
Vaticano / Nei paradossi del regno bergogliano declinante
Oggi, 25 marzo, nel giorno dell’Annunciazione, il pensiero va a Joseph Ratzinger, che aveva una predilezione per questa data. Chi lo conosceva bene sa che, pieno di gioia come un bambino, Benedetto XVI diceva ai suoi collaboratori: “Fra nove mesi nasce Gesù!”, e già pregustava il Natale.
Ma oggi il pensiero va anche a Francesco che, tornato a Santa Marta, sarà costretto a vivervi in isolamento, “come in clausura” dicono i giornali, a causa delle sue condizioni di salute.
La situazione ha un che di paradossale per il papa che ha fatto della “Chiesa in uscita” uno degli slogan del pontificato. Nato inneggiando all’apertura, il regno di Bergoglio si chiude nel segno della chiusura.
Ma che cosa potrà fare il papa nelle condizioni in cui si trova? Che possa “lavorare” è una pietosa bugia. Piuttosto, dovrà curarsi. E l’amministrazione sarà nelle mani del segretario di Stato, Parolin.
E qui ecco un altro paradosso. I due non si amano. Tuttavia Francesco sa bene che, per capacità ed esperienza, Parolin è l’unico in grado di garantire il funzionamento della macchina vaticana. Gli amici veri o presunti di Francesco, tipo il cardinale Fernández, queste capacità non le hanno, e il papa, in questo momento delicato, non può affidarsi a loro.
Dunque, le leve del comando passano al segretario di Stato, le cui quotazioni in vista di un possibile conclave stanno salendo. E qui l’ennesimo paradosso: Francesco vuole evitare in tutti i modi che il suo successore sia Parolin. E non solo per un fatto personale, ma anche perché Bergoglio non vuole alcun curiale nelle vesti di prossimo papa. Francesco infatti ha una profonda disistima nei confronti della curia e il suo desiderio è che il prossimo papa sia un esterno, come lui, non un appartenente alla casta dei curiali.
Di conseguenza, oltre a curarsi, Francesco una cosa cercherà di farla: manovrare perché dopo di lui non arrivi un curiale.