Correre alle armi?

di Leonardo Lugaresi

L’appello, che già risuonò gagliardo il 10 giugno 1940, è tornato a riecheggiare da un capo all’altro della penisola e quelli di noi che, per quanto scurati e vecchioni, hanno conservato un barlume di lucidità sono molto preoccupati. Che questa volta non venga da piazza Venezia bensì da Ventotene non basta a rassicurarmi (diversamente da altri non lo trovo poi così dirimente). Correre alle armi dietro all’Europa, cioè alla Germania, contro la Russia e gli Stati Uniti? Oddio, l’altra volta non è andata bene …

Non mi tranquillizza neanche il fatto – evidente persino ai vecchioni e agli scurati che non abbiano cataratte senili all’ultimo stadio – che questa volta non si tratta di “correre alle armi” per imbracciarle (chi lo farebbe? Ma vi siete mai guardati attorno?), bensì solo per produrle. Chiunque infatti può capire che, dietro la montagna di merda propagandistica (bullshit per quelli che parlano bene) che sta ricoprendo il discorso pubblico in Europa, non c’è tanto la politica quanto gli affari. In buona sostanza, la scelta strategica della Germania di rilanciare la propria economia sulla produzione delle armi, per la quale è divenuto immediatamente lecito progettare fantastiliardi di spesa, facendo buttare nel cesso in quattro e quattr’otto – (da un parlamento scaduto, politicamente del tutto delegittimato; e peggio per loro se hanno una costituzione così farlocca da consentire una porcata del genere!) – il venerato totem del freno al debito pubblico che aveva retto per più di settant’anni la vita della Bundesrepublik e a cui tutti ci siamo dovuti inchinare.

Ora, io non ho nulla contro le armi, in linea di principio. Da cristiano non marcionita leggo anche l’Antico Testamento, che è pieno di pagine bellicose; e se non aderisco affatto all’opinione oggi corrente che “una pace ingiusta sia peggiore della guerra” è soprattutto perché seguo invece il consiglio di Gesù, il quale insegnava che, se un re che ha diecimila soldati si mette in guerra contro uno che ne ha ventimila, è uno sciocco.

Però bisogna tenere presente che l’industria delle armi è diversa da tutte le altre per un aspetto fondamentale. Come ogni altro produttore, anche chi fabbrica armi ha come scopo il profitto, e per fare profitto deve, come tutti gli altri, vendere ciò che produce. Però, a differenza di tutti gli altri produttori, che vendono i loro prodotti ad una pluralità di tipi di consumatori (famiglie, imprese e governi), chi fa armi da guerra le vende solo ai governi. Oppure a organizzazioni paragovernative (come le compagnie militari private che hanno preso sempre più piede negli ultimi decenni, ma il cui volume di affari è comunque di gran lunga inferiore a quello dei bilanci militari pubblici) e, illegalmente e residualmente, a organizzazione criminali: peggio mi sento. In ogni caso, nessuna famiglia e nessuna impresa “normale” compera carri armati o missili terra-aria. Da questa fondamentale differenza deriva una conseguenza potenzialmente catastrofica per noi cittadini, sotto almeno due punti di vista.

Il primo è che l’industria degli armamenti, per sua natura e intrinseca necessità, è enormemente più portata al condizionamento (leggi: alla corruzione) della politica. Anche chi produce automobili o elettrodomestici cerca in ogni modo di influenzare a proprio favore le decisioni politiche, ma per quanto investa in attività di lobbying, sa che in fin dei conti chi gli compera la lavatrice o il televisore sono io e quelli come me, non il governo. Di conseguenza, per lui anch’io conto qualcosa. Non che mi voglia bene (questo lo fa dire alla pubblicità), ma semplicemente ha bisogno dei miei soldi; quindi, tanto per cominciare, interessa anche a lui che io ne abbia in tasca a sufficienza per comprare i suoi prodotti. Certo, cerca di fregarmi in tanti modi sgradevoli – come ad esempio l’obsolescenza programmata con cui mi obbliga a comprare una nuova auto o un nuovo frigorifero perché quelli che mi ha venduto prima sono stati scientemente fabbricati in modo da rompersi (sarebbe frode in commercio, ma lasciamo stare) – tuttavia vuole che io continui ad esistere.

Il fabbricante di armi no. Lui vende solo al governo e di me non gliene può fregare di meno. Ridisegnare il bilancio pubblico spostando le risorse dalla spesa sociale alla difesa fino a ridurre i popoli alla fame, dal suo punto di vista è una cosa meravigliosa. Ecco perché, se posso permettermi di giocare con le parole, in una materia che gronda lacrime e sangue come questa, Big Arma è ancor più corruttivo ed esiziale per la libertà e la democrazia di Big Pharma. Ma c’è un secondo aspetto per cui costruire un modello di sviluppo economico incentrato sulla spesa militare è follemente pericoloso: la saturazione del mercato è un problema per l’industria delle armi esattamente come lo è per tutte le altre, a cui immagino essa risponda anche con tecniche simili a quelle impiegate negli altri settori. Però c’è un mezzo assolutamente specifico, che appartiene solo all’industria bellica e non ha pari riscontri in nessun altro campo produttivo, con cui può dilatare all’infinito il suo mercato, ed è appunto la guerra. La guerra combattuta, che consuma quantità enormi di armamenti (e di uomini, by the way). Ma anche le guerre paventate e/o minacciate, che sono anch’esse pericolose perché è sempre possibile che, paventando e minacciando, scoppi l’incidente che le trasforma improvvisamente in guerre vere.

In guerra muoiono gli uomini, a decine, centinaia di migliaia, o a milioni? Sarà un problema per chi produce scarpe, vestiti o automobili, non per chi fabbrica armi: mica sono suoi clienti!

leonardolugaresi.wordpress.com

 

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