La Chiesa del “secondo me” e la formazione del clero
di Pietro Licciardi
La vicenda di don Mattia Bernasconi, il sacerdote di Cesano Maderno che a Crotone, dove si trovava con un gruppo di giovani aderenti all’associazione Libera, ha celebrato una Messa in costume da bagno, immerso sino alla cintola in mare e usando per altare galleggiante un materassino da spiaggia, ha suscitato parecchie polemiche, specialmente tra i cattolici.
Come al solito il “popolo dei social” si è diviso in due partiti contrapposti: chi ha giustamente stigmatizzato il gesto, in quanto è una palese mancanza di rispetto alla sacralità del rito, una banalizzazione della liturgia e una manifesta perdita del senso del sacro, e chi al contrario ha difeso il sacerdote che senza formalismi avrebbe dimostrato che “Cristo è ovunque, anche al mare”.
Al di là delle polemiche preme qui sottolineare alcune questioni a nostro parere non secondarie e sulle quali varrebbe la pena riflettere.
La prima è che fino a qualche tempo fa, e ancora oggi a quei sacerdoti avanti con l’età e di buona scuola, mai e poi mai sarebbe passata neppure per l’anticamera del cervello l’idea di celebrare in tal modo. Se invece è avvenuto significa che qualcosa nell’attuale formazione dei sacerdoti non funziona. E non ci si nasconda dietro al dito delle “circostanze eccezionali” – non c’era posto sulla spiaggia e quel che c’era era sotto il sole battente – perché ci sono chiese in cemento armato in cui ogni domenica si celebra in condizioni al limite del colpo di calore, senza che per questo qualcuno si senta autorizzato ad assistere e tantomeno a celebrare a torso nudo e slip da bagno, anche se ormai siamo arrivati a partecipare ai riti sacri in infradito, canotte, minigonne inguinali e ombelichi al vento. Ma evitiamo qui di aprire quest’altra dolorosa parentesi, nonostante lo stretto collegamento tra le due questioni.
La seconda considerazione è che ormai nella Chiesa straripa il relativistico “secondo me” in un popolo ex cattolico abbandonato dalle sue guide spirituali, le quali si sono a loro volta inerpicate sui sentieri scivolosi e infidi della libera interpretazione – delle scritture, del magistero, della dottrina e della morale – col risultato che ormai anche i fedeli, come si suol dire, se la cantano e se la suonano a piacimento.
Chi ancora osa ricordare che nella Chiesa ci sono regole e forme da rispettare viene tacciato di fariseismo e legalismo, dimenticando che fior di santi appena fondavano un proprio ordine monastico la prima cosa che facevano era metter mano ad una Regola, proprio per evitare che a forza di libere interpretazioni, sentimentalismi e spontaneismi ogni cosa venisse trasformata magari nel suo opposto.
La Chiesa poi ci ha messo duemila anni per arrivare a mettere a punto una liturgia in cui ogni minimo gesto e ogni singola parola del Messale è carica di eccelso significato. Eppure, da sessant’anni a questa parte, sembra che tutti, dall’ultimo pretucolo al vescovo e perfino al singolo fedele, si sentano in dovere e diritto di fare nella Messa quel che vogliono: tagliare e aggiungere preghiere, coinvolgere i laici a vario titolo nella celebrazione, strimpellare canzonette da dico music – magari tratte dal repertorio gnostico ed eretico di qualche pop star, come il famigerato brano Image di John Lennon -, chiamare l’applauso o prodursi in estemporanei balletti sull’altare.
Un vero bailamme che rende evidente in maniera equivocabile che c’è una allarmante perdita del senso del sacro e di conseguenza della fede. Proprio a cominciare dai preti tra i quali a quanto pare neppure balena il dubbio se tutto questo “nuovismo”, questo correr dietro alle sirene del mondo, sia quello che Dio veramente vuole per la sua Chiesa o non appartenga alle personali fantasie di un clero che ha ridotto la fede ad una qualsiasi ideologia, ovvero un costrutto tutto umano che si vuole applicare alla realtà, o anche contro la realtà se questa contraddice nei fatti la teoria.
Forse è per questo che, nonostante siano passati sessant’anni da quel “rinnovamento” che avrebbe dovuto portare ad una primavera della fede, ancora non si trova il coraggio di riconoscere che là dove dovevano nascere prati fioriti vi è invece il deserto.
Intanto quello con le corna si sfrega le mani brindando ai suoi successi. Ancora una volta è riuscito a farci mangiare la mela illudendoci che in fondo siamo uguali a Dio, al punto da considerarci dio noi stessi, con riti che esaltano l’ego di chi celebra, o facendoci credere di poterci accostare al Corpo e al Sangue di Cristo stando in piedi al Suo cospetto, come si fa tra pari.
Fonte: informazione cattolica.it