
L’addio a Bergoglio e la miserevole prova della stampa
di Vincenzo Rizza
Caro Aldo Maria,
come già evidenziato nel blog, la scomparsa del Santo Padre ha fatto emergere, se ve ne fosse ancora bisogno, la pochezza dell’informazione nostrana, con una copertura mediatica patetica tesa a esaltare, ai limiti della santificazione e superati i limiti del ridicolo, il pontificato appena terminato e la figura di papa Francesco.
Alle rappresentazioni agiografiche (senza alcun riferimento agli aspetti eufemisticamente critici del regno di papa Francesco) si sono aggiunte le interviste di improbabili inviati che volteggiano tra le basiliche vaticane pronti a mettere il microfono in faccia a fedeli, passanti e turisti per carpire le impressioni dell’uomo della strada che non può non magnificare la figura del papa “uno di noi”, del papa degli ultimi e dei poveri (come se i predecessori fossero stati i papi dei primi e dei ricchi). Gli effetti sono stati spesso grotteschi e, nella tragedia, esilaranti, come quando un’inviata del Tg1 ha intervistato in diretta una turista, scambiandola per una pellegrina, che ha candidamente dichiarato di essere atea e che forse sarebbe stato meglio rivolgere la domanda a qualcun altro; non paga della risposta, l’ineffabile intervistatrice ha insistito affermando che comunque la turista era lì per testimoniare la sua presenza in quella giornata particolare prima che la giornalista in studio, impietosita, la salvasse dall’imbarazzo togliendole la linea.
Non meno patetiche le interviste rilasciate da alcuni sacerdoti, vescovi e cardinali che il giorno stesso della morte del papa si alternavano freneticamente tra i salotti televisivi e radiofonici sembrando più interessati ad esibirsi di fronte al palcoscenico massmediale, con aneddoti e ricordi personali, che a pregare per la scomparsa del pontefice. Sempre il 21 aprile il gesuita James Martin, noto per le sue posizioni in favore della comunità LGBTQ, si è affrettato a pubblicare un articolo per ricordare il suo rapporto confidenziale e privilegiato con Francesco, che seppure non è riuscito a modificare il catechismo sull’omosessualità e non ha approvato i matrimoni delle persone dello stesso sesso (questi sarebbero i nuovi obiettivi di chi si professa ancora cattolico), ha comunque fatto per le persone LGBTQ più di quanto hanno fatto tutti i suoi predecessori messi insieme, evidentemente dimenticando che l’accoglienza (doverosa) per todos, todos, todos non significa giustificare e soprattutto approvare ogni nostra inclinazione al peccato.
Cosa dire, poi, della celebrazione delle folle in visita al feretro. Premesso che sarebbe impietoso il paragone con ciò che accadde con san Giovanni Paolo II (e, in fondo, con lo stesso Benedetto XVI, solo papa emerito al momento della morte ma ancora molto amato dal popolo cattolico e per cui in Vaticano non è stato proclamato neppure un giorno di lutto ufficiale), sono in tanti che accorrono a fare la fila per la morte di Maurizio Costanzo o di Eleonora Giorgi: figuriamoci se non si è disposti a partecipare, preferibilmente con il telefonino in mano, a un evento con risonanza mondiale per poter dire “io c’ero”. D’altro canto le stesse scene di “fedeli” che facevano selfie e foto erano già presenti all’esposizione del corpo di papa Woytila, e perfino molti vescovi non hanno, all’epoca, rinunciato all’opportunità di una foto ricordo per “immortalare” (nel senso letterale della parola) anche il momento del funerale.
E per finire, la ridicola esaltazione massmediatica della scelta di papa Francesco di non essere sepolto in San Pietro, ma a Santa Maria Maggiore, in una tomba semplice, come se gli ultimi sui predecessori avessero chiesto di essere sepolti nel monumento funebre di Giulio II e non sotto una semplice lapide di marmo. Mi chiedo, peraltro, come avrebbero reagito quegli stessi giornalisti se la scelta di papa Francesco (del tutto legittima, s’intende) fosse stata presa dal buon Benedetto XVI. Si sarebbe parlato della sobrietà della richiesta o piuttosto si sarebbe sottolineata la singolare pretesa di non essere sepolto nelle grotte vaticane (come la maggior parte dei papi) ma all’interno di una basilica maggiore, tra la cappella Paolina e la cappella Sforza? E sempre per insistere sulla semplicità e sobrietà, chissà perché quasi nessuno ha criticato la scelta (questa volta sembrerebbe non di papa Francesco ma verosimilmente di qualche suo accolito) di appendere sopra la lapide una gigantografia della sua (brutta, perché difficilmente potrebbe essere altrimenti definita) croce pettorale. Accontentiamoci, peraltro, del fatto che a nessuno sia finora venuto in mente di “abbellire” il sepolcro con qualche mosaico dell’amico Rupnik (anche dei rapporti con l’ex gesuita, per non parlare di altri “amici” poco raccomandabili, la stampa mainstream ha accuratamente omesso ogni riferimento).
Preghiamo, comunque, per l’anima di Francesco e preghiamo anche che lo Spirito possa donarci un nuovo papa che sia semplicemente cattolico, senza inutili ulteriori aggettivi, e che sappia ricostruire sulle macerie lasciate da questo pontificato che, nonostante il racconto celebrativo oggi dilagante, ha diviso il popolo cattolico come nessun altro negli ultimi secoli con il suo sincretismo e falso misericordismo.