di Aldo Maria Valli
Qualcuno ha parlato di eresie di Francesco. Se non vogliamo usare il termine eresia, possiamo parlare di errori. Gravi errori. Di certo, Francesco ha deviato. A più riprese.
Amoris laetitia ha di fatto introdotto il relativismo morale nel magistero.
Presentandosi come documento di natura pastorale piuttosto che dottrinale sembra voler rassicurare. In realtà è deviante perché sgancia la pastorale dalla dottrina e, mettendo in primo piano la prassi, relativizza l’idea di verità.
Le norme divine ridotte a “ideali” (a cui si può tendere, ma senza la pretesa di raggiungerli) e il peccato trasformato in semplice inadeguatezza e fragilità umana sono altri fattori che fanno di Amoris laetitia un documento teso a scardinare la dottrina cattolica sostituendola con il pragmatismo e lo storicismo (da cui la rottura netta rispetto a Veritatis splendor di san Giovanni Paolo II).
Il filone lo conosciamo bene. È quello dei Chenu, dei Rahner, e Kasper non è che il distillato di un pensiero teologico ispirato allo storicismo, e senza che ci sia stato nemmeno lo sforzo di rinnovare un po’ il linguaggio.
Evidente la volontà di riallacciarsi al pensiero modernista troncando di netto con le tesi del papa polacco riproposte e valorizzate dal primo preside dell’Istituto, quel professor Carlo Caffarra che poi sarebbe stato uno dei quattro cardinali sottoscrittori dei famosi dubia (che mai hanno ricevuto risposta) proprio su Amoris laetitia.
Per cui Amoris laetitia non è nuova, ma vecchia, anzi vecchissima. E tuttavia è rivoluzionaria nel senso pieno del termine, perché con essa il magistero abbandona la via ontologica e imbocca la strada dell’esistenzialismo.
Dio? Si rivela nella vita del popolo. La dottrina? Va interpretata in base alle situazioni date. La legge? Va modulata a seconda della storia e dei luoghi, per cui è possibile un pluralismo dottrinale e morale. I principi morali? Non sono più validi in assoluto ma possono avere eccezioni. Il discernimento? Non serve per scorgere la volontà di Dio, ma per aiutare l’uomo, immerso nella storia, ad aggiustarsi rispetto agli “ideali”.
Così, grazie a un linguaggio adeguato, tutto può diventare oggetto di discernimento nel senso che tutto può essere reversibile, interpretabile, aggiustabile. L’assoluto e il definitivo non ci sono più. Se la verità è nella storia, anche la Parola di Dio va relativizzata a seconda delle singole situazioni, delle singole biografie. Sarà la prassi a fare da sintesi. Ma, essendo prassi, sarà a sua volta variabile, modificabile sulla base degli accadimenti, delle sensibilità, dei gusti.