Università & guerra / Una studentessa russa scrive all’Alma Mater Studiorum
Cari amici di Duc in altum, ricevo dall’associazione Iustitia in Veritate questo comunicato circa una vicenda che riguarda l’Università di Bologna e, per quanto siamo riusciti a ricostruire, si configura come una discriminazione nei confronti di studenti e studentesse provenienti dalla Russia. La notizia può essere letta qui.
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Università & guerra
La disgregazione della nostra civiltà procede al galoppo. La distruzione del diritto è cosa fatta e la salute collettiva è ormai garantita. Salus populi suprema lex è stata assicurata da un cumulo di disposizioni normative puntigliose, la cui giustificazione, ormai sembra chiaro, è l’educazione del popolo bue alla volontà del potente di turno. L’educazione a cosa? All’odio e alla menzogna. Nessuno si può sottrarre non semplicemente alla sottomissione gioiosa al cielo, un po’ strano, del mondo nuovo ma deve farlo suo con convinzione, diffonderne attivamente le leggi sacrosante e difenderle con zelo. Non a caso ormai abbiamo tutti sul petto la stella da vicesceriffo, stella ovviamente verde, che dà un frammento dello sconfinato potere di estendere senza limiti lo spirito della legge. Quale spirito? Quello che dà un briciolo di potere arbitrario esercitato sul primo malcapitato, con i molti retrogusti dolceamari che questo dà. Il prezzo pagato per entrare in questa nuova era, in cui “nulla sarà più come prima”, è stato la fondazione della città dell’odio; molti, però, lo considerano un premio! Il capolavoro del potere è stato l’aver ipnotizzato il popolo, quello che ne restava, ed averlo reso proprio convinto seguace e servitore, in molti casi proprio complice. E il tanto decantato bene comune, sempre e comunque necessario per giustificare una qualsiasi legge? Il bene comune si è tuffato, con un doppio salto mortale carpiato e avvitato, in un buio stagno di menzogne; poiché lo stagno è in larga parte “virtuale”, non si è sentito quando ha sbattuto la testa sul fondo roccioso della realtà e si è rotto l’osso del collo. Per il potere ebbro di droghe psichedeliche così va bene, anzi è proprio quello che voleva. Così potrà ripescare il cadavere del bene comune e usarlo per qualsiasi ulteriore scopo propagandistico: il fantasma è pronto e può tornare quando vuole nei nostri incubi. La guerra è il nuovo puparo e la pandemia può riposarsi, almeno per ora.
L’Università cosa c’entra? La notizia che una prestigiosa università italiana abbia trattato in maniera palesemente differente studentesse russe e studentesse ucraine non può essere considerata una discriminazione, ma l’applicazione “proporzionata” dei principi della nuova civiltà del diritto: tutelare le vittime per universale spirito di umanità e punire i malvagi per altrettanto universale sentire; insomma al principio basilare per cui la responsabilità è strettamente personale, mai collettiva, e al collegato principio per cui nulla poena sine lege, si è sostituito il rozzo schema per cui l’appartenenza ad un popolo, di uno stato con cui non sì è nemmeno formalmente in guerra, significa l’essere cancellati dalla vita universitaria e privati dei minimi mezzi di sopravvivenza. Si ripete la farsa sanitaria: chi non ubbidisce al potere perde lo status di soggetto giuridico e prima di essere umano. D’altra parte, cosa ci si poteva aspettare da un popolo che ha chiesto il green pass ai poveri per avere un pasto caldo e per passare le notti invernali al riparo?
L’università ha dimostrato, così, di essere ormai un feticcio superfluo. D’altra parte il nuovo mondo digitale non ha bisogno dell’università, ma di agenzie di formazione del tutto impersonali, appiattite sugli automatismi e sui dogmi di un sapere tecnico ed applicativo. Per trasmettere ed acquisire un tale sapere, di cui l’essere umano è solo un’appendice riplasmata ad immagine e somiglianza di quel sapere, l’università non serve, è solo una macchina pesante e costosa. Che i docenti universitari abbiano perso il senso della grande responsabilità e dignità che hanno nel custodire, coltivare, accrescere il sapere e trasmetterlo con passione alle nuove generazioni, è solo uno sconfortante corollario. Prima di diventare il gruppo mediamente più conformista e meno coraggioso, i docenti universitari hanno perso il senso e l’amore per il sapere. Lo hanno perso perché imbevuti di una concezione riduttiva, ultra positivistica e perciò non positiva, del sapere e, di conseguenza, hanno perso l’amore per la verità, per la sua folgorante bellezza. Non potevano non perderlo, quell’amore, perché hanno rinnegato la verità, considerata, anche questa, un mito del passato se non un’arma reazionaria. A quel punto, cosa rimane? Un linguaggio vuoto di senso e semplice strumento di potere tecnico, sociale e politico. Il sapere senza verità ed il linguaggio senza contenuti, pura forma, rende ciechi, nel senso che elimina l’idea stessa che si possa vedere qualcosa e ci sia da vedere qualcosa di interessante e di importante, in primo luogo i propri simili, magari nel momento in cui sono più esposti all’aggressione viscerale dei propri nemici. L’autentico sapere, pur e proprio nella sua dinamica dialettica, è un fattore di autentica pace e di comprensione che l’unico conflitto ammissibile è quello tra avversari, non quello tra nemici irriducibili e mortali. Come dimenticare Socrate che dice al suo avversario, Gorgia, che troverebbe la stessa gioia nell’essere confutato, a ragion veduta, al pari di quella che si può provare nel confutare una tesi avversaria. Il docente universitario di oggi è ancora in grado di ascoltare questa lezione di un vero maestro? O è diventato cieco e sordo, cieco alla verità, esclusa per assioma, e sordo alle persone che incontra nel suo lavoro, nello svolgimento della sua missione? Poniamoci seriamente la domanda, che riguarda ciascuno di noi, non soltanto i chierici del “sapere” universitario. Forse potremo riaprire, con un po’ di fatica, i nostri occhi, le nostre menti e soprattutto i nostri cuori.
Per riassumere la multiforme mutilazione del nostro mondo, come non citare un vecchio detto popolare: “Il muto disse al sordo: il cieco ci guarda! E lo storpio concluse: scappiamo, scappiamo!”.
Che sia questa la parola d’ordine del novus ordo saeculorum?