Le armi economiche di Xi
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- by Aldo Maria Valli
Xi Jinping non si è espresso, mentre il Ministero degli Affari Esteri pone tutta l’attenzione sulle colpe degli Stati Uniti per aver fomentato il conflitto non raccogliendo le legittime istanze russe sulla sicurezza regionale. Anche il Ministro degli Esteri Wang Yi, al telefono con l’omologo russo Lavrov, ha mantenuto una posizione ambigua, ribadendo la tradizionale contrarietà cinese alle violazioni di sovranità internazionale, ma dichiarando di comprendere la posizione russa sul particolare contesto storico dell’Ucraina. Ne risulta così un mancato riconoscimento esplicito, ma anche un’assenza di condanna, tanto da rifiutarsi di chiamare l’intervento “invasione”, ma solo “operazioni militari speciali”. Una comparazione con le vicende del 2010 (Georgia) e del 2014 (Crimea) segnala in ogni caso oggi una maggiore vicinanza alla Russia di quanto non accaduto nelle crisi precedenti, segno evidente di quanto i due Paesi si siano avvicinati in questo periodo.
I Giochi di Putin
Il quadro è reso ancora più complicato dalla visita di Putin a Pechino in occasione dell’apertura dei Giochi Olimpici invernali e dalla circostanza che, di fatto, il leader russo abbia atteso la fine della manifestazione sportiva per lanciare la sua campagna di invasione. Ne risulterebbero così due letture della vicenda: o Pechino era informata dei propositi di Putin e li avvallati – o perlomeno non ha potuto/voluto contrastarli – oppure Putin ha agito all’insaputa di Xi Jinping, ma facendo percepire all’opinione pubblica internazionale di agire con il suo consenso.
Entrambe le versioni potrebbero rappresentare un problema per la Cina, che si vede caricata del successo o del fallimento russo proprio nei mesi che precedono l’importante appuntamento politico del XX Congresso del Partito comunista cinese con la possibilità che gli esiti si possano scaricare sulla corsa di Xi alla riconferma. Che risulta comunque non in dubbio, ma ci sono sempre rapporti di forza interni da verificare, ad esempio tra fazioni più o meno aperte al riavvicinamento agli USA, senza considerare il peso che potrebbe assumere l’esercito in un contesto internazionale di conflitto militare in corso. Inoltre, anche nel caso del migliore esito possibile per Putin nella vicenda ucraina, Pechino si troverebbe con un partner indubbiamente più forte di quanto non fosse una settimana fa, quando la Russia veniva ancora indicata – a ragione – come il soggetto debole nell’amicizia tra Mosca e Pechino.
Economia cinese in difesa
Le conseguenze economiche sulla Cina di quanto sta succedendo queste ore a Kiev non sono di facile lettura, ma come spesso accade si possono identificare in effetti di breve e di lungo periodo. A rischio immediato c’è l’interscambio tra Cina e Ucraina che nel 2021 ha sfiorato i 20 miliardi di dollari secondo le Dogane cinesi, facendo di Pechino il primo partner commerciale di Kiev. I settori più importanti sono i minerali di ferro e i prodotti agricoli, che rappresentano la maggiore preoccupazione in Cina, visto che dall’Ucraina provengono il 30% delle importazioni di mais cinese. Fino al 2020, tuttavia, Kiev valeva il 60% delle importazioni di mais, prima che la Cina cominciasse a aumentare le importazioni dagli Stati Uniti nell’ambito degli accordi siglati con Trump dopo l’avvio della guerra commerciale. La Cina ha dunque diversificato le importazioni di prodotti alimentari nell’ultimo biennio, ma l’ha fatto con gli USA. In ogni caso si tratta di valori attorno al 2,5% del consumo totale di mais da parte della Cina, e la riduzione delle quote ucraine non desta un allarme eccessivo. Ciò non toglie che Pechino si sia cautelata eliminando restrizioni alle importazioni dalla Russia di prodotti agricoli. In questo caso la motivazione è duplice: oltre ad assicurarsi una fonte alternativa per le importazioni agricole, queste misure possono essere di supporto all’economia russa che si appresta a essere colpita dalle sanzioni occidentali.
Più in generale Pechino rischia di pagare la crisi attraverso l’aumento dei prezzi delle materie prime, a partire da quelle energetiche, petrolio – tenuto conto che nel 2021 la Cina ha importato circa il 70% di quanto consumato – e gas, che ha visto nelle scorse settimane un aumento della domanda interna e una riduzione delle forniture dall’Asia Centrale per la presenza di un clima più rigido in entrambe le aree. La piena ripresa dell’attività industriale cinese dopo la fine delle Olimpiadi – periodo durante il quale alcuni impianti sono stati fermati per ridurre l’inquinamento – e delle celebrazioni del capodanno cinese portano a prevedere un aumento ulteriore della domanda di prodotti energetici con dirette implicazioni sui prezzi già colpiti dalla vicende dell’Ucraina.
Se questo è il quadro economico a breve termine, le implicazioni sul lungo periodo possono essere più significative. Il mutato contesto internazionale degli ultimi anni di aperto contrasto con gli Stati Uniti ha spinto sempre di più Mosca e Pechino in un angolo e ha messo in discussione il valore dell’interdipendenza economica. Se in passato questa veniva vista come un vincolo reciproco per le parti in un conflitto in favore della de-escalation delle ostilità, oggi l’asimmetria delle relazioni commerciali viene sempre più interpretata come un’arma alternativa al conflitto militare. La rappresentazione più evidente è la discussione sulle sanzioni economiche da parte di USA e UE o la minacciata apertura/chiusura del “rubinetto del gas” da parte di Mosca. La Russia, che aveva patito le sanzioni finanziarie nel 2014 si è cautelata diversificando i propri interessi finanziari e oggi è meno esposta alla coercizione occidentale. Mosca e Pechino stanno ragionando esplicitamente su come scudarsi vicendevolmente da sanzioni economiche internazionali. Il discorso, infatti, non si applica solo al caso odierno, ma si inserisce nella più ampia discussione sul decoupling, ovvero il disaccoppiamento delle economie americana e cinese. Ciò non vuol dire azzerare le relazioni commerciali, ma eliminare le vulnerabilità reciproche in settori critici per evitare che in caso di conflitti che si possono prevedere come sempre più frequenti nel prossimo futuro.
Si tratta dei ragionamenti al centro della strategia economica della Doppia circolazione promossa da Xi Jinping nel 2020, quando ha indicato il mercato interno e l’autarchia tecnologia come soluzione all’esposizione alle scelte strategiche degli USA nei settori in cui è più esposta, su tutti i semiconduttori. Come riporta l’Economist citando uno studio cinese, c’è preoccupazione a Pechino per i ritardi tecnologici rispetto ai competitor stranieri in settori di grande peso economico. Inoltre, c’è la percezione di una azione di contenimento esplicito di USA, Giappone, India, Corea del Sud, Australia, Regno Unito e Unione Europea attraverso i progetti di lancio e rafforzamento dell’Indo-Pacifico – che prevedono cooperazione nella messa in sicurezza delle supply chains dei Paesi coinvolti – come chiaramente denunciato da Lavrov. Per queste ragioni, è possibile aspettarsi che la consapevolezza su queste dinamiche e, di conseguenza, l’attenzione per rendere indipendente la capacità produttiva nei settori critici possa accentuarsi.
Fonte: ispionline.it