Quelle profonde radici, religiose, del malessere dell’Occidente
di Paolo Gulisano
Così come ha depresso l’umore dei liberal, da una parte e dall’altra dell’oceano, l’insediamento alla presidenza di Donald Trump ha determinato in molti un effetto euforizzante.
L’annuncio delle prime misure pro-life, così come quello di rivedere il rapporto degli Stati Uniti con l’Organizzazione mondiale della sanità, certamente non può che rallegrare, tuttavia l’impressione è che per molti sia arrivato con Trump l’uomo della Provvidenza (Duc in altum ha affrontato la questione qui), e sia iniziata una vera e propria Età dell’oro, con la restaurazione dell’ordine naturale e il trionfo della ragionevolezza. Possibile che basti cambiare l’inquilino della Casa Bianca per avere in pochi giorni un completo ribaltamento della situazione in America e magari in Occidente? E la cancel culture, il woke, la propaganda gender fluid e così via? Scompariranno d’incanto?
In realtà, è da ritenere che non sia possibile. L’Occidente è profondamente malato, e il pensiero globalista e transumanista è penetrato a fondo nella vita della società.
Queste e altre considerazioni vengono suscitate dalla lettura dell’ultimo lavoro di Luigi Copertino, saggista autore di diversi testi di carattere politologico: Occidente. Il bene che non abbiamo fatto. Una prospettiva religiosa.
A partire da una ben ponderata analisi del fenomeno dei Teocons, Copertino nel corso degli anni ha sviluppato un’interessante lettura della situazione attuale della Chiesa, approfondendo il tema della secolarizzazione delle società con l’abbandono della tradizione e il conseguente vuoto di senso morale e civile che grava sulle coscienze degli individui nelle società occidentali.
Copertino ha messo mano alla realizzazione di questo pamphlet a partire dalla lettura di due opere, di recente pubblicazione, di segno diverso: quella pro Occidente del giornalista del Corriere della sera Federico Rampini (Grazie, Occidente!) e quella estremamente critica di Emmanuel Todd, antropologo e storico francese (La sconfitta dell’Occidente).
Copertino confuta a ragion veduta le tesi entusiastiche di Rampini, esponente di un pensiero progressista che vede solo il lato positivo dell’avanzamento di quelle tecnoscienze che da noi avrebbero portato alla realizzazione del migliore dei mondi possibili, una civiltà nettamente superiore a quelle del Sud e dell’Est del mondo.
Più interessanti – e più vicine alla realtà delle questioni storiche e culturali e ad una analisi dello stato di salute dell’Occidente – sono le considerazioni di Emmanuel Todd, studioso di chiara fama mondiale, noto ai più per aver previsto il crollo dell’Urss già nel 1976, quando aveva appena venticinque anni.
L’ultimo saggio di Todd, un grande successo in Francia, è una chiara e giustificata provocazione: l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, è avviato verso un declino irreversibile in senso geopolitico, ma soprattutto culturale e morale. Secondo Todd, la guerra in Ucraina sarà il punto di svolta che accelererà la decomposizione del blocco occidentale.
Copertino a sua volta approfondisce e rilancia l’analisi delle cause profonde del malessere occidentale. La nostra società è malata e la radice del male viene da molto lontano.
La vera crisi dell’Occidente non è solo conseguenza di mutamenti geopolitici in atto: è provocata da un declino culturale, morale e soprattutto spirituale.
Il germe del nichilismo si è diffuso ed è stato capace di disgregare il tessuto sociale rendendo gli individui, in gran parte, manipolabili da parte dei controllori del pensiero.
Alle radici della crisi c’è la mancanza di senso e certezze. Si pensi solo alla progressiva precarizzazione del lavoro, condizione vissuta ormai dalla maggioranza dei cittadini dei cosiddetti democratici e giusti Paesi occidentali.
Da questo punto di vista Copertino interpreta Todd anche alla luce delle intuizioni di Max Weber, il grande sociologo, filosofo, economista e storico tedesco del secolo scorso, autore, tra le altre opere, di un classico: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in cui collega esplicitamente lo sviluppo del capitalismo con la diffusione del protestantesimo in Europa.
Il protestantesimo di stampo calvinista (ma anche luterano) è stato il nucleo formativo dell’identità e della mentalità occidentale, così come del suo sviluppo capitalistico. Certamente, con la grande enfasi sull’alfabetizzazione delle masse e sull’accesso diretto del singolo fedele alla lettura delle Scritture, il protestantesimo ha contribuito a formare una massa istruita, una forza lavoro capace ed efficiente che ha portato al successivo sviluppo delle istituzioni economiche e politiche della modernità. La crisi dell’Occidente nasce quindi dalla crisi del Protestantesimo, che si è secolarizzato, anticipando quella mondanizzazione e quell’assoluto appiattimento sulle ideologie contemporanee che ormai è stato fatto proprio anche dalla Chiesa cattolica.
Tramonto e sconfitta dell’Occidente sono dunque inevitabili? Potrà riemergere un cristianesimo in grado di riportare il mondo alla ragionevolezza della fede? Saranno Trump, Vance e Kennedy, esponenti del Common Sense dell’America profonda, a raddrizzare una barca già da tempo alla deriva? Il ritorno al reale sarà fatto proprio anche dalle chiese, in particolare quella cattolica? Queste le domande che racchiudono le più decisive questioni del tempo presente.
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