Latinorum latinorum…
di Aurelio Porfiri
«Si piglia gioco di me?» interruppe il giovine. «Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?»
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Le notizie che si rincorrono in questi giorni sulle restrizioni alla Messa tridentina fanno molto parlare e rimettono al centro dell’attenzione la lingua latina. C’è ancora chi sostiene che bisognerebbe restringere il ricorso alla Messa secondo il Messale Romano di san Pio V perché le persone non capiscono il latino. Pensavo che questo problema fosse stato superato da tempo, ma evidentemente così non è.
In realtà il latino non è affatto un problema, ma una risorsa. Innanzitutto, per chi vuole capire il senso di quello che viene detto, esistono i messalini bilingue che da decenni svolgono benissimo il loro ruolo senza che nessuno si sia lamentato di non capire.
Poi bisogna intendersi su che cosa si intende per “capire”. La gran parte delle persone che vanno alle Messe in lingua vernacolare probabilmente non afferra pienamente i concetti delle lettere di san Paolo o del canone romano, perché sono concetti che esprimono un’alta teologia, ma nessuno direbbe che queste persone “non partecipano”. La comprensione della Messa non avviene a livello meramente semantico e intellettuale, ma a un livello molto più profondo.
Numerose religioni hanno una lingua che riservano al culto, separata dall’uso quotidiano. In questo senso va compreso anche l’uso del latino nella liturgia.
Alla liturgia non si partecipa in primis per “capire”, ma per fare esperienza di Dio partecipando al Sacrificio di Nostro Signore. Per l’istruzione cattolica esiste il catechismo, esistono libri e conferenze, esiste la buona stampa. La Messa non ha uno scopo principalmente di istruzione: questa è solo una parte della sua funzione. Ricordiamo che con la Messa in latino di prima del Concilio tantissime persone, umili e semplici, si sono fatte sante. Se il latino fosse stato un impedimento, come spiegare la santità di persone magari culturalmente ignoranti ma ricche di una sapienza che attingevano anche dalle fonti della liturgia?
Tutto ciò vale anche per la musica. Si potrà non comprendere come funziona, per esempio, la forma-sonata, ma questo non impedisce di godere di una sinfonia.
Ho notato che tantissimi giovani normalissimi, in giro per il mondo, sentono il fascino della lingua latina, che è all’origine di tanta parte della nostra civiltà, e proprio attraverso il latino si avvicinano alla fede.
Quando insegnavo musica in Asia, notavo che i miei allievi cinesi non avevano nessun problema con il latino: lo usavamo per tanti canti ed erano affascinati dal suono della lingua. Gli stessi giovani studenti ascoltavano musica pop in coreano o giapponese, lingue che magari non comprendevano ma sceglievano liberamente perché affascinati da qualcosa che andava oltre la comprensione letterale.
Il latino per molti non è tanto un fatto linguistico, ma un’esperienza con la Tradizione della Chiesa, un’esperienza che ha riportato e continua a riportare tanti a inginocchiarsi davanti a Dio.
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Nelle foto (di A.M. Valli), corali di canto ambrosiano, prima metà del XV secolo, Museo della Collegiata di Castiglione Olona (Varese)