Un viaggio In Francia

di Marco Anca

Con mia moglie, che viene dall’ex Urss, amiamo viaggiare per il mondo. Nel corso di venticinque anni abbiamo visitato settanta Paesi, tar cui Cisgiordania, Cipro Nord e Transnistria. Ma non Usa e Cina.

Per me viaggiare è riscontro e approfondimento di tanti anni di studi storici e geografici, ed è anche frutto della mia passione per i cristiani di Oriente.

Di recente siamo siamo stati per due settimane in Francia, per l’ennesima volta.

È un paese che amiamo e conosciamo, una delle nostre destinazioni preferite. Ci piace girarne la provincia (anche se nostra figlia, come tutti i giovani, vorrebbe solo Parigi) e ci mette sempre di buonumore. Con qualche eccezione, come Marsiglia e Lione.

Avvertenza: in Francia bisogna girare avendo presente non solo l’attuale ripartizione amministrativa (che serve per gli sconti sui treni regionali TER) ma anche le antiche province francesi pre-rivoluzionarie. A proposito: all’amico Fabio Battiston farà piacere sapere che due anni fa abbiamo fatto anche una capatina in Vandea, in giornata, da Nantes.

Comincio a sfatare un luogo comune. In Francia come italiani veniamo sempre trattati benissimo, l’importante, ovviamente, è essere educati, ma soprattutto è rivolgersi alle persone in francese, anche facendo errori a non finire. Se ci si rivolge subito in inglese, si viene trattati con freddezza.

Partiti da Milano Linate con volo Ita, arriviamo a Parigi e ci spostiamo subito alla stazione di Montparnasse, dove abbiamo il TGV per Angouleme.

Nella capitale percepisco immediatamente un clima preoccupato: i francesi hanno capito che il loro establishment li vuole spedire in guerra. Vedo poi diversi giovani, soprattutto ragazze, con il crocifisso al collo.

Sul TGV, come sempre, nessuno parla ad alta voce, e chi deve parlare con il cellulare va in corridoio.

Angouleme mi ha incuriosito come destinazione da quando, anni fa, l’avevo vista pubblicizzata dalle SNCF. Ospita un festival internazionale del fumetto, è famosa per i murales e fu sede di una contea tra le più nobili di Francia.

Oggi è una città di provincia rilassata, un po’ dimenticata e non molto ricca. La crisi si fa sentire anche qui: diversi gli spazi commerciali chiusi, anche nel corso principale. Non ci sono molti immigrati.

La città propone alcuni scorci di interesse perché è collocata in alto, con panoramiche sulle vie sottostanti. Il centro è tutto d’epoca, con i soliti stabili ottocenteschi e di inizio Novecento, come il teatro. Il municipio è il vecchio castello dei conti di Angouleme nel quale a metà Ottocento sono state inserite parti neogotiche, come la facciata, e devo dire che il risultato non è male.

Come in altre città e villaggi della Francia, il colore dominante è il grigio. Mi viene in mente una frase di Mitterrand in un film in cui lo si ritraeva negli ultimi tempi della presidenza. Durante un viaggio in treno, guardava fuori dal finestrino e diceva al suo biografo “Il colore della Francia è il grigio; solo un idiota non apprezza il grigio”.

Il pranzo, come facciamo sempre in Francia e come fanno molti francesi (non i turisti), lo consumiamo al mercato coperto, chiamato Halles come in tutta la Francia (ce ne sono anche a Parigi).

Si mangia e si beve francese a ottimi prezzi e ottima qualità. Le ostriche, che piacciono a mia moglie e a mia figlia, hanno prezzi per le tasche anche dell’ormai zoppicante classe media.

Nonostante la crisi, sono ancora piuttosto diffusi i negozi di prossimità, anche alimentari, gestiti molto spesso da francesi anche giovani, e sono molto frequentati. Perché in Francia sì e in Italia no?

Nel pomeriggio, partenza con il bus regionale dal prezzo bassissimo (due euro e cinquanta per due ore di viaggio) verso Perigueux: si va nel Perigord.

Usciamo dalla Contea di Angouleme (chiedo scusa: dal dipartimento della Charente), entriamo nel Perigord e vediamo villaggi interessanti, tipo Brantome. Arriviamo nel capoluogo del dipartimento, Perigueux.

Abbiamo prenotato un affitto breve e, come in tutte le case francesi in cui abbiamo alloggiato, vediamo cose interessanti per chi, come noi, cerca di tagliare le spese condominiali. In tutti gli appartamenti francesi in cui siamo stati abbiamo sempre trovato l’induzione al posto del gas e il riscaldamento elettrico con pompe di calore. Niente caldaia condominiale, che a mio avviso tra dieci anni sarà come la cabina del telefono anche in Italia. Non c’è la portineria. Dove c’era, è stata trasformata in locali da affittare, con un ricavato per il condominio, o da vendere, per ricavarne un fondo cassa condominiale.

Che cosa si visita in questi centri? Le trappe sono più o meno sempre le stesse: cattedrale, prefettura o sottoprefettura (spesso in un palazzo prestigioso e nobiliare), municipio (spesso d’epoca, con l’immancabile scritta libertè, egalitè, fraternitè), teatro (spesso ottocentesco), teatro (idem), ufficio postale (idem), liceo più prestigioso (spesso in un palazzo imponente), mercato coperto, stazione ferroviaria.

Perigueux, una città dal tono alquanto provinciale sul fiume Isle (a mia moglie e mia figlia non è piaciuta molto) ha una cattedrale ottocentesca costruita con richiami al Sacre Coeur.

Ciò che rende famoso il Perigord è la qualità della cucina. Il mercato coperto è molto piccolo, e non si può mangiare internamente. Però c’è un bar fermo agli anni Cinquanta, con i cimeli del rugby e della passione per i cavalli, uno di quei bar in cui Maigret si fermerebbe a bere qualcosa di buono (e alcolico).

Al ristorante impera l’anatra, accompagnata dalle patate alla sarladaise, della cittadina di Sarlat la Caneda, cioè patate cotte nel grasso d’anatra con prezzemolo, aglio, sale e pepe: eccezionali. Il vino è della zona di Bergerac, sempre nel Perigord: non male, ma preferisco i vini della Loira.

Particolarità dei ristoranti francesi: non si paga il coperto, e spesso si mangia senza quella inutile cosa che è la tovaglia. L’acqua è quella del rubinetto ed è servita gratis (si ordina chiedendo “una caraffa d’acqua”). Il secondo arriva automaticamente con il contorno.

Da Perigueux facciamo un’escursione in giornata a Limoges. Per un’ora di treno – andata e ritorno in tre, sconto famiglia – 88 euro. Però i treni sono puntuali, nuovi, pulitissimi e senza ciurmaglia a bordo.

Limoges è nella regione del Limosino, ricca di allevamenti di bovini, che dal treno si vedono numerosi.

A proposito di vedute dal treno: la provincia francese è perfetta, ordinatissima e pulitissima, senza oscenità architettoniche e urbanistiche.

Celebre per la porcellana, Limoges propone ancora diversi negozi che la vendono.

La cucina del Limosino non è famosa, ma al mercato coperto, allegro e affollato (ci siamo stati a pranzo di domenica), ho provato un sublime arrosto di maiale cotto quattro ore nella sua cotenna. Mia moglie e mia figlia hanno optato per le ostriche, che vanno sempre accompagnate dal vino bianco freddo. Maigret preferiva il Muscadet, vino delle terre di Nantes che, come spiegava il nostro commissario gourmet, è “dolce nel profumo ma secco al palato”. Ma anche il Macon della Borgogna non è male. Ho assaggiato anche la salsiccia di trippa di maiale (andouille) del Limosino, insaccato non banale.

Una particolarità di Limoges è che il quartiere della cattedrale, e dell’ex palazzo episcopale, è fuori dal centro, in un agglomerato urbano tutto suo, come quelli che si trovano in Polonia, a Breslavia e Poznan, su isole in mezzo al fiume.

Passeggiando per le città francesi, salta all’occhio una realtà da noi scomparsa: ci sono tanti bambini e tanti giovani. Perché, a differenza dei giovani italiani, che stanno scappando, qui hanno la possibilità di restare e costruirsi un futuro.

Dopo Perigueux, rotta a Sud, verso Libourne, dove abbiamo prenotato un altro affitto breve.

Per più o meno tre quarti d’ora di treno, 41,70 euro per tre persone, con sconto famiglia.

Entriamo nella zona del rugby.

Libourne, alla confluenza tra l’Isle e la Dordogna, è una bastide inglese, cioè una di quelle città (sorte tra il XII e il XIV secolo, una volta fortificate e dotate di statuto comunale) fondate dagli inglesi che regnavano in questa parte dell’Aquitania. Di quei tempi sopravvive una torre con la porta d’entrata in città dalle rive del fiume.

Da lì il vino di Bordeaux arrivò in Inghilterra. Con una curiosità: le maglie di alcune squadre di calcio inglesi (come il West Ham, per il quale faccio il tifo io, e l’Aston Villa) sono di colore claret and blue, vinaccia e celeste, dove per claret si intende proprio il colore del vino di Bordeaux.

Libourne non è eccezionale, però è ben posizionata, tra la bella Bordeaux e la parte meridionale del Perigord (Bergerac, Lalinde, Sarlat la Caneda).

Lì mi capita di polemizzare con l’ufficio del turismo, perché nel municipio è esposta la bandiera tedesca, che a me infastidisce assai. Spiegazione: è esposta per via di un gemellaggio con una cittadina tedesca. Faccio presente che ci sono gemellaggi anche con cittadine italiane, inglesi e spagnole, ma non vedo in giro le bandiere di quei Paesi. Trovo vergognoso che nella zona della Marna e di Verdun sia esposta una bandiera germanica, ma evidentemente sono più francese io del sindaco di Libourne!

Il giorno dopo escursione in treno a Bergerac e Saint-Emilion.

Bergerac, nel Perigord, centro vinicolo sulle rive della Dordogna, è gradevole e interessante, importante perché vi furono condotte trattative per la fine delle guerre di religione che portarono all’editto di Nantes del 1598. Sarà un caso, ma a Bergerac il tempio protestante ha una sua visibilità, una ex chiesa gesuita in stile neoclassico.

A proposito di neoclassico, tra le cose da vedere nelle città di provincia francesi c’è pure il palazzo di giustizia. Ma il pomposo stile neoclassico a me non piace: gli edifici del genere sembrano fatti in fotocopia.

Nel mercato coperto, una curiosità: i polli allo spiedo e quelli ruspanti (fermier, di fattoria) venduti dal rosticciere sono ben più grandi di quelli normali, ma costano anche il doppio. Noi prendiamo un pollo allo spiedo da un rosticciere nordafricano e, come italiani, veniamo trattati con grande cordialità.

Saint-Emilion (dove si produce l’omonimo vino) è in Aquitania. Anche qui c’erano gli inglesi e ne è rimasta una torre reale. Un bel villaggio d’epoca nel cuore della zona vinicola del Bordeaux, circondato dai vigneti. Per andare dalla stazione al villaggio bisogna fare una camminata di un paio di chilometri in mezzo a vigneti e cantine.

A Saint-Emilion il vino è carissimo. Per un motivo molto semplice: i turisti americani, numerosissimi nella zona vinicola del Bordeaux, spendono e spandono soldi spesso non loro (si indebitano per viaggiare) senza esigere qualità e facendo alzare all’eccesso i prezzi: un brutto film che vediamo anche in diverse zone d’Italia.

Il giorno dopo si torna a Parigi via TGV. A Parigi, che conosciamo come le nostre tasche, alloggiamo come sempre all’Hotel Ibis Budget nel XIX Arrondissement. Ci piace stare nei quartieri in cui vivono i parigini. Abbiamo i nostri punti di riferimento: il Carrefour accanto all’albergo, dove facciamo la spesa; il ristorante georgiano (ottimo, ma è diventato di moda e ha alzato i prezzi) e quello libanese, nel vicino X Arrondissement, che frequentiamo da almeno quindici anni e dove veniamo accolti sempre molto amichevolmente; il piccolo caffè dove so che mi daranno una dose più abbondante del mio cognac preferito. Andiamo anche al mercato coperto Saint Quentin vicino alla Gare de l’Est, dove le donne della famiglia mangiano le solite ostriche e io la salsiccia di Tolosa. C’è anche un ottimo e semplice ristorante marocchino. Poi, in un bar, devo spiegare a un barista bengalese esordiente che cos’è il caffè macchiato e come si fa.

Se volete mangiare francese a Parigi, consiglio i mercati coperti oppure alcuni ristoranti noti e cari (per esempio l’alsaziano Bofinger o l’alverniate Ambassade d’Auvergne, dove fanno un memorabile aligot, il purè di patate con il formaggio Cantal).

Andando in giro per la Francia, Parigi compresa, noto una cosa. Ci sono molti meno fumatori che non a Milano, dove fumano tutti, giovani compresi. E poi le stazioni del metrò di Parigi, nonostante l’enorme transito di passeggeri, sono molto pulite. Inoltre il biglietto non è molto più caro che a Milano, ma l’efficienza del servizio ben più elevata.

Cosa per negativa: per qualsiasi cosa ecco app, macchinette automatiche, prenotazioni online. Per chi, come il sottoscritto, odia la tecnologia, una sofferenza e un incubo (e qualche volta pure solenni incavolature). Ma noto che non sono l’unico.

Cosa ancor più negativa: il restauro di Notre Dame, che ha fatto più danni dell’incendio, e a proposito del quale interverrò su Duc in altum.

Spero di aver dato, con qualche pennellata, un’idea della Francia di oggi. Chiunque desiderasse ricevere consigli e suggerimenti per affrontare una destinazione che conosco può chiedere ad Aldo Maria Valli il mio contatto.

Un abbraccio a tutti gli amici di Duc in altum.

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Nella foto, una veduta di Libourne, nella regione della Nuova Aquitania

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