto molte altre incombenze. Eppure, nonostante la stanchezza, celebra con solennità vestendo i paramenti più belli. Non per sé stesso, ma per Dio. Aiutandolo in sacrestia, mi sono reso conto di quante attenzioni siano necessarie, prima durante e dopo la messa, perché il rito scorra ordinato e fluido nella sua purezza e semplicità. Tutto ha un senso, anche le più piccole cose, e tutto concorre a rendere onore a Dio. Questo rito, infatti, non è nella disponibilità della creatività clericale, ma è un atto di umile obbedienza alle prescrizioni custodite e tramandate dalla millenaria tradizione della Chiesa. Nel vetus ordo il protagonista non è l’uomo, ma Dio. Non al sacerdote ma a Dio ci rivolgiamo tutti, per adorarlo, amarlo, lodarlo, ringraziarlo e ricevere grazie, soprattutto la forza per la nostra battaglia quotidiana. Il sacerdote è mediatore, non primo attore.  Preghiamo utilizzando la lingua sacra della chiesa, il latino, che ha accolto il respiro e l’anelito di tanti santi e dottori che ci hanno preceduto e rivive sulle nostre labbra.

Ho conosciuto in questi mesi tanti bravi cattolici, gente che viene alla messa anche da lontano, affrontando notevoli disagi. Ho conosciuto religiose che da anni si dedicano al vetus ordo, anche educando i fedeli al senso del sacro e del bello. Ho visto famiglie intere con i loro figli in ginocchio, espressione di una devozione attenta e amorosa veramente edificante. Ho “sentito” silenzi traboccanti di partecipazione spirituale, rotti solo dal tintinnabolo. Ho visto fedeli in ginocchio ricevere il corpo di Cristo in bocca come da Cristo stesso, stupefatti davanti alla sua umiltà. Ho visto persone che con amore e fedeltà assicurano splendidi ornamenti floreali per l’altare, rinnovandoli con fiori sempre freschi e di tasca propria. Ho conosciuto un maestro di canto gregoriano e di organo che con la sua voce stupenda arricchisce il rito avvicinandoci al cielo. Ho visto volontari che si dedicano alle pulizie della chiesa e alla cura dei paramenti con una dedizione che riflette il loro amore per Gesù anche nei minimi dettagli. Ho visto la cura con cui viene conservato tutto l’occorrente per il presepe. Ho saputo dello sforzo economico per la doratura e argentatura di candelabri e reliquiari, per rendere sempre più bello e solenne l’altare su cui si rinnova il sacrificio di Cristo.

Lei sa che san Francesco, il santo di cui porta il nome, voleva le cose più preziose per la liturgia. Fuori dalla chiesa l’amore per Dio si deve incarnare nell’amore per il prossimo, ma la forza e la perseveranza la riceviamo dalla grazia dei sacramenti celebrati e vissuti nel miglior modo possibile.

Santità, ho saputo che nella sua recente autobiografia ha definito noi amanti della tradizione in termini molto negativi e preoccupanti. Mi è rimasta impressa soprattutto una definizione: “disturbati mentali”.  Non so quali persone lei abbia in mente quando pronuncia queste parole. Abbiamo tutti i nostri difetti, ma io non credo che le persone che ho visto e conosciuto da vicino meritino insulti gratuiti così pesanti. Santità, perché è così sprezzante nei nostri confronti?  Nonostante tutto, preghiamo per lei, come lei chiede sempre, e per i nostri pastori che non ci apprezzano.

Dio la benedica.

 

Aldo Maria Valli:
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