Esultare per Trump?
di Vincenzo Rizza
Caro Aldo Maria,
condivido il suo articolo su Trump e il buon senso perduto [qui].
I punti del programma elettorale del nuovo presidente da lei evidenziati (protezione dei confini, contrasto al green deal e all’ideologia woke e LGBTQ) sono non solo condivisibili, ma talmente ovvi che solo un mondo impazzito può ritenerli strambi se non eversivi.
Non riesco, tuttavia, a gioire più di tanto per l’elezione del magnate americano.
A scanso di equivoci, premetto subito che non ho dubbi sul fatto che Trump sia anni luce preferibile al duplex Biden/Harris (con la seconda palesemente più inadeguata del primo … e ce ne vuole). Se fosse stata eletta la presidenta (si dice così?) Harris le conseguenze sarebbero state disastrose (non solo per gli Stati Uniti) e per fortuna, con buona pace della vescova (si dice così?) episcopale di Washington (e di molti vescovi cattolici), il popolo americano ha scelto di non suicidarsi.
Due circostanze mi impediscono però di esultare.
La prima circostanza: non mi fido di Trump.
La mia diffidenza non riguarda tanto la sua vita privata, per molti versi discutibile. Personalmente preferisco un politico smaliziato nel privato che tuttavia persegue nel pubblico obiettivi sensati a un politico irreprensibile nella vita privata ma con idee discutibili. Per fare un esempio concreto, Giorgio La Pira era certamente un sant’uomo, ma ciò non toglie che molte sue idee, innanzitutto sull’ingerenza dello Stato in economia, non fossero a mio avviso condivisibili: è noto, in proposito, lo scontro tra il sindaco di Firenze e Luigi Sturzo sulla vicenda della fabbrica Pignone, poi rilevata dall’Eni che ne cambiò il nome in Nuovo Pignone, laddove La Pira era favorevole a un intervento diretto dello Stato per evitare la chiusura e Luigi Sturzo difendeva il libero mercato contro i pericoli dello statalismo. Per fare un esempio più dissacrante, venero san Francesco, ma non lo vorrei mai come ministro delle finanze.
Quanto a Trump, oltre a non condividere i suoi atteggiamenti pubblici spesso eccessivi (che tuttavia fanno presa su un certo elettorato), ritengo che sia lontano da modelli (quanto meno per me) come Reagan o la Thatcher e appare più attento alle esigenze politiche del momento e a ciò che gli può portare nell’immediato consenso. Con riguardo, poi, alla sua politica economica, la circostanza che abbia annunciato di volere applicare dazi contro il Canada e il Messico non mi sembra una buona partenza. Verosimilmente si tratta di iniziative volte a fare pressioni per ottenere altri benefici, ma i dazi di per sé sono svantaggiosi non solo per chi li subisce. Senza scomodare l’economista francese Bastiat, che sosteneva che dove non passano le merci passano i cannoni, i dazi penalizzano fortemente anche il paese che li applica: penalizzano i suoi consumatori, costretti a pagare di più beni che altrimenti troverebbero a prezzi più convenienti; penalizzano l’intero paese laddove favoriscono un’allocazione delle risorse falsata e proteggono artificialmente industrie inefficienti che non riescono da sole a competere sul mercato.
La seconda circostanza: diffido di un sistema che consente all’eletto di turno di azzerare con un colpo di spugna quanto fatto in precedenza per ricominciare da capo.
Non voglio dire, naturalmente, che ciò che era stato fatto dall’amministrazione democratica fosse da preservare, anzi; la mia critica è rivolta essenzialmente a un sistema che consente ogni quattro anni al vincitore (sia esso di destra o di sinistra, repubblicano o democratico, liberale o statalista) di stravolgere le regole rendendo di fatto una chimera la certezza del diritto. La legislazione diventa una sorta di tela di Penelope che negli anni pari si tesse e in quelli dispari si disfa, una tela che un giorno si colora di rosso, il giorno dopo di nero e il giorno dopo ancora dei colori dell’arcobaleno, senza alcuna attenzione ai diritti dei singoli, in balia degli umori del politico del momento che di fatto ha acquisito poteri illimitati su ogni materia dello scibile. Il diritto naturale è scomparso, sopraffatto da un legislatore onnipotente e onnisciente.
Sarà il mio pessimismo, ma penso già a quando, tra quattro o otto anni, a trionfare sarà la fazione democratica, che cancellerà quanto fatto dall’amministrazione repubblicana e ricomincerà da capo, come nel gioco dell’oca.
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Caro Vincenzo,
nemmeno io esulto per Trump. Ho smesso da un bel po’ di esultare per qualsiasi faccenda che riguardi la politica, perché fin dai tempi in cui alla Cattolica seguivo le lezioni di Gianfranco Miglio (Scienza della politica e Storia delle dottrine politiche) il mio sguardo è diventato troppo smaliziato, o semplicemente realistico, per consentirmi di avere reazioni emotive marcate, in un senso o in un altro.
Trump non è l’uomo della provvidenza (non esistono uomini della provvidenza) e certi suoi atteggiamenti non piacciono neanche a me. Tuttavia, nella presente situazione (mi riferisco non solo all’America, ma al mondo intero) dobbiamo ringraziare il buon Dio per averci mandato questo presidente. Perché qui, ormai, non c’è in ballo solo la normale alternanza tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, tra repubblicani e democratici. Qui è questione di umano e non umano, di raziocinio contro insensatezza, di buon senso contro follia ideologica. Questione trasversale, che va oltre i soliti confini politici.
Tra quattro anni vedremo, ma intanto avevamo bisogno di un argine e di contromisure urgenti per fermare i mostri. E Donald, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti, è sia un argine sia uno in grado di andare al contrattacco. Per cui non starei troppo a sottilizzare. Piuttosto, preghiamo per Donald. Ne ha bisogno.
A.M.V.