Sulla perdita della tradizione
di Aurelio Porfiri
Come sarà possibile oggi portare avanti l’arte della musica sacra quando siamo privati del bagaglio della tradizione? Molti hanno pensato che per implementare la riforma liturgica fosse necessario ricominciare da capo, come se venissimo dal nulla e facendoci finire, in questo modo, nella miseria spirituale e artistica in cui abitiamo. Questa miseria è ancora più triste di quello che possiamo pensare, in quanto respinge ciò che di buono alcuni bravi compositori compongono anche per il novus ordo. Purtroppo si è diffusa l’idea che dobbiamo a Dio solo la miseria musicale che ascoltiamo nella maggior parte delle chiese al giorno d’oggi. E questo per alcuni va bene, anzi lottano con tutte le proprie forze perché questa miseria sia difesa e portata avanti, proteggendo un dominio clericale che se aveva senso decenni fa, quando il clero contava tra i talenti migliori anche nell’arte, di certo non lo ha oggi.
Non si è capito che la sintesi per far avanzare le grandi scuole si può fare soltanto dentro la tradizione e non ai suoi margini, come se fossimo curiosi passanti che osservano i lavori in corso. Una bella frase del filosofo francese Gustave Thibon ci aiuta molto: “Che m’importa dunque il passato in quanto passato? Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione è soprattutto all’avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice, ho pietà dei fiori che seccheranno domani per mancanza di linfa”. Credo che difficilmente si possa dire meglio quanto male è stato fatto nell’impedire la sintesi tra il passato e il presente per il futuro. Ci si è limitati a un “recente passato” che a sua volta attendeva una primavera che ancora deve arrivare. Noi non piangiamo soltanto perché i grandi autori sono oramai relegati nel dimenticatoio, ma piangiamo perché anche il buono che esiste oggi viene sacrificato agli interessi ideologici e di bottega di una Chiesa che un tempo faceva cultura mentre oggi è strafatta di culturame. Come potranno i giovani arrivare a quella sintesi che per le generazioni precedenti è stata possibile sulla scia di una scuola, di un maestro, di una sapienza? Chi verrà avanti e si prenderà la responsabilità di questo scempio? Ma per questo ci vogliono cavalieri coraggiosi, non la progenie spirituale di don Abbondio che tace anche quando non acconsente, per (in)quieto vivere.
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