di Carlos Castro
Dire che la Chiesa abbia inventato il Diritto è forse un po’ esagerato, perché l’origine risale a Roma e alla Grecia.
Ma ciò che non è affatto esagerato è dire che la Chiesa ha elevato la Legge al livello del divino, alla grandezza dell’universale e al regno non del capriccio ma dell’oggettività: questo è ciò che ha fatto con la sua elaborazione del Diritto naturale e del Diritto delle nazioni, che non è altro che il riconoscimento che il Creatore ha dotato la creatura umana di un’essenza definita e una natura comune a tutti, una natura che va rispettata e trattata con giustizia come un obbligo derivante da Dio stesso, creatore.
Anche affermare che Roma abbia inventato la Legge naturale è inesatto. Vorrebbe dire ignorare, per esempio, la storia delle legioni e legioni di schiavi, o delle sanguinose guerre combattute da Roma unicamente per motivi di espansione.
Può essere opportuno invece ricordare il contributo di san Tommaso nel completare la teorizzazione della Legge naturale (vero fondamento di quelli che oggi vengono chiamati “diritti umani”), o anche quello di Francesco de Vitoria.
Lo stesso vale per il diritto internazionale, nel cui campo la Chiesa ha operato per liberare gli uomini dalla legge selvaggia del soggetto o delle nazioni più forti. Il cosiddetto diritto umanitario non è altro che uno sviluppo della teorizzazione elaborata dalla Chiesa.
La Chiesa ha mostrato al mondo che, poiché l’ufficio di giudice e di ogni legittima autorità giudicante ha origine divina, il suo esercizio deve essere radicato nel divino e deve rispondere al divino, ben sapendo che giudicare secondo il diritto finisce per essere sinonimo di giudizio secondo Dio e la sua volontà, alla quale un giorno tutti dovremo rispondere.
Poiché la Chiesa è la lunga mano di Dio su questa Terra e la custode della giusta Legge, è chiaro che ha la missione di insegnare e predicare anche in relazione a questi settori. Ed è ovvio che ciò vale anche quando è lei stessa a giudicare. Tutti devono vedere che la Chiesa non solo predica ma applica la Legge giusta, perché altrimenti perderebbe credibilità e perfino autorità.
Questa introduzione intende fare da sfondo a una critica costruttiva relativa a tre casi recenti che hanno attirato e continuano ad attirare l’attenzione di milioni e milioni di persone: il caso Becciu, il caso Rupnik e ora, da ultimo, il caso Cipriani.
Non stiamo a discutere se i provvedimenti disciplinari o penali adottati siano conformi alla verità dei fatti. Lo sa Dio, e noi non abbiamo nemmeno letto le settecento pagine della sentenza sul caso del cardinale italiano, né abbiamo accesso ai dettagli delle varie determinazioni sull’ex gesuita, e ancora meno conosciamo i meandri delle disposizioni riguardanti il cardinale peruviano, il quale sostiene di non conoscerle nemmeno lui.
Non ignoriamo però, ad esempio, che non sono mancati studiosi che hanno evidenziato diverse anomalie nel caso del cardinale Becciu, a partire dagli almeno due rescritti papali che hanno modificato le regole procedurali di un processo già in corso, indebolendo così il principio della certezza del diritto e in qualche modo alla irretroattività della legge. È chiaro che questa non è una critica al papa, ma ai suoi subordinati che dovrebbero occuparsi di queste questioni.
Più dolorosa è la critica riguardante la vicenda Rupnik, il caso di presunti abusi clericali più mediatizzato di tutta la storia e di estrema gravità, anche se il cardinale Fernández afferma che ce ne sono di più gravi. Le vittime e l’imputato stesso meritano un processo rapido e, come oggi si dice, trasparente, cioè in cui le presunte vittime e l’intera Chiesa sappiano in termini generali cosa sta accadendo a livello procedurale, e abbiano accesso alle informazioni. Ma questa “trasparenza”, come ha riconosciuto pubblicamente una volta il cardinale Müller, è qualcosa che nei due casi menzionati non c’è stata a livello di diritto della Chiesa.
E ora cosa sta succedendo al cardinale Cipriani?
Se un cardinale di Santa Romana Chiesa può essere mandato in esilio virtuale e vedersi sottratto il suo bene più prezioso, l’esercizio del ministero, senza nemmeno una notifica giudiziaria adeguata e senza nemmeno essere ascoltato, c’è da chiedersi che cosa potrebbe succedere ai comuni mortali che sono nella barca di Pietro.
Insistiamo: il danno non riguarda solo il prestigio e l’autorità della Chiesa, ma anche la Legge nel mondo intero, data la partecipazione della Chiesa alla sua strutturazione. I principi di certezza del diritto, irretroattività del diritto, trasparenza giudiziaria, accesso alle informazioni e giusto processo sono oggi patrimonio di tutte le nazioni che vogliono presentarsi come civili e rispettose dei diritti umani.
Noi crediamo che questi principi debbano essere custoditi sacralmente all’interno della Chiesa, anche perché essa, come già detto, ha elevato il Diritto al livello del sacro. E non possiamo permettere che ora in materia giudiziaria siano le nazioni secolarizzate a dare l’esempio alla Chiesa.
Fonte: es.gaudiumpress.org
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Nella foto (Ansa/Osservatore romano), l’interno del Tribunale vaticano