Lettera / Benedetto XVI emerito? No, Magno. Dalla folla l’omaggio più vero
di Alberto Quagliotto
Caro Aldo Maria,
in questa ora triste in cui fiammeggia la grande figura di Benedetto XVI, tanti pensieri mi si affollano alla mente, a partire dall’anticamera della galleria dei ricordi. Innanzitutto il giorno dell’elezione. Ero lì, nella piazza ancora semideserta, con il presentimento che sarebbe successo qualcosa e che presto avrei visto apparire proprio lui dal balcone; con la sensazione vivissima che sarebbe stato proprio lui il designato dallo Spirito Santo. Avevo infatti appena letto il suo famoso discorso, in procinto della chiusura del recinto del conclave, e mentre a tutti esso apparve divisivo e politicamente scorretto, a me suscitò invece il sentimento contrario: troppo grandi erano state quelle parole profetiche, per rimanere inascoltate ed affidate alla prudenza di una elezione accomodante, cauta, “non divisiva”.
L’altro ricordo è inevitabilmente la rinuncia, che in me suscitava le domande che ancora lei si pone. Io ormai queste domande le declino al passato e non al presente, perché adesso ho capito il disegno divino. Un disegno molto manzoniano, e che vede la chiara scrittura della mano della Provvidenza su questo capitolo enigmatico della storia della Chiesa.
Era tutto pensato, tutto provvidenzialmente previsto: un Papa che proclama la verità e che pertanto viene bistrattato, calunniato, vessato, umiliato dai poteri culturali e politici del secolo. Costretto alla rinuncia – credo – per il peso della solitudine. La stessa solitudine di Cristo davanti a Pilato, che non a caso pose il problema della verità, senza darsi una riposta.
E al momento della rinuncia Benedetto è diventato per tutti il nuovo Celestino, e tutti lo vedevano consegnato alla Storia per questo suo ruolo. Un ruolo di sconfitto. Lo si voleva consegnare nel ripostiglio degli arnesi di una restaurazione mancata, quasi fosse un re di Francia post napoleonico, una sorta di Carlo X tutto proteso verso un’anacronistica restaurazione. Gli si concedeva solo un triste onore delle armi e si diceva che con la sua rinuncia aveva cambiato la storia della Chiesa. Ma solo chi non conosce la storia della Chiesa può affermare una cosa del genere. Solo chi ne ha una visione parziale può fermarsi su questo episodio, che adesso ha un significato che invece bene si inserisce – e con molta coerenza – nella storia della Chiesa.
E invece la storia della Chiesa ci stupisce ancora e ci fa vedere che il gregge ha riconosciuto la voce del pastore e ha preso la forma di un fiume di gente, in fila per rendere omaggio a un vecchio ultranovantenne, di cui non si udiva la voce da quasi un decennio. Un papa emerito (mi perdonerà da lassù Benedetto XVI, ma che brutto questo aggettivo!), un papa che tutti davano per dimenticato, come spesso succede a tutti i papi quando muoiono (di essi, qualche giorno dopo l’elezione del successore, diventa sempre più flebile la memoria). È significativo che mentre i giornalisti, increduli di tanta folla, premettono nelle loro interviste in piazza San Pietro il ritornello della rinuncia, gli intervistati (gente semplice, composta, senza striscioni e senza baccano), ricordano invece semplicemente ciò che Benedetto è stato: un evangelizzatore. Il gregge riporta il discorso sulla Fede.
Lo si voleva consumato sotto la brace di una declinante vecchiaia, che con il passare del tempo tende a spegnersi definitivamente per diventare una cenere fredda e indistinta. Ma proprio nel momento in cui Benedetto XVI sembrava aver subito questo destino ed è tornato, nella semplicità dei paramenti rossi come il fuoco, in San Pietro, ecco che tante persone, come i pastori di Betlemme (siamo nel periodo di Natale) si sono alzati e, senza indugio, hanno seguito la stella della Fede con gioia, quella stessa gioia che proprio Benedetto, nel suo primo discorso, il giorno in cui fu eletto, citò.
Tanti che lo bistrattarono ora indossano la maschera del pianto, cercando forse di recuperare una credibilità irrimediabilmente persa; ma farebbero meglio a tacere, per non sembrare ancora più meschini.
Il popolo di Dio ha dato il suo giudizio. La Storia della Chiesa non è cambiata. Ci voleva la sofferenza di questo uomo, per far capire che essa si declina ancora sulla radice immutabile della Fede in Cristo e nella fiducia nella Chiesa che Egli ha fondato su Pietro ed i suoi successori.
Spetta alla Chiesa – ne sono convinto – proclamarne la santità, ma, senza tema di essere smentito, credo che già da oggi dovremmo ricordarlo non con l’aggettivo emerito, ma con quello di Magno.
Tante cose mi piacerebbe dire, ma le conservo nel cuore, come conserverò nel cuore questa delicata e bella figura: questo Quinto evangelista, un evangelista dei tempi moderni.
Rendiamo grazie alla Provvidenza.