Indistinti saluti dal mondo della neolingua

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

a febbraio è stata pubblicata la English Style Guide, un manuale per autori e traduttori di lingua inglese della Commissione europea.

In realtà non si tratta di una novità: è l’ennesimo aggiornamento dell’ottava edizione del 2016; la prima edizione risale al 1982.

La sezione più interessante è la 15, che riguarda il “linguaggio inclusivo”. Nemmeno questa è una novità del 2025 tenuto conto che nel documento What’s new, che riassume le principali modifiche degli ultimi anni, già nell’aprile 2015 si fa riferimento all’ampliamento della sezione (all’epoca la 14) riguardante il gender-neutral language per includere ulteriori suggerimenti e l’ultima modifica rilevante alla sezione 15 sembra essere stata apportata nel luglio 2022.

La sezione inizia con le avvertenze per l’uso: “Queste sono linee guida generali. Si prega di essere consapevoli del fatto che si tratta di un’area del linguaggio in evoluzione e delicata …”. Si divide, quindi, in tre commi.

Il primo comma riguarda il “Gender-neutral language” (il linguaggio neutro rispetto al genere) e invita a utilizzare, ove possibile, un linguaggio neutro rispetto al genere, evitando di scegliere parole che potrebbero essere interpretate come implicanti che un genere sia la norma, tra cui:

  • sostantivi come “chairman” (presidente), che sembrano presumere che un particolare ruolo sia abitualmente svolto da una persona di un particolare genere;
  • parole come “man-made” (creato dall’uomo), che contengono “man” (uomo) per indicare persone di tutti i generi;
  • pronomi specifici di genere per persone il cui genere non è specificato.

È fortemente sconsigliato, allora, l’uso di parole che contengono “man” (uomo).

Quanto ai pronomi, “se il testo si riferisce chiaramente a un individuo specifico in una particolare circostanza e conosci il sesso della persona interessata, usa il pronome appropriato”. Nel caso di una persona non binaria andrebbe usato il plurale “they”, “them”, “themself” da intendersi al singolare. Insomma, siamo tornati all’uso del “voi” anziché del “lei” per rivolgersi a una persona.

Seguono suggerimenti per riferirsi a una persona di cui non si conosce il genere come. ad esempio, utilizzare la seconda persona, l’imperativo o il plurale, omettere del tutto il pronome, ripetere il sostantivo.

Il secondo comma riguarda il “Language used to refer to people with disabilities” (il linguaggio usato per riferirsi alle persone con disabilità) e suggerisce di utilizzare un linguaggio incentrato sulla persona piuttosto che sulla disabilità.

Il terzo comma riguarda “Other aspects of inclusive language” (altri aspetti del linguaggio inclusivo). Guai parlare di marito e moglie: molto meglio dire “coniuge” o “partner”. Devo dire che tale preferenza sembra invalsa anche in ambito ecclesiastico se è vero che qualche anno fa un attempato sacerdote che pensava di essere “moderno” ha chiesto a mia moglie, pur sapendo che era regolarmente sposata, notizie del suo “compagno”.

Non potevano mancare, quindi, i riferimenti alla comunità LGBTIQ+: da evitare il termine, obsoleto, “omosessuali”; meglio fare riferimento a “persone transgender” invece di “transgenders”. Vietato, poi, riferirsi a loro con il nome che gli è stato dato alla nascita, piuttosto che con il nome che loro stessi si sono attribuiti: è irrispettoso e deve essere evitato. Guai, infine, usare il termine “Christian name” (il nome di battesimo: ci mancherebbe altro).

I riferimenti al gender, peraltro, non sui esauriscono nella sezione 15. Nella sezione 5, infatti, dedicata ai nomi e ai titoli, si chiarisce che “Mx” è il titolo più comune per le persone non binarie, ma va usato solo (come “Mr” o “Ms”) se si è sicuri del genere della persona in questione.

Dopo tutti questi utilissimi insegnamenti, mi accorgo che i redattori della guida non hanno fatto buon uso dei loro stessi consigli: nella sezione 14, dedicata alla corrispondenza (appena prima della sezione 15), nel fare alcuni esempi sullo scambio di lettere esordiscono con “Sir” (Signore)! L’intestazione autonoma della lettera (come direbbe Totò) non mi sembra granché gender-neutral; volendo, invece, fedelmente rispettare le indicazioni della guida, concludo questa mia “salutandovi indistintamente”.

 

 

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