Dunque, una cantante nota col nome d’arte di Francamente (ma della quale, sarò sincero, ignoravo l’esistenza) ha detto che, invitata a cantare l’inno d’Italia prima della finale di Coppa Italia femminile di pallavolo, aveva pensato di rifiutare in quanto l’inno di Mameli “non è inclusivo”.
Aveva anche pensato, la suddetta Francamente, di andarci “da donna queer” e di cantare ma cambiando le parole, salvo poi rinunciare all’idea perché sarebbe stato “vilipendio alla bandiera”.
E allora la prode cantante queer che cosa ha fatto? È andata (forse anche perché pagata, immagino) e ha cantato l’inno, però poi ha voluto “prendersi uno spazio” per “dare un messaggio molto chiaro”. Ovverosia che “le persone queer esistono, le persone transessuali esistono, le persone non binarie esistono e tutte queste persone non sono cittadini, cittadine, di serie B, ma hanno pari doveri e soprattutto diritti di ogni italiano e italiana”.
Non solo: “Le persone nere esistono all’interno della comunità italiana e anche loro non sono cittadine di serie B”.
Infine: “L’Italia si riconosce in un tricolore anacronistico. Quando viene scritto l’Inno di Mameli si pensa ad unificare diversi stati sotto un’unica bandiera. Bene, noi questa bandiera ce l’abbiamo da tantissimo tempo e penso che oggi l’obiettivo dovrebbe essere quello di unificarsi sotto una bandiera di pace e inclusività”.
Non so bene perché, ma di fronte a queste sottili riflessioni ho pensato subito al saggio di Carlo Maria Cipolla sulla stupidità umana, là dove viene enunciata la prima Legge fondamentale della stupidità: “Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione”.
Legge che, in nome della sacrosanta inclusività, va oggi corretta così: “Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individue stupide e individui stupidi in circolazione”.