Sulla Luna meno inclusività. E forse è meglio così

Leggo sull’Ansa: “Seguendo le nuove direttive della Casa Bianca contro le politiche per la diversità e l’inclusione, il sito della Nasa ha rimosso i testi relativi al programma Artemis in cui si citava l’obiettivo di far atterrare la prima donna, la prima persona di colore e il primo astronauta non americano sulla Luna”.

Curioso. Non sapevo che anche la Nasa – dove, si suppone, uno va avanti perché bravo, non perché donna, nero o giallo – avesse aderito ai programmi DEI (Diversity, Equity, Inclusion; diversità, equità, inclusione).

Apprendo che “è stata anche rimossa la graphic novel per ragazzi First Woman, che immaginava la storia della prima astronauta donna sulla Luna, il personaggio di fantasia Callie Rodriguez, a capo di un equipaggio all’insegna dell’inclusività”.

Questo cambio di rotta, a quanto pare, sta rimescolando le carte circa la scelta degli equipaggi delle prossime missioni Artemis, a partire dagli astronauti della missione Artemis III, i primi che, se tutto andrà bene, entro il 2027 esploreranno la regione vicina al Polo Sud lunare.

Ora, di Trump e delle sue idee si può pensare di tutto. Personalmente, comunque, mi sento più tranquillo sapendo che la vecchia cara Nasa spedirà sulla Luna astronauti che si sono meritati di far parte della missione perché in gamba e non per il loro sesso o per il colore della pelle o per la nazionalità.

Ebbene sì, si chiama meritocrazia. Roba poco inclusiva.

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