
“Regnavit a ligno”. Omelia di monsignor Viganò nella domenica della palme
Exsulta satis, filia Sion;
jubila, filia Jerusalem:
ecce rex tuus veniet tibi justus, et salvator:
ipse pauper, et ascendens super asinam
et super pullum filium asinæ.
Zc 9, 9
di monsignor Carlo Maria Viganò
La scuola della Santa Liturgia ripete ciclicamente, ogni anno, i Misteri della vita del Salvatore, mostrandoceli alla luce dell’Antica Legge che li prefigurava, della Nuova Legge che li realizza e della fine dei tempi che li riconduce nella loro dimensione escatologica ed eterna. Come la ruota di un carro o un pianeta, l’anno liturgico gira sul proprio asse mentre si muove lungo un più ampio percorso, sicché ad ogni giro che ha compiuto la meta finale è sempre più vicina e, per certi versi, più chiara. I Misteri della Settimana Santa rispondono a questa impostazione altamente pedagogica, richiamando le figure dell’Antico Testamento, mostrando la realtà del Nuovo e diradando progressivamente la nebbia che avvolge il futuro della Chiesa e dell’umanità intera.
In questa luce, l’entrata trionfale di Nostro Signore in Gerusalemme, che ripete il regale cerimoniale liturgico dell’incoronazione di Davide (1Re 1, 38-40), compie la profezia di Zaccaria (Zc 9, 9) e anticipa il ritorno nella gloria del sommo Giudice: è sul monte degli Ulivi, infatti, che si rivelerà il Signore nel giorno del giudizio (Zc 14, 4). I mantelli stesi dal popolo al passaggio del Re Messianico, e in particolare lungo i gradini del tempio (2Re 9, 13), alludono parimenti all’ascesa al trono e realizzano perfettamente le parole del Salmista: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, vi benediciamo dalla casa del Signore. Il Signore è Dio e c’illumina. Festeggiate il solenne giorno con folti rami, sino agli angoli dell’altare. (Sal 117, 26-27).
Tutto, nell’economia della Salvezza, è ricapitolato in Cristo Re, Alfa e Omega, Principio e Fine: Heri, hodie et in sæcula. La mentalità odierna, nella sua ignoranza che la sradica dal passato e la priva di un futuro, non tollera che si possa ancor oggi acclamare un Re (anche se proprio in questi giorni ne abbiamo visto uno aggirarsi nel nostro Paese, acclamato dalle Autorità con tutti gli onori…). Non lo tollera perché ogni sovrano, specialmente se cristiano, richiama l’unico Re universale, dal Quale promana ogni terrena autorità. Non lo tollera perché la Monarchia terrena – quella temporale e quella spirituale – è intrinsecamente coerente con il κόσμος divino, al punto che anche le creature organizzate in società, come le api, hanno una propria regina. Non lo tollera perché la potestà regale è di origine necessariamente divina: Regnum meum non est de hoc mundo (Gv 18, 36), dice il Signore a Pilato, a significare non che la Sua autorità non è esercitata sulle società umane, ma che l’origine di questa autorità è soprannaturale e quindi superiore. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù (ibid.).
Per questo la Rivoluzione, che è la realizzazione terrena del χάος infernale, ci impone come modello la “democrazia”: non perché non sia lecito agli uomini darsi un regime in cui la moltitudine governa, ma perché proprio nel proclamare “sovrano” il popolo essa intende spodestare Nostro Signore Gesù Cristo, Re divino. E il popolo che si illude si essere padrone di se stesso e dei propri destini finisce inesorabilmente per essere schiavo di potentati e di lobby tiranniche, votate al male. Perché dove non regna Cristo vige la dittatura di Satana. Il potere temporale, che nell’ordine voluto da Dio è vicario in terra della Sua potestà, una volta strappato alla sua origine e pervertito nel suo fine ultimo diventa illegittimo, perché esercitato contro la Maestà divina e contro la Sua Legge.
La Rivoluzione è entrata anche nella Chiesa Cattolica, e con essa l’idea blasfema che anche il Papato possa essere stravolto nella sua essenza, “riletto” – come piace ipocritamente dire ai bergogliani – in chiave sinodale, ossia democratica. Era tutto anticipato nei testi conciliari, nei quali, come gli avvelenatori dei pozzi, i neo-modernisti hanno riversato le loro eresie, lasciando che il tempo le facesse riemergere al momento opportuno nella loro devastante distruttività. La collegialità di Lumen Gentium non è che il germe infetto della sinodalità bergogliana. L’usurpatore che occupa empiamente il Soglio del Principe degli Apostoli sa bene che le premesse poste dalla Rinuncia di Benedetto XVI e della creazione di un “papato emerito” gli consentono di ipotizzare un “presidente” del Papato che detenga il munus petrinum, e un collegio di Cardinali – e Cardinalesse, perché no – che eserciti il ministerium. Anche in questo caso l’autorità papale, separata da Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, diventa illegittima.
La vacanza dell’autorità civile e religiosa è un elemento ricorrente nella storia sacra. Quando Nostro Signore Si incarnò e nacque da Maria Santissima, tanto i Sommi Sacerdoti Anna e Caifa quanto il re Erode erano saliti al potere con frodi e nomine manipolate e non rappresentavano quindi il potere legittimo. Quando Gesù Cristo tornerà a prendere possesso di ciò che è Suo per diritto divino, di stirpe e di conquista, l’autorità civile e religiosa saranno parimenti vacanti. E questo, per chi sa leggere gli eventi sub specie æternitatis, è già presente sotto i nostri occhi.
Riporre le proprie speranze negli uomini, per quanto ben intenzionati, è sempre un inganno: Maledictus homo qui confidit in homine, dice il Profeta (Ger 17, 5); e continua: ti renderò schiavo dei tuoi nemici in una terra che non conosci, perché avete acceso il fuoco della mia ira, che arderà sempre (ibid., 4). Noi oggi non riconosciamo più la nostra terra, sconvolta nella natura, invasa da orde di barbari, devastata da crimini e peccati che gridano vendetta al Cielo. Siamo stranieri nella nostra Patria e nemici di chi pretende di governarci. Pensare che la salvezza provenga dagli uomini è illusorio e blasfemo. La nostra unica salvezza, infatti, è la Croce di Cristo: o Crux, ave, spes unica! Una salvezza che il Signore ci accorda solo a patto che Lo seguiamo, fino a regnare con Lui nell’eternità.
Nel Signore accolto trionfalmente in Gerusalemme, vediamo compiersi la profezia di Zaccaria: Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina (Zc 9, 9). Umile, cavalca un asino. Perché la Regalità divina di Cristo vuole essere riconosciuta nell’umiltà: nell’umiltà di Colui che, per obbedienza al Padre, Si è incarnato, propter nos homines et propter nostram salutem, per noi uomini e per la nostra salvezza, offrendoSi come Vittima divina. Se Cristo non fosse stato riconosciuto Re e Pontefice nell’atto supremo del Sacrificio, Egli non avrebbe rappresentato dinanzi al Padre né i singoli né le nazioni oggetto della Redenzione. Ma, allo stesso tempo, se vogliamo regnare con Cristo, con Cristo dobbiamo ascendere al trono della Croce. Ce lo ricorda San Pietro: A questo infatti siete stati chiamati, perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, affinché seguitate le sue orme (1Pt 2, 21).
Egli è giusto e vittorioso, umile (Zc 9, 9). La giustizia violata dal nostro peccato richiedeva riparazione: Egli è giusto. La riparazione richiedeva la Passione e la Morte, per vincere sulla morte: Egli è vittorioso. Il trono è un patibolo, la corona è di spine, lo scettro una canna, il manto la veste dei pazzi: Egli è umile.
In questa umiltà regale non possiamo non riconoscere come Nostra Signora e Regina Maria Santissima, Regina Crucis appunto. PrendiamoLa a nostro modello, in queste ore di tenebre che, come nell’oscurità della Parasceve, preludono al trionfo della Resurrezione. Non dimentichiamolo mai: è ai piedi della Croce, trono dell’Agnello, che il Re divino ha costituito la Vergine Augustissima nostra Madre, e noi Suoi figli. E così sia.
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
13 aprile 2025
Dominica II Passionis seu in Palmis