Papa Francesco e la contraccezione
[Ovvero come, partendo dall’Ordine di Malta, si arriva all’«Humanae vitae» di Paolo VI, alla morale della situazione e a «el cuco», uno spauracchio che fa sorridere il papa ma è forse il cuore del problema]
Le vicende che hanno scosso l’Ordine di Malta prendono il via, almeno formalmente, dalle accuse mosse dall’ormai ex gran maestro Matthew Festing al gran cancelliere Albrecht Freiherr von Boeselager : non aver impedito, o addirittura aver favorito, la distribuzione di preservativi e contraccettivi, anche abortivi, in Africa e in Asia come misura per contrastare il traffico sessuale e l’Aids.
Abbiamo ormai capito che questo è stato il tipico «casus belli» e che il contrasto ha una portata più ampia, sia in seno all’Ordine sia tra l’Ordine e la Santa Sede. Sappiamo inoltre come la vicenda si è sviluppata e, per il momento, è andata a finire: intervento della Santa Sede, Festing costretto alle dimissioni, Boeselager reintegrato.
In attesa di conoscere gli sviluppi del caso, nasce però una domanda: qual è stato finora l’insegnamento di papa Francesco in materia di contraccezione? E quale, in particolare, la sua posizione nei confronti dell’«Humanae vitae», l’enciclica con la quale Paolo VI, nel 1968, ribadì il no al controllo artificiale delle nascite?
Vediamo.
5 marzo 2014. Francesco è intervistato da Feruccio De Bortoli per il «Corriere della sera» e una delle domande è la seguente: «A mezzo secolo dall’”Humanae vitae” di Paolo VI, la Chiesa può riprendere il tema del controllo delle nascite? Il cardinale Martini, suo confratello, riteneva che fosse ormai venuto il momento».
Risposta del papa: «Tutto dipende da come viene interpretata l’”Humanae vitae”. Lo stesso Paolo VI, alla fine, raccomandava ai confessori molta misericordia, attenzione alle situazioni concrete. Ma la sua genialità fu profetica, ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro. La questione non è quella di cambiare la dottrina, ma di andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare. Anche di questo si parlerà nel cammino del Sinodo».
Francesco tiene dunque in considerazione i motivi che portarono Paolo VI a dire no alla contraccezione artificiale in nome della disciplina morale e si esprime contro un cambiamento della dottrina, ma nel contempo chiede di non dimenticare le situazioni concrete e si appella al senso di misericordia. Circa il modo per procedere su questa strada, rimanda ai lavori del Sinodo sulla pastorale familiare (che sarà in due tappe: la prima dal 5 al 19 ottobre 2014, la seconda dal 4 al 25 ottobre 2015).
Ed eccoci appunto al Sinodo.
13 ottobre 2014. Il relatore generale del Sinodo, cardinale Péter Erdő, legge davanti al papa e ai vescovi la «Relatio post disceptationem», documento base, approvato da Francesco, per il proseguimento dei lavori nei circoli minori.
Nel capitolo «La trasmissione della vita e la sfida della denatalità», dopo aver raccomandato di non dimenticare «i fattori di ordine economico» che «esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità» (n.53), il documento afferma: «Probabilmente anche in questo ambito occorre un linguaggio realista, che sappia partire dall’ascolto delle persone e sappia dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza».
E ancora: « È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali, che consenta di vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunicazione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. In questa luce va riscoperto il messaggio dell’enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità» (n. 54).
Sembrerebbe dunque confermato, nella sostanza, il no alla contraccezione artificiale contenuto nell’«Humanae vitae». Si legge infatti, poco dopo: «Occorre perciò aiutare a vivere l’affettività, anche nel legame coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell’altro e in una donazione sempre più piena» (n. 55).
19 ottobre 2014. Siamo alla «Relatio Synodi», nella quale (capitolo «La trasmissione della vita e la sfida della denatalità») leggiamo: «L’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell’amore coniugale» (n. 57). «Anche in questo ambito occorre partire dall’ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile. Esso aiuta a vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va riscoperto il messaggio dell’enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità» (n. 58).
«Occorre aiutare a vivere l’affettività, anche nel legame coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell’altro e in una donazione sempre più piena. Va ribadita in tal senso la necessità di offrire cammini formativi che alimentino la vita coniugale e l’importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva. È di grande aiuto l’esempio di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, capace di crescere nel tempo e che nel suo concreto aprirsi alla generazione della vita fa l’esperienza di un mistero che ci trascende» (n. 59).
Ancora una volta c’è, come si vede, il richiamo all’«ascolto delle persone», ma c’è anche la riaffermazione della necessità di «riscoprire» l’«Humanae vitae».
19 ottobre 2014. In piazza San Pietro, durante la messa per la conclusione della prima parte del sinodo sulla famiglia e la beatificazione di Paolo VI, Francesco ricorda così papa Montini: «Nei confronti di questo grande Papa, di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa! […]. Paolo VI ha saputo davvero dare a Dio quello che è di Dio dedicando tutta la propria vita all’”impegno sacro, solenne e gravissimo: quello di continuare nel tempo e di dilatare sulla terra la missione di Cristo”, amando la Chiesa e guidando la Chiesa perché fosse “nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza”».
16 gennaio 2015. Il papa è in viaggio nelle Filippine e, durante l’incontro con le famiglie a Manila, sottolineando le «colonizzazioni ideologiche» che minacciano la famiglia, dice: «La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita. Penso al Beato Paolo VI. In un momento in cui si poneva il problema della crescita demografica, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita nella famiglia. Lui conosceva le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua enciclica era molto misericordioso verso i casi particolari, e chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre: guardò i popoli della Terra, e vide questa minaccia della distruzione della famiglia per la mancanza dei figli. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e mise in guardia le sue pecore dai lupi in arrivo. Che dal Cielo ci benedica questa sera!».
Di nuovo sembra ribadito un doppio binario: attenzione e misericordia nei singoli casi, riaffermazione del principio generale contenuto in «Humanae vitae».
19 gennaio 2015. Durante il volo di ritorno dalle Filippine, Francesco risponde a una domanda di Jan-Christoph Kitzler della Ard, la radio tedesca. Eccola: «Vorrei ritornare un attimo all’incontro che ha avuto con le famiglie. Lì ha parlato della “colonizzazione ideologica”. Ci potrebbe spiegare un po’ meglio il concetto? Poi si è riferito al Papa Paolo VI, parlando dei casi particolari che sono importanti nella pastorale delle famiglie. Ci può fare alcuni esempi di questi casi particolari e magari dire anche se c’è bisogno di aprire le strade, di allargare il corridoio di questi casi particolari?».
Risposta di Francesco: «La colonizzazione ideologica. Dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Vent’anni fa, nel 1995, una ministro dell’Istruzione pubblica aveva chiesto un grosso prestito per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo grado di scuola. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender. Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione. Furba, ha detto di sì e ha fatto fare anche un altro libro e li ha dati tutti e due, e così è riuscita… Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che non ha niente a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura […]. Questa è la prima domanda. La seconda: che volevo dire di Paolo VI? È certo che l’apertura alla vita è condizione del sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono d’accordo su questo punto, di essere aperti alla vita. A tal punto che, se si può provare che questo o questa si è sposato con l’intenzione di non essere aperto alla vita, quel matrimonio è nullo, è causa di nullità matrimoniale, l’apertura alla vita. Paolo VI ha studiato questo con una commissione, come fare per aiutare tanti casi, tanti problemi, problemi importanti che fanno l’amore della famiglia. Problemi di tutti i giorni. Tanti, tanti… Ma c’era qualcosa di più. Il rifiuto di Paolo VI non era rivolto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le situazioni e perdonare o essere misericordiosi, comprensivi. Ma lui guardava al neo-malthusianismo universale che era in corso. E come si riconosce questo neo-malthusianismo? E’ il meno dell’1% di natalità in Italia, lo stesso in Spagna. Quel neo-malthusianismo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non significa che il cristiano deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. “Ma lei vuole lasciare sette orfani?”. Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile. Quella è la strada: la paternità responsabile. Ma quello che io volevo dire era che Paolo VI non ha avuto una visione arretrata, chiusa. No, è stato un profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-malthusianismo che è in arrivo».
Altra domanda, da parte di Cristoph Schmidt: «Lei ha parlato dei tanti bambini nelle Filippine, della sua gioia che ci sono così tanti bambini. Ma, secondo dei sondaggi, la maggioranza dei filippini pensa che la crescita enorme della popolazione filippina è una delle ragioni più importanti per la povertà enorme del Paese, e nella media una donna nelle filippine partorisce più di tre bambini nella sua vita, e la posizione cattolica nei riguardi della contraccezione sembra essere una delle poche questioni su cui un grande numero della gente nelle Filippine non sia d’accordo con la Chiesa. Che cosa ne pensa?».
Risposta di Francesco: «Io credo che il numero di tre per famiglia, che lei menziona, secondo quello che dicono i tecnici, è importante per mantenere la popolazione. Tre per coppia. Quando si scende sotto questo livello, accade l’altro estremo, come ad esempio in Italia, dove ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno i soldi per pagare i pensionati. Il calo della popolazione. Per questo la parola-chiave per rispondere è quella che usa la Chiesa sempre, anch’io: è “paternità responsabile”. Come si fa questo? Col dialogo. Ogni persona, col suo pastore, deve cercare come fare questa paternità responsabile. Quell’esempio che ho menzionato poco fa, di quella donna che aspettava l’ottavo e ne aveva sette nati col cesareo: questa è una irresponsabilità. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti dà i mezzi, sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli. No! Paternità responsabile! Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante soluzioni lecite che hanno aiutato per questo. Ma ha fatto bene a dirmelo. È anche curiosa un’altra cosa, che non ha niente a che vedere ma che è in relazione con questo. Per la gente più povera un figlio è un tesoro. È vero, si dev’essere anche qui prudenti. Ma per loro un figlio è un tesoro. Dio sa come aiutarli. Forse alcuni non sono prudenti in questo, è vero. Paternità responsabile. Ma bisogna guardare anche la generosità di quel papà e di quella mamma che vedono in ogni figlio un tesoro».
Anche con la frase sui figli «come conigli», che suscita tanto scalpore, il papa punta dunque sul concetto di «paternità e maternità responsabile».
23 giugno 2015. Pubblicazione dell’«Instrumentum laboris » del Sinodo. Leggiamo dal capitolo «Unione e fecondità dei coniugi»: «La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio. Alcuni evidenziano che nel disegno creativo è inscritta la complementarietà del carattere unitivo del matrimonio con quello procreativo: quello unitivo, frutto di un libero consenso cosciente e meditato, predispone all’attuazione di quello procreativo. Inoltre, l’azione generante deve essere compresa nell’ottica della procreazione responsabile e dell’impegno a prendersi cura progettualmente dei figli con fedeltà» (n. 45).
Nel capitolo «La responsabilità generativa» si legge poi che occorre «dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile. Esso aiuta a vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va riscoperto il messaggio dell’enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità» (n. 136).
«Tenendo presente la ricchezza di sapienza contenuta nella “Humanae vitae”, in relazione alle questioni da essa trattate emergono due poli da coniugare costantemente. Da una parte, il ruolo della coscienza intesa come voce di Dio che risuona nel cuore umano educato ad ascoltarla; dall’altra, l’indicazione morale oggettiva, che impedisce di considerare la generatività una realtà su cui decidere arbitrariamente, prescindendo dal disegno divino sulla procreazione umana. Quando prevale il riferimento al polo soggettivo, si rischiano facilmente scelte egoistiche; nell’altro caso, la norma morale viene avvertita come un peso insopportabile, non rispondente alle esigenze e alle possibilità della persona. La coniugazione dei due aspetti, vissuta con l’accompagnamento di una guida spirituale competente, potrà aiutare i coniugi a fare scelte pienamente umanizzanti e conformi alla volontà del Signore» (n. 137).
24 ottobre 2015. Nella Relazione finale del Sinodo (il capitolo è «Indissolubilità e fecondità dell’unione sponsale») si legge: «La fecondità degli sposi, in senso pieno, è spirituale: essi sono segni sacramentali viventi, sorgenti di vita per la comunità cristiana e per il mondo. L’atto della generazione, che manifesta la “connessione inscindibile” tra valore unitivo e procreativo – messo in evidenza dal Beato Paolo VI (cf. “Humanae vitae”, 12) – deve essere compreso nell’ottica della responsabilità dei genitori nell’impegno per la cura e l’educazione cristiana dei figli. Questi sono il frutto più prezioso dell’amore coniugale. Dal momento che il figlio è una persona, egli trascende coloro che lo hanno generato».
30 novembre 2015. Nella conferenza stampa di ritorno dal viaggio nella Repubblica Centrafricana Jürgen Baez chiede al papa: «Santità, l’Aids sta devastando l’Africa. La cura aiuta oggi molte persone a vivere più a lungo. Ma l’epidemia continua. Solo in Uganda, l’anno scorso ci sono stati 135 mila nuovi contagi da Aids. In Kenya la situazione è addirittura peggiore. L’Aids è la prima causa di morte tra i giovani africani. Lei ha incontrato bambini sieropositivi e ha ascoltato una testimonianza commovente in Uganda. Eppure lei ha detto molto poco su questo argomento. Noi sappiamo che la prevenzione è fondamentale. Sappiamo anche che il profilattico non è l’unico mezzo per fermare l’epidemia. Sappiamo che però è una parte importante della risposta. Non è forse tempo di cambiare la posizione della Chiesa a questo proposito? Di consentire l’uso del profilattico al fine di prevenire ulteriori contagi?».
Risposta di Francesco: «La domanda mi sembra troppo piccola e mi sembra anche una domanda parziale. Sì, è uno dei metodi; la morale della Chiesa si trova, penso, su questo punto davanti a una perplessità: è il quinto o è il sesto comandamento? Difendere la vita, o che il rapporto sessuale sia aperto alla vita? Ma questo non è il problema. Il problema è più grande. Questa domanda mi fa pensare a quella che hanno fatto a Gesù, una volta: “Dimmi, Maestro, è lecito guarire di sabato?”. È obbligatorio guarire! Questa domanda, se è lecito guarire… Ma la malnutrizione, lo sfruttamento delle persone, il lavoro schiavo, la mancanza di acqua potabile: questi sono i problemi. Non chiediamoci se si può usare tale cerotto o tale altro per una piccola ferita. La grande ferita è l’ingiustizia sociale, l’ingiustizia dell’ambiente, l’ingiustizia che ho detto dello sfruttamento, e la malnutrizione. Questo è. A me non piace scendere a riflessioni così casistiche, quando la gente muore per mancanza di acqua e per fame, per l’habitat… Quando tutti saranno guariti o quando non ci saranno queste malattie tragiche che provoca l’uomo, sia per ingiustizia sociale, sia per guadagnare più soldi (pensa al traffico delle armi!), quando non ci saranno questi problemi, credo che si potrà fare una domanda: “È lecito guarire di sabato?”. Perché si continuano a fabbricare armi e trafficare le armi? Le guerre sono la causa di mortalità più grande… Io direi di non pensare se è lecito o non è lecito guarire di sabato. Io dirò all’umanità: fate giustizia, e quando tutti saranno guariti, quando non ci sarà ingiustizia in questo mondo, possiamo parlare del sabato».
Qui il papa afferma che in fondo il problema della contraccezione è marginale. Fa capire che a suo giudizio è problema da legalisti, da farisei. Di ben altra portata, dice, sono questioni come fame e guerre. Si nota che Francesco, come in altre occasioni, preferisce spostarsi dal terreno della dottrina morale a quello sociale.
18 febbraio 2016. Durante il volo di ritorno dal Messico Francesco risponde a una domanda di Paloma Garcia Ovejero. Eccola: «Santo Padre, da qualche settimana c’è molta preoccupazione in parecchi Paesi latinoamericani, ma anche in Europa, per il virus Zika. Il rischio più grande sarebbe per le donne in gravidanza: c’è angoscia. Alcune autorità hanno proposto l’aborto, oppure di evitare la gravidanza. In questo caso, la Chiesa può prendere in considerazione il concetto di “male minore”?».
Risposta: «L’aborto non è un “male minore”! È un crimine! È fare fuori uno per salvare un altro. È quello che fa la mafia. È un crimine, è un male assoluto. Riguardo al “male minore”: evitare la gravidanza è un caso (parliamo in termini di conflitto tra il quinto e il sesto comandamento). Paolo VI, il grande, in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza. Non bisogna confondere il male di evitare la gravidanza, da solo, con l’aborto. L’aborto non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne un’altra – nel migliore dei casi – o per passarsela bene. È contro il giuramento di Ippocrate che i medici devono fare. È un male in sé stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no, è un male umano. Ed evidentemente, siccome è un male umano, come ogni uccisione, è condannato. Invece evitare la gravidanza non è un male assoluto e, in certi casi, come in quello che ho menzionato del beato Paolo VI, era chiaro».
Poiché le dichiarazioni di Francesco vengono interpretate da gran parte della stampa come un via libera all’uso della contraccezione artificiale, l’allora portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, spiega alla Radio Vaticana: «Il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il papa. L’esempio che [Francesco] ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione».
Occorre tuttavia precisare che da nessun documento risulta che Paolo VI abbia effettivamente dato quel permesso relativo al caso estremo delle suore africane, né si ricorda una parola di papa Montini in proposito, tanto è vero che per molti osservatori si tratta di una leggenda metropolitana (o vaticana).
19 marzo 2016. È resa pubblica «Amoris laetitia», l’esortazione postsinodale di Francesco sull’amore nella famiglia. Nella quale (il capitolo è quello dedicato alla realtà e alle sfide delle famiglie) leggiamo: «È vero che la retta coscienza degli sposi, quando sono stati molto generosi nella trasmissione della vita, può orientarli alla decisione di limitare il numero dei figli per motivi sufficientemente seri, ma sempre per amore di questa dignità della coscienza la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a favore di contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto. Tali misure sono inaccettabili anche in luoghi con alto tasso di natalità, ma è da rilevare che i politici le incoraggiano anche in alcuni paesi che soffrono il dramma di un tasso di natalità molto basso».
Dopo aver denunciato la mentalità antinatalista dominante nel mondo e aver invitato ancora una volta a riscoprire il messaggio dell’«Humanae vitae» (n. 82), Francesco affronta esplicitamente la questione dei metodi contraccettivi in un solo punto (il n. 222). Eccolo: «L’accompagnamento deve incoraggiare gli sposi ad essere generosi nella comunicazione della vita. Conformemente al carattere personale e umanamente completo dell’amore coniugale, la giusta strada per la pianificazione familiare è quella di un dialogo consensuale tra gli sposi, del rispetto dei tempi e della considerazione della dignità del partner. In questo senso l’enciclica “Humanae vitae” (cfr 10-14) e l’esortazione apostolica “Familiaris consortio” (cfr 14; 28-35) devono essere riscoperte al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità spesso ostile alla vita […]. La scelta responsabile della genitorialità presuppone la formazione della coscienza, che è “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità” (“Gaudium et spes”, 16). Quanto più gli sposi cercano di ascoltare nella loro coscienza Dio e i suoi comandamenti (cfr Rm 2,15), e si fanno accompagnare spiritualmente, tanto più la loro decisione sarà intimamente libera da un arbitrio soggettivo e dall’adeguamento ai modi di comportarsi del loro ambiente. Rimane valido quanto affermato con chiarezza nel Concilio Vaticano II: “I coniugi […], di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi”. D’altra parte, “il ricorso ai metodi fondati sui ritmi naturali di fecondità (“Humanae vitae”, 11) andrà incoraggiato. Si metterà in luce che “questi metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano la tenerezza fra di loro e favoriscono l’educazione di una libertà autentica” (Catechismo della Chiesa cattolica, 2370). Va evidenziato sempre che i figli sono un meraviglioso dono di Dio, una gioia per i genitori e per la Chiesa. Attraverso di essi il Signore rinnova il mondo».
In conclusione, ecco di nuovo il doppio binario di Francesco: da un lato comprensione per i casi concreti, realismo nell’affrontare la situazione in cui si trovano tante coppie e responsabilità affidata ai coniugi, perché solo loro possono giudicare in base alla situazione concreta; dall’altro riaffermazione della dottrina contenuta in «Humanae vitae» e incoraggiamento verso l’apertura alla vita, con l’aiuto dello Spirito e di tutta la Chiesa.
Restano però alcuni aspetti non chiari.
Il primo punto sta un po’ a margine, ma certamente non contribuisce a fare chiarezza. Non può non stupire che, a fronte di una posizione come quella di Francesco, netta nella condanna delle idee neo-malthusiane che attribuiscono all’incremento demografico la diffusione di fame e povertà, la Pontificia accademia delle scienze sociali, guidata dal monsignore argentino Marcelo Sánchez Sorondo, mostri una netta predilezione per personaggi come Paul R. Ehrlich, Jeffrey Sachs, Ban Ki-moon (solo per citarne alcuni all’interno di un lungo elenco), tutti fautori della diminuzione delle nascite, specie nei paesi più poveri, e li inviti a parlare in Vaticano.
Ma c’è un altro aspetto che non appare chiaro nel pensiero di Francesco o, per lo meno, fa sorgere domande che non hanno ancora trovato una risposta.
Occorre andare a ciò che Francesco ha detto ai confratelli gesuiti durante un dialogo con loro in occasione della trentaseiesima congregazione generale della Compagnia, il 24 ottobre 2016 (il testo è stato pubblicato da «La Civiltà Cattolica», n. 3995, dicembre 2016).
Rispondendo a una domanda sul come procedere nel campo morale senza fermarsi a un’applicazione meccanica della norma, ma attraverso il discernimento nelle situazioni particolari (una di quelle domande che contengono già la risposta), Francesco dice che in effetti «il discernimento, la capacità di discernere, è l’elemento chiave», si rammarica del fatto che «in una certa quantità di seminari è tornata a instaurarsi una rigidità che non è vicina a un discernimento delle situazioni» e poi, ricordando come negli anni Sessanta lui e tutti i religiosi della sua generazione furono educati a una «scolastica decadente», cita come fonte di una «rifioritura» della teologia morale il teologo Bernhard Häring.
Ma chi è Häring?
Il padre redentorista Bernhard Häring (1912 – 1998), tedesco, docente di teologia morale e sociologia pastorale, tra i protagonisti del Concilio Vaticano II, fu al centro di un lungo e aspro contrasto con Paolo VI, proprio sulla «Humanae vitae». Ideatore della cosiddetta «teologia morale esperienziale» contraria a ogni forma di «legalismo», e fin dal 1964 apertamente favorevole all’uso della pillola contraccettiva, Häring sostenne la tesi secondo cui le coppie cattoliche hanno tutto il diritto di far ricorso alla contraccezione artificiale se «in coscienza» lo ritengono giusto, e in seguito arrivò a schierarsi a favore della sterilizzazione e della fecondazione artificiale, tutti metodi da lui visti come strumenti di «paternità e maternità responsabili». Non solo: circa l’aborto, sostenne che l’embrione non può essere considerato una persona umana prima del periodo tra il venticinquesimo e il quarantesimo giorno di gestazione. Infine chiese una revisione delle leggi della Chiesa su matrimonio e divorzio, perché causa di sofferenze crudeli per i cattolici.
Sarebbe interessante sapere da papa Francesco, lo stesso papa Francesco che vede in Paolo VI un eroico difensore della fede e della dottrina, in quale misura si sente in linea con le posizioni di questo professore che avrebbe fatto «rifiorire» la teologia morale cattolica. Ne condivide anche le posizioni su contraccezione e aborto? Ne condivide la tesi secondo cui la moralità dell’atto non va valutata in base alla natura oggettiva dell’atto stesso, ma in base al processo soggettivo attraverso il quale la persona arriva alla sua decisione?
Leggendo alcune parti di «Amoris laetitia» sembra legittimo concludere che «el cuco», come lo chiama scherzosamente Francesco durante il colloquio con i gesuiti, ovvero il babau, lo spauracchio, «il fantasma della morale della situazione» (parole dello stesso Francesco) sia effettivamente entrato nell’insegnamento della Chiesa. Cosa di cui lo stesso Francesco si rallegra, perché, ricordando gli anni Sessanta, dice: «Tutto l’ambito morale veniva ristretto al “si può”, “non si può”, “fin qui sì e fin qui no”», ed «era una morale molto estranea al discernimento».
C’è qualcosa che non torna: come può il Francesco che condanna le tesi neo-malthusiane, e difende e ringrazia Paolo VI per il suo coraggio, essere lo stesso che elogia Häring e la sua teologia della situazione? Come si conciliano le due posizioni?
Infine un ultimissimo spunto di riflessione. Il professor Bernhard Häring, che per Francesco ha fatto «rifiorire» la teologia morale cattolica, nel 1989, rinfocolando la sua polemica contro la morale sessuale della Chiesa, in un articolo su «Il Regno» attaccò duramente il giovane teologo posto allora da Giovanni Paolo II a capo dell’Istituto per gli studi su matrimonio e famiglia. Lo stesso aveva fatto un anno prima, in una lettera indirizzata a Giovanni Paolo II, parlando di quel teologo come di uno che feriva le persone, incapace di distinguere le situazioni, legato a una morale astratta. Ebbene, il teologo in questione si chiamava, e si chiama, Carlo Caffarra. Uno dei quattro cardinali che oggi, molti anni dopo le vicende relative ad Häring, hanno scritto a Francesco manifestandogli i loro «dubia» su «Amoris laetitia».
Aldo Maria Valli