Cronache dalla grotta / Di rifugi e formiche

di Rita Bettaglio

Uno dei salmi che si canta alle lodi, il sal.89, inizia con queste parole: “Domine refugium factus es nobis a generatione in generationem”. Signore, ti sei fatto per noi rifugio di generazione in generazione.

Rifugio… la grotta, appunto!

Il Signore è il rifugio da sempre e per sempre. E un altro salmo gli dà manforte: “Nel Signore mi sono rifugiato, come potete dirmi fuggi come un passero verso il monte?”.

Ci pare un po’ strano, perché ci hanno cresciuto con l’idea che rifugiarsi sia da perdenti, sia ammettere che abbiamo bisogno di qualcuno più forte e solido di noi. Non ci piace affatto ammetterlo. Un rifugio va bene in emergenza, quando c’è l’alluvione o qualche altro pericolo. Ma stare tutta la vita in un rifugio non ci garba affatto, non è per noi.

Eppure, in fondo, cos’è la vita? Tutti noi ne abbiamo un’idea soggettiva, in base alla nostra esperienza. Sarà vita quella che viviamo? Talora ci pare di no. “Questa non è vita!”, mugugniamo quando qualcosa ci stressa o ci chiama a uscire dalla nostra personale comfort zone. Cosa sarebbe, allora, questa vita che, parafrasando il Magnifico, ci sfugge tuttavia?

Se guardiamo dall’esterno la vita degli altri, possiamo facilmente cadere nello sgomento dell’apparente inutilità. Noi no: non è possibile che la nostra vita, quella che ci tiene occupati dal mattino alla sera, sia inutile. Non lo possiamo concepire. Una volta sfrondato l’arruffato arbusto (che siamo noi) di tutte le erbacce, vi possiamo vedere l’impronta di un principio soprannaturale e creatore.

Tuttavia si nasce nel dolore, si vive cercando di soffrire meno possibile e si muore spesso soffrendo. Sembrerebbe di essere inutili formiche che si affannano, ma riescono a malapena a portare, non si sa dove e perché, una briciola: enorme per loro, ma in realtà solo una briciola di nessuna importanza.

Questo senso di oppressione e questa mancanza di fiato davanti all’enormità del mondo e al mistero della vita erano ben presenti al salmista: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo” (Sal 90, 10).

C’è qualcosa che ci percorre sottopelle, una scintilla di luce divina che a tratti si palesa, per brevissimi istanti. Chi può dire di non averla mai provata, in un tramonto, nello sciabordio quieto e perenne del mare, nel “santo desco fiorito d’occhi di bambini”?

Molti non intraprendono il viaggio di ritorno dalla scintilla al fuoco da cui proviene, ma alcuni lo fanno, decidono di fare il santo viaggio. Esploratori coraggiosi dell’universo: un universo vasto come tutta la terra, con le sue meraviglie, ma ugualmente contenuto nell’anima di ogni uomo.

La scintilla punge e trafigge: compunctio la chiamò san Gregorio Magno utilizzando un termine medico, un dolore trafittivo.

Fu essa a folgorare, ognuno a suo modo, generazioni di santi e di monaci: pensiamo a sant’Antonio abate che, udito in una chiesa l’invito di Gesù a liberarsi di tutto per seguirlo, s’inoltrò in un deserto sempre più estremo. Prima vicino al villaggio, poi in un cimitero, poi ancora a Pispir, in un fortino romano abbandonato, popolato solo da serpenti e, infine, nel grande deserto tra il Nilo e il Mar Rosso. Un cammino che ci appare estremo, ma che è offerto a ognuno: il seme del desiderio di Dio è stato seminato in ogni cuore. Per questo la nostra vita ci appare così importante: noi pensiamo che sia perché è nostra, è tutto ciò che abbiamo. Invece è così preziosa perché ci parla e ci attira a un’altra vita, quella di Dio.

Il buon seminatore ha seminato il buon seme: questo è certo. Poi c’è tutta la faccenda del terreno, dei rovi e della zizzania cui spesso ci attacchiamo per mettere le mani avanti e giustificarci.

Scriveva sant’Agostino: “Fecisti nos ad Te, et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te”. Tu ci hai creati per Te, e il nostro cuore è inquieto, finché non si riposi in Te. Lui d’inquietudine se ne intendeva, e quanto fece tribolare la sua povera mamma, santa Monica, quando affannosamente ricercava nelle umane soddisfazioni un bene che esse non potevano contenere!

Giorni fa un giovanotto, seriamente intenzionato a darsi a Dio, mi diceva con sincerità di essere alla ricerca del luogo dove poter offrire di più a Dio. Questo pareva il suo criterio: il posto giusto è quello dove possiamo offrire di più a Dio. Vero, in un certo senso. Ma la realtà più profonda è che non c’è nulla che possiamo offrire a Dio che non sia già suo fin dal primo istante. Perché “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. La verità è che a Dio non manca nulla e nulla gli si può aggiungere. L’abbà Poemen al monaco cui il demonio chiedeva perché fosse in monastero suggerì: “Non dire sono qui per Dio, ma sono qui a motivo dei miei peccati”. Così il demonio fuggì, sconfitto dall’umiltà.

Dice san Gregorio Magno che gli uomini spirituali hanno sensi spirituali, hanno occhi e orecchie spirituali: essi “vedono le cose invisibili per mezzo dell’intelletto e ascoltano la lode di Dio che non risuona”. Intelletto e ascolto: cose accessibili a tutti, dotazioni in qualche modo di serie, che però dobbiamo imparare a utilizzare correttamente, secondo le indicazioni del costruttore contenute nei precetti che ci ha lasciato.

“I precetti celesti e l’intelletto spirituale devono non solo tenerci sospesi in alto nell’amore di Dio, ma anche unirci al prossimo nella carità” (Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, II, 7,5). Siamo su questa terra: la carità allarga la nostra anima, la contemplazione di Dio la innalza per brevi istanti che accendono di desiderio di Dio. Continua san Gregorio Magno: “Ma ecco che ancora ci assillano molte cose riguardanti questa vita corruttibile. Poiché, dunque, non possiamo uscire del tutto, stiamo almeno sulla porta della nostra grotta, pronti a uscire felicemente quando che sia, per la grazia del nostro Redentore” (Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, II, 1,18).

Quando ho deciso di stabilirmi nella grotta non avevo ancora udito quest’invito. Ma, ora che lo ascolto, penso che il santo papa e monaco lo abbia scritto anche per me. E, quindi, grotta sia!

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Per contattare la cavernicola, potete scrivere a: cronachedallagrotta@gmail.com 

 

 

 

 

 

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