di Marco Anca
Caro Valli,
di fronte all’orrenda manifestazione interventista (perché questo è) del 15 marzo prossimo si impongono, specie per i cattolici, alcuni ragionamenti circa le impressionanti analogie tra il “maggio radioso” del 1915 e l’attuale clima in Italia.
Alcune recenti teorie storiografiche sostengono, a mio avviso con piena ragione, che il fascismo non nacque in piazza San Sepolcro nel 1919, ma proprio con le manifestazioni interventiste del maggio 1915.
Parlando di cattolici, parto con tre citazioni assai autorevoli.
“Inutile strage” (Benedetto XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, 1 agosto 1917).
“Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra” (Pio XII, Radiomessaggio ai governanti e ai popoli, 24 agosto 1939).
“Plus jamais la guerre” (“Mai più la guerra”, ripetuto più volte, Paolo VI, discorso all’Onu, 4 ottobre 1965).
Questa è la bussola, indicata con coraggio da tre pontefici in situazioni difficili (Benedetto XV in piena Grande guerra, accusato dagli interventisti di essere un “austriacante” e, essendo a Roma, rischiando di proprio; Pio XII nel clima incandescente dell’agosto 1939 a una settimana dallo scoppio della guerra; Paolo VI con una chiesa in cui c’erano posizioni – per esempio Lercaro e Spellman – molto diverse sulla guerra in Vietnam).
A mio avviso, questa deve essere la bussola anche oggi.
E ora vediamo le inquietanti analogie con il 1915.
Al Quirinale un garante dell’intervento.
Una piazza interventista, minoritaria, in mano a una minoranza di esaltati e di facinorosi, essenzialmente di estrazione borghese (i corrispondenti delle odierne ZTL).
Un popolo neutralista, ma privo di una forte rappresentanza politica.
La maggior parte dell’informazione schierata con l’interventismo, condizionando la popolazione e la lotta politica.
Dove le differenze?
Il parlamento allora era in maggioranza neutralista, ma i giolittiani, prima neutralisti, votarono poi per l’intervento (mestieranti della politica figli del suffragio ridotto e dei collegi uninominali), mentre oggi il parlamento è in massima parte interventista.
Il capo del governo Salandra era complice del Quirinale (alcuni parlano di “colpo di Stato” del re), mentre ora Meloni si barcamena.
E i cattolici di oggi?
La lezione del 1915 è che, di fronte all’aggressività di minoranze coese, ben organizzate, e con i media a favore, ci vogliono, per opporsi, coraggio e schiena dritta.
Addirittura vedo che gli scout dell’Agesci (ragazzi a cui hanno fatto il lavaggio del cervello) e la Cisl, che pretenderebbe di essere vicina ai lavoratori cattolici, parteciperanno alla manifestazione interventista!
Bergoglio qualcosa ha detto contro la guerra, ma senza efficacia icastica e comunicativa (per poco coraggio o per incapacità dei suoi addetti alla comunicazione, o il suo circolo ristretto ne ha depotenziato gli appelli?).
Silenzio dalle gerarchie episcopali italiane. “Se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare”. Peggio ancora se sono a favore dell’intervento. Ma, come sa chi ha avuto una formazione militare, gli uomini nella battaglia seguono il coraggio, non il grado.
All’interista Valli magari la citazione non piacerà, ma da milanista vorrei citare una frase, che traduco dal triestino all’italiano, di Nereo Rocco ai giocatori sul pullman davanti alla Bombonera di Buenos Aires prima della finale con l’Estudiantes: “Chi non è uomo resti sul pullman”.
C’è una altra differenza, rispetto al 1915.
Allora gli interventisti erano corsi ad arruolarsi per primi; ricordo che uno degli zii di mio padre, che era un procuratore legale monarchico e interventista, era stato riformato alla visita di leva per la miopia, ma non aveva voluto staccare il biglietto della lotteria dell’esenzione, e aveva insistito con il distretto militare di Milano fino a ottenere l’arruolamento come ufficiale dell’artiglieria da montagna (e fortunatamente sopravvivendo alla guerra).
Oggi gli interventisti sarebbero tutti imboscati o riformati, e nessuno andrebbe in prima linea. Lì ci finirebbero gli italiani.
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di Fabio Battiston
Caro Valli,
l’analisi di Marco Anca, ineccepibile, fa venire i brividi. Vi sono tuttavia – e fortunatamente – due elementi di diversità col passato, non credo trascurabili, che autorizzano a non sprofondare nel pessimismo più totale. Il primo riguarda le dimensioni/conseguenze di un conflitto continentale scatenato oggi con potenzialità incommensurabilmente superiori a quelle della Prima guerra mondiale. Qualunque governo, anche quelli più schizofrenici e pazzi che oggi guidano l’Occidente, ci penserà venti volte prima di dar corso concreto a indecenti chiacchere in libertà come quelle del pagliaccio semi-autistico che abita all’Eliseo.
Collegato a questo vi è un secondo elemento – ritengo di importanza capitale – che riguarda quelle che una volta erano le masse e oggi sono le opinioni pubbliche. Pur concordando con Marco Anca circa l’acclarata lobotomia di gran parte della popolazione europea, sono certo che gli europei di oggi non sarebbero in grado di sopportare non dico mille ma neanche cento connazionali caduti nei primi giorni (o ore) di un’eventuale guerra. Ciò di cui spesso non si tiene conto, infatti, è il livello ormai irreversibile di totale putrefazione cui sono giunti i “valori” e il “sentimento” che caratterizzano i popoli occidentali; è uno dei frutti marci prodotti dal pensiero unico e dai suoi disvalori. Nelle genti di ponente, ormai, non alberga alcuna volontà/capacità di sostenere eticamente, moralmente, socialmente e materialmente una guerra giusta che li coinvolga direttamente. Figuriamoci un conflitto totalmente sbagliato come quello che si prefigurerebbe, figlio degenere dell’atteggiamento provocatorio e imperialista della maggioranza delle nazioni europee aderenti a Nato e Ue.
No, da questo punto di vista noi occidentali (continentali) non abbiamo un’unghia che può renderci vicini alla “pugna” di popoli come gli israeliani, i russi (e in genere le genti dell’Est europeo), gli slavi e gli statunitensi. Dico questo perché un’eventuale guerra Ue-Russia non sarebbe che per pochissimo tempo limitata al coinvolgimento delle sole forze specialistiche volontarie. L’altissimo numero di vittime, infatti, costringerebbe l’Occidente a un sollecito ricorso alla coscrizione obbligatoria e allora sarà il disastro! I giovani ucraini, non volontari, hanno iniziato a disertare in massa dopo due-tre anni di guerra; i giovani occidentali lo farebbero dopo due o tre ore!
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Nella foto, la prima pagina del Corriere della sera del 15 maggio 1915