Demolire le rovine. Il vero obiettivo del “Sinodo sulla sinodalità”
di Matteo D’Amico
Come ormai è evidente Bergoglio sta portando a compimento con grande lucidità un piano organico di “demolizione controllata” della Chiesa; per essere più precisi sta completando con zelo sincero il lavoro di distruzione della Chiesa “tridentina” iniziato nel 1962 con l’apertura del Concilio Vaticano II. La minoranza rivoluzionaria modernista che, con l’appoggio di Giovanni XXIII e di Paolo VI, si impadronì del Concilio, ne prese il comando e ne dettò l’agenda e i documenti aveva il grande obiettivo di “riconciliare” la Chiesa con il mondo moderno (ovvero con il mondo uscito dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese) e di ripensare dottrina e morale alla luce del pensiero moderno, ovvero, in parole povere, emancipandosi dal rigore e dall’invincibile chiarezza e forza argomentativa del tomismo. È un fatto ormai evidente per tutti che questo progetto si è tradotto in un processo di distruzione di tutto ciò che la Chiesa era sempre stata: dalla liturgia ai costumi, dalla vita di pietà alla morale, dalla formazione dei chierici agli ordini religiosi più venerandi: tutto è sembrato andare in rovina in modo così fulmineo e radicale da far pensare che un sinistro incantesimo avesse colpito la Chiesa. Ma per quanto il panorama ecclesiastico sia un panorama di rovine, restano, appunto, le rovine, e le rovine sono pericolose: ricordano il passato, possono diventare punti di riferimento per ricostruire, evocano la grandezza e la maestosità di una lunga storia gloriosa, ai più attenti forniscono criteri di giudizio per valutare il presente. Il compito storico che Bergoglio si è dato – o che qualcuno gli ha affidato… – è appunto di “demolire le rovine”, di farla finita con la Chiesa di sempre cancellando ogni segno che possa permettere di confrontare presente e passato. Qui sta la differenza fra il pontefice attuale e il suo predecessore Ratzinger. Questi aveva teorizzato un’improbabile “ermeneutica della continuità” fra modernismo e tradizione cattolica, fra “chiesa conciliare” e Chiesa di sempre: la verità e l’errore per lui potevano convivere dialetticamente, come potevano convivere il Rito della Messa cattolica stabilito da san Pio V e la nuova Messa artificiale (e protestantizzante) costruita a tavolino da Paolo VI. Una logica di matrice hegeliana sembrava permettere la confusione fra passato e presente post-conciliare e, in tale prospettiva, le rovine della Chiesa di sempre andavano custodite, o comunque mantenute sullo sfondo con tolleranza, se non simpatia. Poiché la continuità non era stata più attribuita da Ratzinger alla dottrina professata dalla Chiesa (cioè alla verità del dogma), ma al “soggetto” Chiesa, soggetto storico che rimane identico a sé nel mutare delle verità credute o insegnate, non era più scandaloso contemplare le rovine delle età precedenti della Chiesa.
Molto diversa da quella di Ratzinger è la visione di Bergoglio della Chiesa e della sua storia. Se Ratzinger era un “termidoriano”, abile nel fare un passo indietro per rassicurare i ritardatari e preparare nuovi passi in avanti sempre sotto il manto della prudenza e dell’apparente equilibrio, Bergoglio sembra essere un “giacobino”, un vero rivoluzionario di professione. Come tale è mosso da un odio metafisico verso il passato della Chiesa, che per lui è riducibile a “clericalismo”, alla rigidezza di strutture di potere che hanno imprigionato il messaggio liberante e tutto “spirituale” del Vangelo; l’autorità in Bergoglio sembra sempre fonte di male e di corruzione e sembra che accetti solo una chiesa puramente pneumatica, quasi disincarnata, dove ogni distinzione e ordine (Chiesa Docente/Chiesa Discente, clero/laicato, uomo/donna, credente/non credente, cattolici/settari, eterosessuali/omosessuali, sposati/divorziati,…) paralizza lo “spirito” e impedisce la carità. La cifra del suo pontificato, in questo senso, è tutta riassunta nel principio di una anticristica e dissolutoria misericordia senza giustizia. Come per ogni convinto rivoluzionario così anche per Bergoglio il nuovo mondo messianico (ovvero il massonico cristianesimo rinnovato e purificato del futuro), si attuerà semplicemente distruggendo ogni traccia della vecchia Chiesa: ecco il senso, ad esempio, di Traditionis custodes e della sua ostilità alla Messa di sempre.
Ma la vera riforma (rivoluzione) che sta preparando da anni e che, probabilmente, concluderà il suo pontificato deve consistere nella demolizione del concetto stesso di gerarchia ecclesiastica e della Chiesa come società retta monarchicamente dal Papa e dai Dicasteri romani. Il pontefice argentino sogna una chiesa rovesciata, dove comandano i laici, le donne, i marginali, i migranti, gli LGBT, e dove si attuano processi iper-democratici, dal basso verso l’alto, nei quali l’autorità dei vescovi, ridotta al fantasma di se stessa, si dovrà pensare come legittima solo se diverrà il luogo nel quale le istanze creative e rivoluzionarie che salgono dal basso, dal popolo, trovano eco e accoglienza immediata. Il senso profondo del Sinodo sulla sinodalità attualmente in corso è appunto questo: disarticolare e rovesciare la Chiesa dando poteri autonomi di “insegnamento” in ogni campo (morale, dottrinale, liturgico) alle Conferenze Episcopali e, per loro tramite, ai popoli, alla “base”, unico luogo nel quale è in corso un’incessante “pentecoste” che proclama una gnostica salvezza senza sacrificio. Il cuore dell’ormai lungo pontificato bergogliano è tutto qui: usare il suo potere in modo sguaiato e violento contro tutto ciò che può opporsi alla distruzione di ogni ordine, di ogni autorità, di ogni gerarchia, di ogni razionalità organizzativa. Bergoglio si è reso così portatore di un potere cieco e totalitario, genocida e oppressivo, che anziché tutelare la pace dell’ordine, ovvero il bene comune, aspira a distruggere e annichilire la società ecclesiastica che dovrebbe custodire e proteggere. Vi è in ogni rivoluzionario all’interno della Chiesa, infatti, la convinzione (che potremmo definire magica) che il nuovo mondo messianico sorgerà senza sforzo, in modo immediato e miracoloso, se la “verità” del Vangelo verrà liberata in modo radicale dalle strutture di potere iliche e oppressive della Chiesa costantiniana, i cui lacerti ancora perdurano. Si tratta dunque di non avere pietà di niente e di nessuno nel distruggere tutto ciò che ostacola l’immanentizzazione dell’eschaton cristiano, l’avvento del Regno nella storia, qui e adesso. Il modernismo al suo stadio finale giunge così ad assumere i tratti di un’ideologia politica millenarista ed è obbligato a espungere completamente dal discorso della Chiesa e degli uomini di Chiesa qualunque riferimento ai novissimi, alla sfera soprannaturale, alla vita di grazia; la stessa vita di pietà deve essere derisa e distorta, riducendola a costume o folclore, comunque cosa da abbandonare. In questo nuovo modello di Chiesa gnostica ha senso solo ciò che si riverbera subito a livello storico e mondano: l’ecologia, la “madre terra”, gli indigeni dell’Amazzonia, la pace in Ucraina, i diritti, i gay, le donne… La Chiesa può giustificare la sua stessa esistenza solo se, con voce belante e melliflua, si fa eco del mondo e dei suoi valori.
E il mondo è felice di aiutare Bergoglio nella sua edificazione di una Chiesa policentrica e agerarchica, guidata dal basso e dalle periferie, che rinuncia a essere Maestra, per essere solo “Madre” afona e falsamente consolatoria, capace solo di tenere per mano con un sorriso ebete l’Occidente impazzito che precipita nel suo liquido nulla.
Fonte: profmatteodamico.com